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Italia: la Corte costituzionale chiamata a esprimersi sulla legge che criminalizza i salvataggi in mare

La Corte valuterà la legittimità delle sanzioni ai gruppi di soccorso

L’equipaggio di SOS MEDITERRANEE effettua un salvataggio nel Mediterraneo centrale, 9 marzo 2025. © 2025 SOS MEDITERRANEE/ Stefano Belacchi

(Berlino, 20 maggio 2025) – Il 21 maggio, la Corte costituzionale italiana valuterà per la prima volta la legittimità costituzionale di una legge che impone sanzioni ai gruppi di salvataggio in mare, hanno dichiarato oggi Human Rights Watch e l’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR). A entrambe le organizzazioni è stato concesso di intervenire in questo caso storico come amici curiae, tramite memorie scritte che sottolineano gli obblighi dell’Italia secondo il diritto internazionale.

«La decisione della Corte potrebbe incidere profondamente sulle politiche marittime adottate dall’Italia e sulla tutela dei diritti umani alle frontiere europee e in mare», ha dichiarato Judith Sunderland, direttrice associata per l’Europa e l’Asia Centrale di Human Rights Watch. «Le nostre organizzazioni hanno deciso di intervenire su questo caso perché sono a rischio diritti e principi fondamentali: si tratta di salvare vite in mare e di proteggere le persone da abusi indicibili».

Al centro del caso ci sono le misure del governo italiano cui effetto è di limitare drasticamente le attività di soccorso nel Mediterraneo centrale, una delle rotte migratorie più letali al mondo. A ottobre 2024, il Tribunale di Brindisi ha presentato tre quesiti alla Corte costituzionale in merito alla legge comunemente nota come decreto Piantedosi, che autorizza le autorità italiane a sanzionare e trattenere le navi di soccorso umanitario per vari motivi, tra cui il mancato rispetto delle istruzioni ricevute dalla guardia costiera libica.

I dubbi avanzati sulle disposizioni del decreto Piantedosi riguardano la possibile violazione degli importanti principi di proporzionalità, ragionevolezza e determinatezza sanciti dalla Costituzione italiana, nonché degli obblighi vincolanti che derivano dal diritto internazionale ed europeo. La prima a sollevare queste questioni è stata l’organizzazione non governativa SOS MEDITERRANEE, nel ricorso contro il fermo amministrativo disposto dalle autorità italiane nei confronti della nave Ocean Viking.

Nelle rispettive memorie amicus curiae accettate dalla Corte costituzionale, Human Rights Watch e l’ECCHR sostengono che imporre alle navi di soccorso di seguire gli ordini della guardia costiera libica rischia di portare alla violazione del principio di non-refoulement, caposaldo del diritto internazionale che vieta il respingimento delle persone verso luoghi in cui sarebbero esposte a gravi rischi. La Libia, un paese in cui persone migranti e rifugiate sono soggette a una detenzione arbitraria e sistematica, condizioni di detenzione inumane, torture e maltrattamenti, sfruttamento, estorsione e abusi sessuali, non può essere considerata un «porto sicuro» per lo sbarco.

Nella sua memoria, l’ECCHR afferma inoltre che obbedire agli ordini della Libia in materia di ricerca e soccorso rischia di favorire crimini contro l’umanità, tra cui la schiavitù.

Dal canto suo, Human Rights Watch sostiene che le prove incontrovertibili degli abusi subiti dai migranti in Libia, insieme alla collusione delle unità della guardia costiera e di altre forze di sicurezza con i gruppi di trafficanti, dimostrano che è impossibile ritenere la guardia costiera libica un attore affidabile nelle operazioni di ricerca e soccorso, con l’autorità di impartire istruzioni vincolanti alle navi umanitarie.

Dal 2017, l’Italia e l’Unione europea forniscono supporto finanziario, tecnico e operativo alla guardia costiera libica, malgrado le continue prove del suo coinvolgimento in condotte abusive. Nel 2023, la missione indipendente di accertamento dei fatti sulla Libia delle Nazioni Unite ha evidenziato «fondati motivi per ritenere» che le persone migranti trattenute nel paese siano vittime di crimini contro l’umanità che includono la tortura, la schiavitù e la detenzione arbitraria.

Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, dal 2014 sono quasi 32.000 le persone morte o disperse nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa. Le forze della guardia costiera libica hanno intercettato e riportato in Libia più di 132.000 persone dal 2018, anno in cui il paese ha ufficialmente istituito la propria zona di ricerca e soccorso con il sostegno dell’Italia.

«I soccorritori non dovrebbero rischiare ripercussioni legali per essersi rifiutati di seguire ordini che esporrebbero le persone soccorse a crimini contro l’umanità», ha dichiarato Allison West, consulente legale senior dell’ECCHR. «Il diritto internazionale impone all’Italia di contrastare questo genere di abusi, non di favorirli».

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