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Giugno 2021 

Azione 1: Garantire operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.

Il Mediterraneo centrale è da tempo riconosciuto come una delle rotte migratorie più pericolose del mondo. Negli ultimi 10 anni, circa 20.000 persone hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Unione Europea (UE) a bordo di imbarcazioni e gommoni fatiscenti e sovraffollati. Sebbene il numero complessivo di persone che tentano la traversata sia diminuito dal 2017, in centinaia continuano ad annegare ogni anno. Molte vite potrebbero essere salvate se gli stati membri dell’UE garantissero e attivassero efficaci operazioni di ricerca e soccorso (SAR) nel Mediterraneo centrale, invece di negare l’impiego di navi e ostacolare l’attività di organizzazioni di soccorso non governative (Ong). Non ci sono prove a favore della tesi secondo cui le operazioni SAR sarebbero di incoraggiamento per questi viaggi. Infatti, l’assenza delle imbarcazioni di soccorso non sembra andare a intaccare la volontà delle persone di partire dalla Libia o da altri luoghi come la Tunisia. Inoltre, la Commissione europea ha pregiudicato la legittimità delle organizzazioni SAR, mentre gli stati membri hanno fatto ricorso a una serie variegata di mezzi per negare o ritardare le attività civili di soccorso.

Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch raccomandano che le istituzioni dell’Unione Europea e i suoi stati membri:

1. Dispieghino un numero adeguato di navi, comprese alcune che abbiano il salvataggio di vite come obiettivo primario, lungo le rotte seguite dalle imbarcazioni che portano rifugiati, richiedenti asilo e migranti, anche attraverso operazioni Frontex e missioni UE. Il ripristino di operazioni SAR proattive guidate dallo stato, anche sotto l’egida dell’UE, dovrebbe costituire una priorità.

2. Si astengano dal criminalizzare comandanti ed equipaggi per l’assistenza prestata a persone in difficoltà in mare e per il tentativo di farli sbarcare in luoghi sicuri e aiutino tutti i comandanti che si trovano in situazioni simili a portare a termine le operazioni in maniera sicura e tempestiva.

3. Garantiscano che le Ong siano pienamente in grado di condurre attività SAR, anche attraverso una cooperazione pronta e costante tra i centri di coordinamento di soccorso degli stati membri e le Ong. Secondo la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani, devono assicurare che le Ong operino in un ambiente sicuro e favorevole. Gli stati membri dovrebbero astenersi dall’abusare di norme penali e procedure amministrative per ostacolarne le attività.

Azione 2: Proteggere i diritti nella cooperazione con la Libia in materia migratoria

La cooperazione con il Governo di unità nazionale (Gnu) della Libia che consente alle forze libiche di intercettare le persone in mare e riportarle in Libia continua a svolgere un ruolo centrale nella strategia europea che ha lo scopo di ridurre il numero di arrivi irregolari in Europa via mare. Questa strategia prosegue, nonostante le evidenze che essa favorisca le terribili sofferenze di donne, uomini e bambini che vengono rimpatriati in Libia. La Libia non costituisce un porto sicuro ai fini del diritto internazionale, come riconosciuto dall’Unhcr e da numerose altre istituzioni, considerato il rischio costante che rifugiati, richiedenti asilo e migranti siano soggetti a gravi violazioni e abusi dei diritti umani, tra cui detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, rapimenti, torture e altri maltrattamenti, uccisioni illegali, stupro e altre violenze sessuali, lavoro forzato, negazione dell’assistenza medica ed espulsioni illegali. Inoltre, le autorità libiche sono inadempienti rispetto alle proprie responsabilità in ambito SAR, quali il dovere di garantire il coordinamento efficace e tempestivo delle operazioni di soccorso e l’indicazione di un porto sicuro per lo sbarco, e la loro condotta in mare mette in pericolo vite umane. In tale contesto, Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch raccomandano che le istituzioni UE e i suoi stati membri:

