Le proporzioni di quest'ultima tragedia sono senza precedenti: almeno 94 persone sono morte e centinaia disperse dopo che un barcone sovraccarico, che trasportava circa 500 persone, ha preso fuoco ed è affondato al largo di Lampedusa giovedì mattina. Circa 150 persone sono state tratte in salvo e proseguono le ricerche di altri sopravvissuti, nonostante le speranze vadano affievolendosi.
Ma le morti di migranti e richiedenti asilo che tentano di raggiungere le coste d'Europa sono una tragedia ricorrente, e una vergogna protratta per l'Europa. Si stima che 1500 persone siano morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo nel 2011, una anno che ha visto un aumento significativo degli attraversamenti per via dei conflitti e dei sollevamenti in Nord Africa. Le cifre si sono fortunatamente abbassatenel 2012 a circa 500 morti, pur sempre un numero scioccante. L’altro ieri ho contattato l'Acnur a Roma per avere le loro stime più recenti delle morti in mare di quest'anno. Ne hanno calcolate un centinaio (non ci sono mai cifre sicure). Quel numero si è tragicamente raddoppiato nello spazio di poche ore.
Il governo italiano ha proclamato oggi un giorno di lutto. Il che è appropriato, ma di certo non sufficiente. Le morti di così tante persone dovrebbero scuotere le coscienze di tutti in Europa, compresi i governanti. Troppo a lungo, il controllo dei confini dell'Ue, compresa la sorveglianza dei confini marittimi, si è concentrato sul bloccare l'accesso piuttosto che salvare vite. Ciò deve cambiare.
Occorre che impedire morti in mare sia alla base di un approccio coordinato a livello europeo per affrontare l'immigrazione su barconi. Ciò comporta che si migliori il coordinamento tra Stati membri dell'Ue nelle operazioni di ricerca e soccorso, che si risolvano le dispute sulle responsabilità per salvataggio e sbarco, che si rimuovano i disincentivi per le imbarcazioni commerciali dal prestare soccorso, e che si sostituisca un'enfasi costante sulla protezione dei confini con l'imperativo di salvare vite umane.