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Cisgiordania: l’evacuazione dei campi profughi da parte di Israele è un crimine contro l’umanità

Decine di migliaia di palestinesi sfollati all’inizio del 2025 senza possibilità di rientro

Due donne portano via i bambini durante l’evacuazione forzata del campo profughi di Nur Shams, nel nord della Cisgiordania, sotto gli occhi dei soldati israeliani, uno dei quali ha l’arma puntata. 10 febbraio 2025. © 2025 Wahaj Bani Moufleh
  • Lo sfollamento forzato di tre campi profughi in Cisgiordania condotto dal governo israeliano tra gennaio e febbraio 2025 costituisce un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità.
  • Le Convenzioni di Ginevra vietano il trasferimento forzato dei civili dai territori occupati, se non in via temporanea per impellenti motivi militari o per la loro stessa sicurezza. Le persone sfollate hanno diritto a protezione, a una sistemazione adeguata e a tornare nelle proprie case non appena cessano le ostilità.
  • Gli alti funzionari del governo israeliano, tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Israel Katz, dovrebbero essere indagati per le operazioni nei campi profughi e debitamente perseguiti per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. I governi dovrebbero imporre sanzioni mirate e adottare altre misure urgenti per spingere le autorità israeliane a porre fine alle politiche repressive.

(Gerusalemme) – Lo sfollamento forzato dei civili da tre campi profughi della Cisgiordania che il governo di Israele ha messo in atto a gennaio e febbraio del 2025 costituisce un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità, ha dichiarato Human Rights Watch in un report pubblicato oggi. Alle 32.000 persone evacuate è stato impedito di tornare alle loro case, molte delle quali sono state demolite deliberatamente dalle forze israeliane.

Le 105 pagine del report “All My Dreams Have Been Erased”: Israel’s Forced Displacement of Palestinians in the West Bank illustrano l’operazione militare “Iron Wall” (muro di ferro) lanciata da Israele nei campi profughi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams il 21 gennaio 2025, pochi giorni dopo l’annuncio di un cessate il fuoco temporaneo nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha imposto ai civili di lasciare le proprie case senza alcun preavviso, servendosi anche di altoparlanti montati sui droni per diffondere l’ordine di evacuazione. Alcuni testimoni hanno riferito che i soldati hanno invaso metodicamente i campi, entrando nelle case, saccheggiando le proprietà e interrogando i residenti, per poi costringere tutte le famiglie ad allontanarsi.

«Nei primi mesi del 2025, le autorità israeliane hanno obbligato più di 32.000 palestinesi a lasciare le proprie case nei campi profughi della Cisgiordania senza tener conto delle tutele giuridiche internazionali, e da allora ne impediscono il rientro», ha spiegato Nadia Hardman, ricercatrice senior sui diritti dei migranti e dei rifugiati di Human Rights Watch. «Mentre gli occhi del mondo erano puntati su Gaza, le forze israeliane hanno commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità e atti di pulizia etnica in Cisgiordania: la loro condotta deve essere indagata e perseguita».

Human Rights Watch ha intervistato 31 rifugiati palestinesi sfollati dai tre campi e ha esaminato le immagini satellitari e gli ordini di demolizione dell’esercito di Israele, che confermano l’entità della devastazione. I ricercatori hanno inoltre analizzato e verificato materiale video e fotografico delle operazioni militari israeliane.

Il 21 gennaio, le forze di Israele hanno preso d’assalto il campo profughi di Jenin con elicotteri Apache, droni, bulldozer e veicoli corazzati, mentre centinaia di soldati a terra costringevano le persone ad abbandonare le proprie case. I residenti hanno riferito a Human Rights Watch di aver visto i bulldozer iniziare le demolizioni già durante l’evacuazione. Operazioni simili si sono ripetute nel campo profughi di Tulkarem il 27 gennaio e nel vicino campo di Nur Shams il 9 febbraio.

L’esercito israeliano non ha fornito alloggio né assistenza umanitaria ai civili espulsi. In tanti sono stati accolti nelle case già affollate di parenti e amici, oppure hanno trovato rifugio nelle moschee, nelle scuole e presso le associazioni umanitarie.

Una donna di 54 anni ha raccontato che i soldati israeliani «gridavano e buttavano tutto all’aria… Sembrava di essere in un film, c’erano uomini mascherati e armati fino ai denti. Uno dei soldati ci ha detto: “Questa non è più casa vostra. Ve ne dovete andare”».

Dopo i raid, le autorità di Israele hanno negato ai residenti il diritto di tornare nei campi profughi, anche se non c’erano operazioni militari in corso nella zona. I soldati hanno aperto il fuoco sulle persone che cercavano di tornare a casa, e solo in pochi hanno avuto il permesso di recuperare i loro averi. L’esercito ha demolito e raso al suolo molti edifici, con l’apparente motivazione di ampliare le strade all’interno dei campi, e ha bloccato tutti gli accessi.

Analizzando le immagini satellitari dei tre campi, Human Rights Watch ha calcolato che a distanza di sei mesi, oltre 850 case e costruzioni di altro tipo erano state distrutte o gravemente danneggiate. Questa stima riguarda solo le aree maggiormente colpite dalle demolizioni, in cui numerose strutture sono state abbattute o danneggiate per allargare le strade che attraversano questi campi densamente edificati.