4. Riesaminino e riformino le politiche di cooperazione con le autorità libiche in materia di gestione delle frontiere e migrazione, al fine di interrompere qualsiasi azione che contribuisca al contenimento delle persone in Libia, dove sono in grave pericolo. In particolare, modifichino i termini della cooperazione con le autorità libiche in tema di gestione frontaliera e migrazione e concentrino gli interventi sulla priorità da dare alla protezione dei diritti umani, anche attraverso una tempestiva evacuazione delle persone a maggior rischio di violazioni dei diritti umani. La politica della UE e la sua strategia di finanziamento in relazione alla Libia dovrebbero avere quale scopo la promozione del rispetto, della protezione e della realizzazione dei diritti umani di tutte le persone che si trovano sotto la giurisdizione delle autorità libiche, tra cui rifugiati, richiedenti asilo e migranti, invece di porsi come obiettivo il controllo delle migrazioni nella UE e/o nei suoi stati membri. Inoltre, dovrebbero contenere una forte componente di due diligence per valutare i rischi in materia di diritti umani e adottare misure efficaci per la loro prevenzione e mitigazione, ed eventuali rimedi.

5. Limitino la cooperazione con la Guardia costiera libica e l’Amministrazione generale per la sicurezza costiera in acque internazionali ai casi in cui il loro intervento è essenziale per evitare imminenti perdite di vite umane. Subordinino la cooperazione con le autorità marittime libiche a misure volte a prevenire lo sbarco in Libia delle persone soccorse, anche chiedendo alla Guardia costiera libica e all’Amministrazione generale per la sicurezza costiera di: a) limitare le proprie attività SAR alle acque territoriali libiche, ad eccezione dei casi in cui le loro navi possano rispondere più velocemente a imbarcazioni in difficoltà in acque internazionali; (b) assicurare che tutte le imbarcazioni civili, comprese le imbarcazioni gestite dalle Ong, siano perfettamente in grado di svolgere attività SAR essenziali, senza alcun ostacolo, anche nella zona SAR libica; c) astenersi dal dare indicazioni a qualsiasi imbarcazione di far sbarcare in Libia le persone soccorse o di trasferirle su imbarcazioni libiche, laddove appaia chiaro che tali imbarcazioni faranno sbarcare le persone in Libia; e d) concordare di trasferire le persone salvate in acque internazionali su navi che le faranno sbarcare in luoghi sicuri, diversi dalla Libia.

6. Si impegnino insieme alle Nazioni Unite e all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) nella definizione di procedure operative, in piena conformità con il diritto e gli standard internazionali, per le operazioni SAR all’interno della zona SAR libica. Fino a quando ciò non accadrà, garantiscano che, conformemente agli obblighi previsti dalle convenzioni SAR, i centri europei di coordinamento per il soccorso esercitino immediato coordinamento qualora vengano segnalate imbarcazioni in difficoltà, anche in acque internazionali all’interno della zona SAR libica, in particolare quando le autorità libiche non adempiano alle proprie responsabilità di coordinamento.

7. Subordinino la continuazione della cooperazione con le autorità libiche in materia di gestione delle migrazioni e delle frontiere all’adozione di azioni concrete e suscettibili di verifica, quali: a) il rilascio tempestivo di tutti i rifugiati, richiedenti asilo e migranti che sono detenuti arbitrariamente in Libia, e la fine del sistema di detenzione automatica e indeterminata esclusivamente sulla base dello status di migrante, anche attraverso la chiusura di tutti i centri di detenzione; b) il riconoscimento completo e formale dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, Unhcr, sotto forma di un protocollo di intesa che garantisca il pieno accesso dell’organizzazione alle persone bisognose di protezione in tutto il paese e la possibilità di espletare il proprio mandato completamente, indipendentemente dalla nazionalità dei beneficiari; c) la firma e la ratifica della Convenzione sui rifugiati del 1951 e il suo Protocollo del 1967 e l’adozione e attuazione di nuove norme, politiche e procedure in tema di migrazione e asilo, che garantiscano la depenalizzazione dell’ingresso, soggiorno e partenza irregolare, attraverso emendamenti alla legge n.19 del 2010 e alla legge n.6 del 1987, e la creazione di un sistema di asilo che rispetti gli standard internazionali; e d) la creazione di meccanismi nazionali che garantiscano un monitoraggio indipendente, imparziale e trasparente delle violazioni nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti in Libia, con lo scopo di assicurare l’assunzione di responsabilità da parte di attori statali e non statali, e al contempo la garanzia che il Servizio per i diritti umani di Ohchr/Unsmil abbia accesso totale e senza impedimenti ai centri di detenzione, punti di sbarco e altri luoghi della Libia in cui si trovano rifugiati, richiedenti asilo e migranti.

