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Il decreto anti-soccorso dell'Italia rischia di aumentare le morti in mare

Le nuove disposizioni ostacolano il lavoro delle ONG che salvano vite in mare e violano il diritto internazionale

Alcuni migranti nuotano accanto alla loro barca di legno rovesciata mentre l'ONG spagnola Open Arms esegue un'operazione di soccorso per salvarli, a sud dell'isola italiana di Lampedusa nel Mar Mediterraneo, 11 agosto 2022. © 2022 AP Photo/Francisco Seco, file

L'ultimo decreto legge in merito alle migrazioni emanato dal governo italiano rappresenta uno dei punti più bassi nella sua strategia di diffamazione e criminalizzazione delle organizzazioni non governative che salvano vite in mare. L'obiettivo del governo è quello di ostacolare ulteriormente il lavoro di soccorso in mare dei gruppi umanitari, riducendo così al minimo il numero di persone che verranno salvate nel Mediterraneo centrale.

Il decreto vieta alle navi delle organizzazioni di ricerca e soccorso di effettuare più salvataggi durante uno stesso viaggio, ordinando che dopo un salvataggio le loro navi si dirigano immediatamente al porto assegnato dall'Italia e lo raggiungano "tempestivamente", di fatto imponendo loro di ignorare qualunque altro caso di barche in pericolo in mare.

La norma, che non si applica ad altri tipi di imbarcazioni, viola l’obbligo di tutti i capitani di prestare assistenza immediata alle persone in difficoltà in mare imposto da molteplici norme di diritto internazionale, tra cui la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, il Protocollo di Palermo contro il traffico di migranti e la legislazione dell'UE.

L'impatto negativo del nuovo decreto è aggravato dalla recente prassi del governo di assegnare alle imbarcazioni di soccorso porti di sbarco molto distanti, nel nord e nel centro Italia, che richiedono fino a quattro giorni di navigazione, in violazione dell'obbligo di mettere a disposizione il porto sicuro più vicino. Ordinare alle navi di soccorso di andare verso porti lontani impedisce loro di salvare vite umane nel Mediterraneo centrale per periodi di tempo più lunghi, le costringe a sostenere costi aggiuntivi significativi in carburante, cibo e altre spese, e può aumentare la sofferenza dei sopravvissuti a bordo.

Il decreto impone inoltre alle navi di soccorso non governative l'obbligo di raccogliere i dati dei sopravvissuti a bordo, compresa la loro intenzione di chiedere asilo, e di condividere tali informazioni con le autorità, in violazione delle leggi dell'UE, compresa la direttiva sulle procedure di asilo.

Come hanno sottolineato 20 organizzazioni di ricerca e soccorso in una dichiarazione congiunta del 5 gennaio, il decreto rischia di aumentare il numero di persone che muoiono  nel Mediterraneo o che vengono riportate in Libia, dove subiscono abusi orribili.

La Commissione europea dovrebbe chiedere al governo italiano l'immediato ritiro di questo decreto e la fine della pratica di assegnare porti lontani, e dovrebbe intraprendere azioni legali contro norme che ignorano palesemente le obbligazioni imposte dall'UE nei confronti di migranti e richiedenti asilo. Ancora più urgente e cruciale è il lancio di una missione europea di ricerca e salvataggio guidata dagli stati membri per prevenire altre morti in mare.

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