Una valutazione preliminare delle immagini satellitari condotta a ottobre 2025 dal Centro satellitare delle Nazioni Unite ha individuato un totale di 1.460 strutture danneggiate nei tre campi, di cui 652 con danni moderati.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) aveva aperto i tre campi profughi all’inizio degli anni ’50, per ospitare i palestinesi sfollati dalle loro case o costretti a fuggire dopo la creazione di Israele nel 1948: da allora quei rifugiati, gli sfollati e i loro discendenti, hanno sempre vissuto lì.

L’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra, che si applica ai territori occupati, vieta i trasferimenti forzati dei civili se non per impellenti ragioni militari o per la loro stessa sicurezza. Le persone evacuate hanno diritto alla protezione e a una sistemazione adeguata. La potenza occupante deve consentirne il ritorno a casa non appena cessano le ostilità nell’area interessata.

In una lettera indirizzata a Human Rights Watch, alcuni funzionari di Israele hanno affermato che l’operazione Iron Wall è stata avviata «alla luce delle minacce per la sicurezza rappresentate da questi campi e dalla crescente presenza di terroristi al loro interno». Tuttavia, le autorità israeliane non hanno dimostrato in alcun modo che l’espulsione dell’intera popolazione civile fosse l’unica via possibile per raggiungere gli obiettivi militari, né hanno spiegato perché impediscono ai residenti di tornare nei campi, ha dichiarato Human Rights Watch.

I funzionari israeliani non hanno risposto alle domande di Human Rights Watch sulle tempistiche e le modalità di un eventuale rientro dei palestinesi sfollati. A febbraio, il ministro delle Finanze e sottosegretario alla Difesa Bezalel Smotrich aveva dichiarato che se gli abitanti dei campi profughi «continueranno con atti di “terrorismo”», i campi «diventeranno un cumulo di macerie inabitabili» e «i loro residenti saranno costretti a emigrare e a rifarsi una vita in altri paesi».

L’espulsione forzata dei palestinesi dai campi profughi ad opera delle autorità si configura anche come pulizia etnica, un termine non giuridico usato per descrivere la rimozione illegale da una certa area di un gruppo etnico o religioso, da parte di un altro gruppo etnico o religioso.

I raid si sono svolti mentre l’attenzione era concentrata su Gaza, dove le autorità israeliane hanno commesso crimini di guerra, pulizia etnica, crimini contro l’umanità (compreso lo sfollamento forzato e lo sterminio) e atti di genocidio.

Dal 7 ottobre 2023, data dell’attacco di Hamas nel sud di Israele, le forze militari israeliane hanno ucciso quasi 1.000 palestinesi in Cisgiordania. Non solo, ma le autorità hanno intensificato il ricorso alla detenzione amministrativa senza capi d’accusa né processi, le demolizioni delle case dei palestinesi e la costruzione di insediamenti illegali, mentre con il sostegno dello stato aumentano anche le violenze per mano dei coloni e le torture inflitte ai detenuti palestinesi. Lo sfollamento forzato e le altre forme di repressione dei palestinesi in Cisgiordania fanno parte dei crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione commessi da Israele.

Gli alti funzionari israeliani dovrebbero essere indagati per le operazioni svolte nei campi profughi e, se riconosciuti colpevoli, adeguatamente processati per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, anche in base alla responsabilità da comando. Tra coloro che dovrebbero essere coinvolti nell’indagine figurano: il generale di divisione Avi Bluth, capo del Comando centrale dell’esercito e responsabile delle operazioni militari in Cisgiordania, che ha diretto i raid nei campi e gli ordini di demolizione; il tenente generale Herzi Halevi e il tenente generale Eyal Zamir, che hanno entrambi ricoperto la carica di Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano; il sottosegretario alla Difesa Bezalel Smotrich, membro del gabinetto di sicurezza e ministro delle Finanze; il ministro della Difesa Israel Katz; il primo ministro Benjamin Netanyahu.

L’Ufficio del procuratore della Corte penale internazionale (CPI) e le autorità giudiziarie nazionali, in base al principio della giurisdizione universale, dovrebbero indagare sui funzionari israeliani verosimilmente implicati nelle atrocità commesse in Cisgiordania, anche in virtù della responsabilità da comando.

I governi dovrebbero imporre sanzioni mirate contro Bluth, Zamir, Smotrich, Katz, Netanyahu e gli altri funzionari coinvolti nei gravi abusi in corso nei territori palestinesi occupati. Inoltre, dovrebbero fare pressioni sulle autorità israeliane affinché pongano fine alle loro politiche repressive, imporre un embargo sulle armi, sospendere gli accordi commerciali preferenziali con Israele, vietare il commercio con gli insediamenti illegali ed eseguire i mandati d’arresto della CPI.

«L’escalation degli abusi di Israele in Cisgiordania evidenzia perché i governi, malgrado la fragile tregua di Gaza, dovrebbero intervenire con urgenza per impedire alle autorità israeliane di intensificare la repressione contro i palestinesi», ha detto Hardman. «Dovrebbero imporre sanzioni mirate nei confronti del primo ministro Netanyahu, del ministro della Difesa Katz e degli alti funzionari responsabili dei gravi crimini ai danni dei palestinesi, e dare esecuzione a tutti i mandati d’arresto della Corte penale internazionale».

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