Azione 3: Creare un meccanismo trasparente per coordinare sbarchi e ricollocazioni

L’assenza di un meccanismo di condivisione della responsabilità tra gli stati membri dell’UE per l’assistenza alle persone che arrivano in Europa e le controversie in merito all’assegnazione di un porto di sbarco sono le ragioni fondamentali per cui singoli paesi, come Italia e Malta, e l’UE nel suo complesso, cercano di eludere – e in effetti non adempiono – le proprie responsabilità SAR. La mancanza di chiarezza riguardo a quale debba essere il porto di sbarco da assegnare, soprattutto a seguito di soccorsi nella zona SAR libica, ha portato centinaia di persone in situazioni già difficili a restare per giorni, a volte settimane, abbandonate in mare su navi mercantili o delle Ong, prima che venisse loro consentito di sbarcare. Nel contesto di complesse e problematiche proposte da parte della Commissione europea all’interno del nuovo Patto europeo su migrazione e asilo del settembre 2020, Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch chiedono alle istituzioni europee e agli stati membri di:

8. Garantire che a qualsiasi imbarcazione impegnata nel soccorso a rifugiati, richiedenti asilo e migranti in difficoltà nel Mediterraneo centrale, compresa la zona SAR libica, sia tempestivamente offerto un porto sicuro, diverso dalla Libia, in cui i sopravvissuti possano sbarcare e ricevere assistenza adeguata, compresa la possibilità di formulare richiesta di protezione internazionale.

9. Definire, per rendere operative queste raccomandazioni, un chiaro meccanismo, coerente con il diritto e gli standard internazionali, per stabilire in quali luoghi sicuri le navi possano far sbarcare in maniera tempestiva persone soccorse nella zona SAR libica. Il meccanismo dovrebbe avere carattere di prevedibilità, in base al quale il paese di sbarco dovrebbe generalmente essere noto prima e durante le operazioni di soccorso. Inoltre, dovrebbe essere sempre data priorità alla sicurezza e al benessere delle persone a cui è stato prestato soccorso, anche garantendo uno sbarco tempestivo per ridurre al minimo il tempo trascorso a bordo delle navi che hanno prestato assistenza.

10. Assicurare che gli accordi di sbarco rispettino il quadro di riferimento del Sistema europeo comune di asilo, secondo cui le persone soccorse e sbarcate nell’Unione europea devono essere immediatamente informate della possibilità di chiedere protezione internazionale, devono ricevere in maniera tempestiva accesso alla procedura d’asilo e ad adeguate strutture di accoglienza, e devono essere loro assicurate attenzione e cure adeguate in caso di appartenenza a determinati gruppi, quali minori o vittime di torture, violenza sessuale o tratta.

11. Astenersi dal sottoporre le persone sbarcate nell’Unione europea a qualsiasi forma di detenzione illegale, quali detenzione automatica o arbitraria. Migranti e richiedenti asilo, come chiunque altro, devono poter beneficiare della presunzione giuridica della libertà, e di conseguenza qualsiasi restrizione alla loro libertà dovrà essere utilizzata solo quale misura eccezionale a cui ricorrere come ultima possibilità, se necessaria per il raggiungimento di un legittimo scopo, in maniera proporzionale e da stabilirsi caso per caso per il periodo più breve possibile. I principi di necessità e proporzionalità si applicano anche a restrizioni della libertà collegate a considerazioni di natura sanitaria pubblica, come nel contesto dell’attuale pandemia, e la loro applicazione deve essere imposta e attuata in maniera non discriminatoria.

