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Human Rights Watch ha inviato il seguente messaggio agli Stati Membri dell’Unione europea in vista del Consiglio degli Affari Esteri dell’Ue in programma il 17 ottobre.   

Vi scriviamo per condividere l’ultima ricerca di Human Rights Watch sulla Repubblica Democratica del Congo affinché sosteniate misure forti, compresa l’adozione di sanzioni mirate, nelle conclusioni del Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione europea sul Congo che verranno adottate il 17 ottobre. Un’azione tempestiva potrebbe impedire che la situazione in Congo vada fuori controllo nelle prossime settimane, con ripercussioni potenzialmente violente ed estese in tutta la regione.

Giovani attivisti per la democrazia partecipano ad una protesta contro il rinvio delle elezioni a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, il 19 settembre 2016. © 2016 Privata

A meno di dieci settimane dal 19 dicembre, quando il presidente Kabila dovrebbe lasciare la carica al termine di un doppio mandato come previsto dalla Costituzione, le autorità congolesi hanno deliberatamente rallentato la pianificazione delle elezioni, il presidente Kabila ha rifiutato, a più riprese, di dichiarare se lascerà o meno la presidenza, e i suoi fedeli hanno sistematicamente cercato di far tacere, reprimere e intimidire la crescente coalizione di voci che invocano il rispetto della Costituzione.

La crisi si è aggravata ulteriormente durante la settimana del 19 settembre, quando congolesi in tutto il Paese sono scesi in strada per protestare contro la mancata convocazione, prevista dalla Costituzione, di elezioni presidenziali tre mesi prima della fine del mandato di Kabila. Le forze dell’ordine hanno risposto alle proteste con un uso eccessivo della forza letale, uccidendo almeno 56 persone nella capitale Kinshasa.

(Per ulteriori dettagli sulle violenze di settembre, vedi sotto.)

Gli eventi del mese scorso potrebbero rivelarsi uno scorcio sugli sviluppi delle settimane a venire, su scala potenzialmente molo più vasta, se il presidente Kabila non dovesse inviare un chiaro segnale che intende lasciare l’incarico alla fine del suo mandato, permettendo l’organizzazione di elezioni credibili.

Nonostante il quadro cupo, c’è ancora una possibilità di impedire che si verifichi lo scenario peggiore.

L’imposizione di sanzioni mirate dell’Ue contro alti funzionari delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, e contro funzionari governativi responsabili per la violenta repressione manderebbe un forte segnale sul fatto che ci siano conseguenze per le azioni repressive e che le dichiarazioni dell’Ue e dei suoi Stati membri non siano solo vuote minacce. Tali azioni potrebbero anche scoraggiare ulteriori violenze, tenere a freno le unità e i comandanti più violenti, aumentare la pressione sul presidente Kabila per lasciare pacificamente la presidenza alla fine del suo mandato ed evitare così una crisi più vasta. Il Parlamento europeo ha anche fatto appello all’Ue, a più riprese nei mesi scorsi, per attuare sanzioni mirate.

Il tempo di agire è arrivato, prima che ci siano ancora più morti nelle strade e prima che sia potenzialmente troppo tardi perché Kabila cambi rotta.

A seguire, un riassunto della nostra ricerca sulle violenze a Kinshasa nella settimana del 19 settembre. Presto pubblicheremo un rapporto in merito.

Per ulteriori informazioni sulla crisi in Congo, si prega di guardare:

https://www.hrw.org/news/2016/09/18/democratic-republic-congo-precipice-ending-repression-and-promoting-democratic-rule

Repressione nella settimana del 19 settembre

Nel corso delle proteste di Kinshasa del 19, 20 e 21 settembre, le forze di sicurezza congolesi hanno ucciso almeno 56 persone, secondo le ricerche di Human Rights Watch. Il bilancio effettivo potrebbe essere molto più alto. Human Rights Watch ha ricevuto rapporti credibili, che stiamo cercando di verificare, su altre trenta e più vittime uccise dalle forze di sicurezza.    

