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Italia: porre fine all’accordo sul controllo delle frontiere con la Libia

Le persone intercettate dalla guardia costiera libica subiscono gravi abusi

La motovedetta della Guardia costiera libica Ras Jadir intercetta un'imbarcazione di legno nel Mar Mediterraneo, 30 luglio 2021. © 2021 David Lohmüller/Sea-Watch

(Milano, 13 ottobre 2025) – L’Italia dovrebbe revocare il dannoso accordo con la Libia sulla gestione delle migrazioni, ha dichiarao oggi Human Rights Watch. Il Memorandum d’intesa Italia-Libia sulla cooperazione in materia di migrazioni si rinnoverà automaticamente per altri tre anni il 2 novembre 2025, a meno che una delle due parti non lo revochi o non ne chieda la modifica prima di tale data.

Firmato nel 2017, l’accordo prevede un sostanziale supporto materiale e tecnico da parte dell’Italia alla guardia costiera libica, un corpo che risponde a una delle due autorità che si contendono la legittimità e il controllo del paese, ovvero il governo di unità nazionale (Gnu) riconosciuto dalle Nazioni Unite. Negli ultimi otto anni, il sostegno italiano ha permesso alle forze della guardia costiera di intercettare decine di migliaia di persone in mare e di riportarle in Libia, dove affrontano condizioni inumane di detenzione e un alto rischio di torture e altri maltrattamenti. La guardia costiera libica minaccia e mette in pericolo anche le navi delle ONG che cercano di condurre operazioni di salvataggio.

«Il Memorandum d’Intesa Italia-Libia si è rivelato un mezzo per giustificare la violenza e sofferenze, e dovrebbe essere revocato, non rinnovato», ha detto Judith Sunderland, direttrice associata per l’Europa e l’Asia Centrale di Human Rights Watch. «L’Italia deve porre fine alla sua complicità con la guardia costiera libica, implicata nelle torture, nello sfruttamento e nei trattamenti degradanti a cui sono sottoposte le persone intercettate e riportate in Libia».

Alcune organizzazioni civili, tra cui Refugees in Libya, fondata proprio da un gruppo di migranti sopravvissuti ai maltrattamenti, si stanno mobilitando contro l’accordo Italia-Libia e chiedono all’Unione europea di sospendere ogni tipo di cooperazione in materia di immigrazione con la Libia.

Dal 14 al 16 ottobre, presso la sede centrale di Frontex (l’agenzia europea per la gestione delle frontiere) a Varsavia e della Commissione europea a Bruxelles, è prevista la visita di una delegazione di funzionari incaricati dell’immigrazione che provengono sia dal Governo di unità nazionale sia dall’Esercito nazionale libico, la forza rivale che controlla la Libia orientale e meridionale. Secondo Human Rights Watch, i rappresentanti dell’UE dovrebbero sfruttare ogni contatto con questi funzionari per rimarcare l’importanza dei diritti umani e chiedere un’assunzione di responsabilità per gli abusi commessi.

Pur essendo state ampiamente documentate le terribili condizioni di detenzione e le violenze nei confronti dei migranti in Libia, l’UE continua a sostenere gli sforzi delle forze libiche di intercettare barche e riportare le persone indietro, anche attraverso la sorveglianza aerea di Frontex sul Mediterraneo centrale. L’UE, come l’Italia, ha fornito imbarcazioni alla guardia costiera libica, e dal 2015 ha speso centinaia di milioni di euro per il controllo dell’immigrazione in Libia.

Il 24 agosto, è stata proprio una delle motovedette donate dall’Italia ad aprire il fuoco sulla Ocean Viking, la nave di soccorso di SOS MEDITERRANEE, che ne è uscita pesantemente danneggiata; il 26 settembre, un’altra motovedetta della guardia costiera libica, sempre costruita in Italia, ha sparato contro la nave di soccorso Sea-Watch. La Commissione europea ha ribadito che continuerà a sostenere le autorità libiche, affermando che «per migliorare la situazione, dobbiamo garantire il nostro impegno».

Le persone costrette a tornare in Libia sono esposte ad abusi gravissimi nelle prigioni e nei centri di detenzione per migranti gestiti da gruppi armati e milizie che sono nominalmente legati alle autorità, ma agiscono senza alcun controllo. Questi abusi comprendono la detenzione arbitraria, le sparizioni forzate e uccisioni illegittime, anche a causa delle torture. I detenuti inoltre subiscono trattamenti inumani e degradanti, tra cui violenze sessuali, pestaggi, sovraffollamento, privazione di cibo e acqua, lavori forzati e negazione di assistenza legale.

Le Nazioni Unite hanno rilevato prove di collusione tra forze statali, comprese le forze costiere libiche, e reti di traffico e di contrabbando: è quindi altamente probabile che le forze di sicurezza statali e i gruppi armati abbiano commesso i crimini contro l’umanità di schiavitù e violenza sessuale nei confronti dei migranti.

«Continuare a sostenere le forze libiche, che compiono abusi nella totale impunità, è una posizione indifendibile», sottolinea Sunderland. «L’Unione europea e tutti gli stati membri, compresa l’Italia, dovrebbero smettere di finanziare e legittimare la violenza contro i migranti, ripensando radicalmente le politiche che riguardano il Mediterraneo per mettere al primo posto i salvataggi in mare e i percorsi di migrazione legale».

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