12. In attesa di una visione condivisa sulla riforma del regolamento di Dublino, concordare un sistema equo di condivisione delle responsabilità relativamente alle persone sbarcate, sotto forma di accordi di ricollocazione, con quote di distribuzione basate su criteri obiettivi (ad esempio Pil e popolazione) definiti dal principio, per evitare imprevedibili e prolungate negoziazioni caso-per-caso delle ricollocazioni, durante le operazioni SAR.

Azione 4: Impegnarsi in una condivisione di responsabilità a livello globale e nella predisposizione di canali di migrazione regolari

La sofferenza di rifugiati, richiedenti asilo e migranti è collegata all’incapacità europea di impegnarsi nella definizione di una governance delle migrazioni efficace e basata su sani principi. Il numero di arrivi irregolari è relativamente basso e gestibile rispetto ad altre regioni del mondo che hanno accesso a risorse di gran lunga inferiori. Eppure, governi e istituzioni europee continuano a concentrarsi in maniera miope sulla prevenzione degli arrivi e sull’esternalizzazione delle responsabilità a paesi extracomunitari, compresi quelli con una storia di violazioni sistematiche dei diritti umani. In pratica, questo approccio limita severamente la possibilità di definire politiche migratorie basate su evidenze, che riflettono il fabbisogno lavorativo e la capacità e il potenziale regionale di offrire protezione internazionale, oltre a danneggiare i valori europei e gli obblighi in materia di diritti umani. Le rotte sicure e regolari per coloro che hanno bisogno di protezione, ma anche per coloro che devono emigrare per altre ragioni, quali lavoro o studio, rappresentano una parte fondamentale di una risposta sostenibile a lungo termine alla situazione nel Mediterraneo. Nonostante il grande bisogno dell’Europa di lavoratori in molti settori, le opportunità di migrazione lavorativa regolare sono notevolmente diminuite negli ultimi 30 anni, una delle cause fondamentali che spingono le persone a tentare la traversata del Mediterraneo. Il livello record di sfollamento forzato a causa dell’aumento di conflitti e violenza armata a livello mondiale costituisce un’altra causa profonda. Ricordando gli impegni presi nel Global Compact sui rifugiati e nel Global Compact per promuovere una migrazione sicura, ordinata e regolare, Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch chiedono agli stati dell’UE e alle sue istituzioni di:

13. Attuare e incrementare gli impegni di reinsediamento e aprire percorsi alternativi, quali sponsorizzazioni comunitarie per persone che hanno bisogno di protezione internazionale, comprese le migliaia di persone che si trovano in situazioni di vulnerabilità e sono abbandonate in Libia.

14. Revisionare le politiche in materia di migrazioni per espandere e diversificare la disponibilità di percorsi regolari per coloro che desiderano migrare, ad esempio per motivi di lavoro, studio o ricongiungimento familiare.

15. Migliorare l’assistenza a rifugiati, richiedenti asilo e migranti nelle aree confinanti, soprattutto nella regione del Sahel, in Africa del Nord e nel Corno d’Africa, investendo sulla protezione e realizzazione dei loro diritti umani invece che su misure che hanno lo scopo di contenerli in luoghi in cui non possono vivere in maniera dignitosa e sicura.

Azione 5: Assicurare l’identificazione delle responsabilità per le violazioni dei diritti umani in qualsiasi luogo avvengano