La maggior parte delle vittime sono state uccise quando le forze di sicurezza hanno sparato sulla folla di manifestanti. Altre persone sono state uccise quando le forze di sicurezza hanno dato fuoco ad almeno tre uffici dei partiti d’opposizione. I corpi di molte delle vittime sono stati portati via dalle forze di sicurezza, apparentemente nel tentativo di nascondere prove ed impedire alle famiglie di organizzare funerali. Alcuni corpi sono stati poi gettati nel fiume Congo e molti sono riemersi più tardi sulle rive del fiume nel quartiere Kinsuka di Kinshasa.

Anche alcuni dei manifestanti in Kinshasa hanno fatto ricorso alla violenza, picchiando o dando alle fiamme e uccidendo almeno tre agenti di polizia e un civile. Hanno anche incendiato e saccheggiato stazioni di polizia, un tribunale, telecamere di sorveglianza pubblica, negozi cinesi, edifici associati a funzionari del partito di maggioranza e altri posti percepiti come legati al presidente Kabila o rappresentativi di lui e del suo governo.

La nostra ricerca ha riscontrato che anche poliziotti e membri di gruppi giovanili, mobilitati da funzionari del partito di governo, e rappresentanti delle forze dell’ordine, sono stati coinvolti nei saccheggi e nelle violenze. Un membro del gruppo giovanile del partito di governo ha riferito a Human Rights Watch di essere stato reclutato, insieme ad altri giovani, da funzionari di partito, con una paga di circa 35 dollari a testa, con il compito di “creare confusione alla manifestazione dell’opposizione e creare problemi così che sembrasse che la violenza fosse scaturita dall’opposizione”. Un membro del gruppo giovanile legato al Vita Club, una squadra di calcio presieduta dal comandante dell’esercito Gen. Gabriel Amisi, ha riferito a Human Rights Watch di essere stato convocato anche lui a una riunione prima delle manifestazioni.

Due funzionari di sicurezza e dei servizi segreti congolesi hanno detto a Human Rights Watch che funzionari del partito di governo e agenti delle forze dell’ordine hanno reclutato membri dei gruppi giovanili e smobilitato combattenti per interrompere le manifestazioni. “Erano lì come infiltrati nelle manifestazioni per fare esplodere violenze dall’interno”, ha detto uno di loro. “Cominciavano disordini, i manifestanti rispondevano e questo poi giustificava la risposta della polizia”.

In quello che sembra un tentativo di impedire a osservatori indipendenti di documentare la repressione governativa, non appena sono scoppiate le proteste il 19 settembre le forze di sicurezza hanno detenuto otto giornalisti stranieri e congolesi, il leader di Kinshasa del gruppo giovanile pro-democratico Filimbi e un attivista di diritti umani congolese. Anche gli uffici di un’organizzazione di spicco per i diritti umani, nonché una piattaforma per la società civile, sono stati oggetto di atti vandalici. Il leader dell’opposizione Martin Fayulu è stato ferito gravemente da un lacrimogeno che lo ha colpito in testa ed  è stato ricoverato per diversi giorni. Un altro leader dell’opposizione, Moise Moni Della, presidente del partito Conservateurs de la Nature et Démocrates (CONADE), è stato arrestato all’incirca alle 10 del mattino del 19 settembre, mentre si avviava verso le manifestazioni. Dei soldati lo hanno pestato e poi arrestato. Più tardi, è stato accusato di saccheggi e rimane tuttora in detenzione. 

Nei giorni successivi alle proteste le forze di sicurezza hanno eseguito perquisizioni porta a porta, in assenza di mandato, per cercare, secondo quanto dichiarato, beni che erano stati saccheggiati e armi sottratte dalle stazioni di polizia. Decine di giovani sono stati arrestati e sembra che molti di loro siano stati presi di mira casualmente.

Agenti di frontiera hanno arrestato Bruno Tshibala, vice-segretario generale della Union pour la démocratie et le progrès social (UDPS), uno dei principali partiti d’opposizione, e portavoce della coalizione d’opposizione conosciuta come “Rassemblement”, mentre si trovava all’aeroporto internazionale di Kinshasa per un volo per Bruxelles il 9 ottobre. Tshibala rimane in detenzione ed è stato accusato di aver tramato di compiere un massacro, saccheggio e devastazione, accuse che sembrano avere una motivazione di carattere politico.

