- La salute sessuale e riproduttiva e i diritti di donne e ragazze, compreso il diritto all’aborto e ai metodi di pianificazione familiare e contraccettivi, sono stati significativamente compromessi in Romania.
- Le autorità rumene non solo non tutelano i diritti alla salute sessuale e riproduttiva, ma spesso facilitano gli sforzi per impedire a donne e ragazze di esercitare tali diritti.
- Le autorità rumene dovrebbero garantire che i processi non monitorati e non regolamentati nel sistema sanitario, la mancanza di informazioni, di disponibilità o di accessibilità economica non ostacolino la possibilità per donne e ragazze di prendere decisioni informate sulla propria salute.
(Berlino) – La salute sessuale e riproduttiva e i diritti di donne e ragazze, compreso il diritto all’aborto e ai metodi di pianificazione familiare e contraccettivi, sono stati significativamente compromessi in Romania, ha dichiarato Human Rights Watch in un report pubblicato oggi.
Il rapporto di 73 pagine, intitolato “‘It’s Happening Even Without You Noticing’: Increasing Barriers to Accessing Sexual and Reproductive Health Care in Romania,” documenta che, sebbene tali diritti siano parzialmente tutelati dalla legge rumena, nella realtà dei fatti donne e ragazze sono regolarmente e sistematicamente ostacolate nel tentativo di esercitarli.
“Donne e ragazze in Romania affrontano un contesto sempre più ostile mentre cercano di prendere decisioni sui propri corpi e sulla propria salute,” ha affermato Song Ah Lee, ex Finberg Fellow di Human Rights Watch e autrice del report. “In Romania, le autorità non solo non garantiscono il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, ma talvolta ne ostacolano deliberatamente l’esercizio.”
Il rapporto si basa su 64 interviste con donne che hanno condiviso le loro esperienze nella ricerca di cure per la salute sessuale e riproduttiva, operatori e operatrici sanitari e attivisti e attiviste per i diritti riproduttivi in Romania. Human Rights Watch ha anche incontrato funzionari statali e leader religiosi, contattato 11 gruppi anti-aborto operanti in Romania e analizzato documenti provenienti da governi, tribunali, media e attivisti.
In Romania, l’aborto volontario è legale fino alla 14ª settimana di gravidanza, ma Human Rights Watch ha riscontrato che un numero crescente di medici e ospedali pubblici non fornisce più tale servizio. I medici invocano frequentemente l’obiezione di coscienza – motivato dalle loro convinzioni religiose – per rifiutare pazienti che richiedono l’aborto, spesso senza indirizzarle ad altri colleghi o strutture, violando i diritti delle pazienti. Alcuni ospedali negano completamente l’accesso alle cure per l’aborto, sia attraverso disposizioni ufficiali sia informali.
Le autorità rumene facilitano il lavoro di attivisti anti-aborto e dei cosiddetti centri di crisi per la gravidanza, che cercano di dissuadere o impedire a donne e ragazze di accedere all’aborto, utilizzando metodi talvolta ingannevoli ed eticamente discutibili.
Alcuni medici interpretano erroneamente o applicano male le leggi e le linee guida sugli aborti volontari, ad esempo riguardo al limite legale per l’aborto farmacologico. Alcuni richiedono erroneamente il consenso dei genitori per pazienti sotto i 18 anni, nonostante gli adolescenti dai 16 anni in su abbiano il diritto legale di accedere alle cure per la salute sessuale e riproduttiva autonomamente, senza tale consenso. Queste barriere riducono ulteriormente l’accesso ai servizi per le donne e le ragazze. Alcuni medici, inoltre, adducono l'impossibilità di ottenere un’assicurazione contro la negligenza medica come motivo per rifiutarsi di fornire aborti volontari, compromettendo ulteriormente l'accesso alle cure.
“Quando mi sono trovata in questa situazione, è stato come se tutti i miei sogni fossero stati buttati via”, ha detto Nina. Quando è rimasta incinta a 19 anni, Nina voleva abortire. Il suo medico di famiglia le disse che il suo ospedale non offriva il servizio di interruzione di gravidanza, quindi avrebbe dovuto cercare un professionista medico online. Quando ha cercato su Google “aborto”, il primo risultato è stato “avort.ro”. Non sapendo che si trattava di un’organizzazione che promuove la retorica anti-aborto e lavora per impedire alle donne e alle ragazze incinte di abortire, Nina l’ha contattata. “Mi hanno detto cose che sembravano fantascientifiche”, ha ricordato. “Che i medici non usano l'anestesia, che il feto mi sarebbe stato consegnato tutto tagliato a fette”.
Le donne e le ragazze affrontano anche ostacoli di natura illegale nell’accesso alla contraccezione e i giovani subiscono le conseguenze della carenza di un’educazione sessuale completa e basata su evidenze scientifiche nelle scuole. Queste difficoltà risultano ancora più pronunciate per chi vive in zone rurali o proviene da comunità emarginate e con risorse economiche limitate.
La Romania sta violando i suoi obblighi in materia di diritti umani secondo la normativa europea e internazionale, non affrontando adeguatamente gli ostacoli all’accesso all’aborto sicuro, alla contraccezione e alle informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva. È necessario che la Romania adotti tutte le misure necessarie, comprese le riforme legislative, per assicurare che tutti gli studenti ricevano un’educazione sessuale completa e che le donne e le ragazze possano effettivamente esercitare il loro diritto di accedere a servizi di aborto sicuri e legali, nonché alla contraccezione.
Le autorità rumene dovrebbero in particolare assicurarsi che i processi non monitorati e non regolamentati del sistema sanitario, la mancanza di informazioni, la disponibilità o l’accessibilità economica non impediscano alle donne e alle ragazze di prendere decisioni informate sulla loro salute, ha dichiarato Human Rights Watch.
La Romania ha una storia cupa in materia di diritti alla salute sessuale e riproduttiva. Nel 1966, il governo dell’epoca adottò il Decreto 770, che imponeva severe restrizioni alla contraccezione e all’aborto per favorire la crescita demografica. Per garantire il rispetto del decreto, il governo monitorava lo stato riproduttivo delle donne attraverso informatori e visite mediche umilianti alla presenza della polizia.
A causa della regolamentazione e della sua severa applicazione, molte donne e ragazze con gravidanze indesiderate si sottoposero ad aborti non sicuri, portando alla morte di circa 10.000 donne e ragazze, sebbene alcuni esperti ritengano che il numero sia molto più alto. Quando il Decreto 770 fu abrogato nel 1989, la Romania aveva il più alto tasso di mortalità materna in Europa.
“Le attiviste rumene hanno lottato per decenni per ripristinare i diritti sessuali e riproduttivi nel loro paese”, ha dichiarato Song Ah Lee. “Oggi si trovano ad affrontare restrizioni preoccupanti. La Romania dovrebbe riflettere sulla sua storia devastante e garantire il pieno rispetto i diritti delle donne e delle ragazze”.