Le deboli istituzioni libiche continuano a non riuscire a garantire accesso alla giustizia e a rimedi efficaci alle vittime di abusi e violazioni dei diritti umani. Sebbene pienamente consapevoli delle mancanze esistenti, i governi europei, guidati dall’Italia, hanno assistito le autorità marittime libiche nell’intercettazione di decine di migliaia di donne, uomini e bambini e nel loro trasferimento in centri di detenzione libici, nonostante le ben documentate condizioni inumane e le sistematiche torture e altri maltrattamenti. Tale pratica è stata sostenuta da tutti gli stati membri dell’UE e dalle sue istituzioni. Inoltre, ha beneficiato del supporto operativo della guardia costiera e di frontiera europea (Frontex) e dell’operazione EunavforMed Sophia/lrini. Gli stati membri dell’Unione europea non hanno quindi adempiuto ai loro obblighi nei confronti delle persone in difficoltà in mare, hanno cercato di eludere i loro obblighi discendenti dal principio di non respingimento e hanno aiutato le autorità libiche nella perpetrazione di gravi violazioni dei diritti umani. Gli stati europei e le loro istituzioni hanno anche mancato di subordinare la propria cooperazione e il proprio supporto all’adozione di misure da parte della Libia che garantiscano che l’assistenza dell’UE non contribuisca a violazioni. A tale scopo, Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch chiedono alle istituzioni dell’Unione europea e ai suoi stati membri di:

16. Garantire l’identificazione delle responsabilità per qualsiasi violazione dei diritti umani a cui possano aver contribuito, attraverso le loro azioni o omissioni, in mare o a terra a seguito dello sbarco, o mediante la loro cooperazione con le autorità libiche. Tale fine dovrebbe essere perseguito attraverso indagini tempestive, complete e indipendenti, e in caso di sufficienti prove ammissibili, intraprendendo azioni legali civili o penali con lo scopo di offrire rimedi adeguati ed efficaci alle persone che hanno subito gravi violazioni dei diritti umani, e anche attraverso inchieste parlamentari.

17. Esaminare le attività di sorveglianza aerea di Frontex nel Mediterraneo centrale, con lo scopo di assicurare un’assunzione di responsabilità per qualsiasi azione che possa costituire una violazione degli obblighi dell’agenzia previsti dal diritto internazionale e comunitario.

18. Garantire un monitoraggio efficace della condotta e delle operazioni in mare della Guardia costiera libica, e adeguati procedimenti di identificazione delle responsabilità in caso di violazioni del diritto internazionale, comprese azioni legali penali per reati eventualmente commessi.

19. Assicurare che la missione di indagine delle Nazioni Unite, creata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per indagare sulle violazioni del diritto internazionale in Libia commesse da tutte le parti dal 2016, abbia sufficienti risorse, supporto amministrativo e tempo per completare il proprio lavoro.

20. Lavorare con le autorità libiche per assicurare che l’identificazione delle responsabilità e le riparazioni alle vittime siano componenti centrali del processo politico in Libia e che tutte le parti nel conflitto rimuovano dal proprio organico chiunque sia ragionevolmente sospettato di aver commesso dei reati previsti dal diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani, con lo scopo di farli rispondere del proprio operato in processi equi che non ricorrano alla pena di morte. Qualsiasi attività di integrazione di milizie o gruppi armati nelle forze di sicurezza o nelle forze armate libiche deve garantire un’adeguata verifica personale dei combattenti per assicurare che non siano stati coinvolti in reati previsti dal diritto internazionale o in altre gravi violazioni dei diritti umani. Le istituzioni europee e gli stati membri dovrebbero lavorare in sinergia per affrontare le conseguenze umanitarie e gli effetti sui diritti umani dei conflitti e dell’esercizio del potere da parte di milizie. Dovrebbero, inoltre, contribuire agli sforzi per creare uno stato di diritto e sostenere i diritti delle vittime a rimedi e riparazioni.

Giugno 2021

Azione 1: Garantire operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.