Secondo quattro agenti di sicurezza e dei servizi segreti congolesi intervistati da Human Rights Watch,

alcuni membri della scorta presidenziale nota come la Guardia repubblicana, tra cui alcune unità dispiegate con uniformi di polizia, sono responsabili per gran parte della repressione avvenuta durante le manifestazioni, avendo sparato sui manifestanti con munizioni vere e attaccato il quartier generale del partito d’opposizione. 

“Era stato dato ordine di reprimere le proteste così che i manifestanti non riuscissero nella loro missione” ha detto un agente. “Era stato dato ordine di fare qualunque cosa affinché non entrassero a Gombe [la parte della capitale dove si trova la maggior parte degli edifici governativi, la presidenza e le ambasciate].” Un altro ha affermato che gli ordini erano di “schiacciare” le manifestazioni. Secondo un agente di sicurezza, i soldati della Guardia repubblicana, dell’esercito e i poliziotti dispiegati a Kinshasa la settimana del 19 settembre sono stati pagati, il 16 settembre, con gratifiche date come incoraggiamento per una risposta forte durante le manifestazioni.

Molti agenti hanno detto a Human Rights Watch che il Gen. Amisi, comandante dell’esercito della prima zona di difesa che comprende Kinshasa e altre province occidentali, e il Gen. Ilunga Kampete, comandante generale della Guardia repubblicana, erano alla guida di un centro di comando operativo a Kinshasa durante la settimana del 19 settembre e hanno dato ordini alle unità sul campo delle forze di sicurezza che hanno effettuato la repressione. Il Gen. Amisi ha una lunga storia di coinvolgimento in gravi abusi dei diritti umani ed è stato sanzionato, recentemente, dal governo degli Stati Uniti.

Almeno dodici funzionari di governo, membri della coalizione di maggioranza di Kabila, e agenti delle forze dell’ordine hanno riferito a Human Rights Watch che il direttore dell’agenzia nazionale di Intelligence (ANR) Kalev Mutond ha svolto un ruolo fondamentale nella strategia generale di repressione adottata dal governo, compreso il giro di vite della settimana del 19 settembre, così come in altri abusi a danno di giovani attivisti per i diritti umani e per la democrazia, leader e sostenitori dell’opposizione, e altri partecipanti nelle manifestazioni pacifiche e riunioni, o che si sono opposti ai tentativi di estendere la presidenza di Kabila.

L’agenzia di intelligence di Mutond ha arrestato arbitrariamente decine di giovani attivisti per i diritti umani e per la democrazia e leader dell’opposizione, molti dei quali sono stati detenuti senza possibilità di comunicare con l’esterno per settimane o mesi, senza accusa né la possibilità di contattare parenti  o avvocati. Alcuni sono stati processati con accuse fasulle, e in tali casi Mutond avrebbe anche svolto un ruolo nell’intimidire i giudici e imporre sentenze. Alcuni degli individui detenuti dall’ANR nel corso della repressione governativa sono stati maltrattati o torturati, anche a mezzo di scariche elettriche sul corpo e una pratica simile all’affogamento, metodi che equivalgono a tortura. Un altro prigioniero è stato obbligato a sdraiarsi a terra e fissare il sole, e a eseguire cento flessioni su fango e ghiaia, mentre un agente dell’ANR stava in piedi sui suoi talloni e lo colpiva con dei rami quando non riusciva a completare le flessioni. Inoltre, agenti dell’ANR hanno ripetutamente intimidito, minacciato e molestato attivisti, giornalisti, leader e sostenitori dell’opposizione, apparentemente nell’ambito di una più larga campagna per impaurirli e limitarne il lavoro.

Molti funzionari hanno riferito che anche Evariste Boshab, vice primo ministro e ministro dell’interno e della sicurezza, ha svolto un importante ruolo di comando nella repressione negli ultimi due anni. In quanto ministro dell’interno e della sicurezza, è ufficialmente responsabile della polizia e dei servizi di sicurezza e del coordinamento del lavoro dei governatori delle province. Queste entità hanno a più riprese bandito o represso manifestazioni di opposizione, imprigionato attivisti e avversari, chiuso organi di stampa e bloccato la libertà di movimento dei leader di opposizione. 

Le conclusioni di Human Rights Watch si basano su interviste con oltre 50 vittime, testimoni, agenti delle forze di sicurezza, e altri.

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