Il Mediterraneo centrale è da tempo riconosciuto come una delle rotte migratorie più pericolose del mondo. Negli ultimi 10 anni, circa 20.000 persone hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Unione Europea (UE) a bordo di imbarcazioni e gommoni fatiscenti e sovraffollati. Sebbene il numero complessivo di persone che tentano la traversata sia diminuito dal 2017, in centinaia continuano ad annegare ogni anno. Molte vite potrebbero essere salvate se gli stati membri dell’UE garantissero e attivassero efficaci operazioni di ricerca e soccorso (SAR) nel Mediterraneo centrale, invece di negare l’impiego di navi e ostacolare l’attività di organizzazioni di soccorso non governative (Ong). Non ci sono prove a favore della tesi secondo cui le operazioni SAR sarebbero di incoraggiamento per questi viaggi. Infatti, l’assenza delle imbarcazioni di soccorso non sembra andare a intaccare la volontà delle persone di partire dalla Libia o da altri luoghi come la Tunisia. Inoltre, la Commissione europea ha pregiudicato la legittimità delle organizzazioni SAR, mentre gli stati membri hanno fatto ricorso a una serie variegata di mezzi per negare o ritardare le attività civili di soccorso.

Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch raccomandano che le istituzioni dell’Unione Europea e i suoi stati membri:

1. Dispieghino un numero adeguato di navi, comprese alcune che abbiano il salvataggio di vite come obiettivo primario, lungo le rotte seguite dalle imbarcazioni che portano rifugiati, richiedenti asilo e migranti, anche attraverso operazioni Frontex e missioni UE. Il ripristino di operazioni SAR proattive guidate dallo stato, anche sotto l’egida dell’UE, dovrebbe costituire una priorità.

2. Si astengano dal criminalizzare comandanti ed equipaggi per l’assistenza prestata a persone in difficoltà in mare e per il tentativo di farli sbarcare in luoghi sicuri e aiutino tutti i comandanti che si trovano in situazioni simili a portare a termine le operazioni in maniera sicura e tempestiva.

3. Garantiscano che le Ong siano pienamente in grado di condurre attività SAR, anche attraverso una cooperazione pronta e costante tra i centri di coordinamento di soccorso degli stati membri e le Ong. Secondo la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani, devono assicurare che le Ong operino in un ambiente sicuro e favorevole. Gli stati membri dovrebbero astenersi dall’abusare di norme penali e procedure amministrative per ostacolarne le attività.

Azione 2: Proteggere i diritti nella cooperazione con la Libia in materia migratoria

La cooperazione con il Governo di unità nazionale (Gnu) della Libia che consente alle forze libiche di intercettare le persone in mare e riportarle in Libia continua a svolgere un ruolo centrale nella strategia europea che ha lo scopo di ridurre il numero di arrivi irregolari in Europa via mare. Questa strategia prosegue, nonostante le evidenze che essa favorisca le terribili sofferenze di donne, uomini e bambini che vengono rimpatriati in Libia. La Libia non costituisce un porto sicuro ai fini del diritto internazionale, come riconosciuto dall’Unhcr e da numerose altre istituzioni, considerato il rischio costante che rifugiati, richiedenti asilo e migranti siano soggetti a gravi violazioni e abusi dei diritti umani, tra cui detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, rapimenti, torture e altri maltrattamenti, uccisioni illegali, stupro e altre violenze sessuali, lavoro forzato, negazione dell’assistenza medica ed espulsioni illegali. Inoltre, le autorità libiche sono inadempienti rispetto alle proprie responsabilità in ambito SAR, quali il dovere di garantire il coordinamento efficace e tempestivo delle operazioni di soccorso e l’indicazione di un porto sicuro per lo sbarco, e la loro condotta in mare mette in pericolo vite umane. In tale contesto, Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch raccomandano che le istituzioni UE e i suoi stati membri:

4. Riesaminino e riformino le politiche di cooperazione con le autorità libiche in materia di gestione delle frontiere e migrazione, al fine di interrompere qualsiasi azione che contribuisca al contenimento delle persone in Libia, dove sono in grave pericolo. In particolare, modifichino i termini della cooperazione con le autorità libiche in tema di gestione frontaliera e migrazione e concentrino gli interventi sulla priorità da dare alla protezione dei diritti umani, anche attraverso una tempestiva evacuazione delle persone a maggior rischio di violazioni dei diritti umani. La politica della UE e la sua strategia di finanziamento in relazione alla Libia dovrebbero avere quale scopo la promozione del rispetto, della protezione e della realizzazione dei diritti umani di tutte le persone che si trovano sotto la giurisdizione delle autorità libiche, tra cui rifugiati, richiedenti asilo e migranti, invece di porsi come obiettivo il controllo delle migrazioni nella UE e/o nei suoi stati membri. Inoltre, dovrebbero contenere una forte componente di due diligence per valutare i rischi in materia di diritti umani e adottare misure efficaci per la loro prevenzione e mitigazione, ed eventuali rimedi.

5. Limitino la cooperazione con la Guardia costiera libica e l’Amministrazione generale per la sicurezza costiera in acque internazionali ai casi in cui il loro intervento è essenziale per evitare imminenti perdite di vite umane. Subordinino la cooperazione con le autorità marittime libiche a misure volte a prevenire lo sbarco in Libia delle persone soccorse, anche chiedendo alla Guardia costiera libica e all’Amministrazione generale per la sicurezza costiera di: a) limitare le proprie attività SAR alle acque territoriali libiche, ad eccezione dei casi in cui le loro navi possano rispondere più velocemente a imbarcazioni in difficoltà in acque internazionali; (b) assicurare che tutte le imbarcazioni civili, comprese le imbarcazioni gestite dalle Ong, siano perfettamente in grado di svolgere attività SAR essenziali, senza alcun ostacolo, anche nella zona SAR libica; c) astenersi dal dare indicazioni a qualsiasi imbarcazione di far sbarcare in Libia le persone soccorse o di trasferirle su imbarcazioni libiche, laddove appaia chiaro che tali imbarcazioni faranno sbarcare le persone in Libia; e d) concordare di trasferire le persone salvate in acque internazionali su navi che le faranno sbarcare in luoghi sicuri, diversi dalla Libia.

6. Si impegnino insieme alle Nazioni Unite e all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) nella definizione di procedure operative, in piena conformità con il diritto e gli standard internazionali, per le operazioni SAR all’interno della zona SAR libica. Fino a quando ciò non accadrà, garantiscano che, conformemente agli obblighi previsti dalle convenzioni SAR, i centri europei di coordinamento per il soccorso esercitino immediato coordinamento qualora vengano segnalate imbarcazioni in difficoltà, anche in acque internazionali all’interno della zona SAR libica, in particolare quando le autorità libiche non adempiano alle proprie responsabilità di coordinamento.

7. Subordinino la continuazione della cooperazione con le autorità libiche in materia di gestione delle migrazioni e delle frontiere all’adozione di azioni concrete e suscettibili di verifica, quali: a) il rilascio tempestivo di tutti i rifugiati, richiedenti asilo e migranti che sono detenuti arbitrariamente in Libia, e la fine del sistema di detenzione automatica e indeterminata esclusivamente sulla base dello status di migrante, anche attraverso la chiusura di tutti i centri di detenzione; b) il riconoscimento completo e formale dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, Unhcr, sotto forma di un protocollo di intesa che garantisca il pieno accesso dell’organizzazione alle persone bisognose di protezione in tutto il paese e la possibilità di espletare il proprio mandato completamente, indipendentemente dalla nazionalità dei beneficiari; c) la firma e la ratifica della Convenzione sui rifugiati del 1951 e il suo Protocollo del 1967 e l’adozione e attuazione di nuove norme, politiche e procedure in tema di migrazione e asilo, che garantiscano la depenalizzazione dell’ingresso, soggiorno e partenza irregolare, attraverso emendamenti alla legge n.19 del 2010 e alla legge n.6 del 1987, e la creazione di un sistema di asilo che rispetti gli standard internazionali; e d) la creazione di meccanismi nazionali che garantiscano un monitoraggio indipendente, imparziale e trasparente delle violazioni nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti in Libia, con lo scopo di assicurare l’assunzione di responsabilità da parte di attori statali e non statali, e al contempo la garanzia che il Servizio per i diritti umani di Ohchr/Unsmil abbia accesso totale e senza impedimenti ai centri di detenzione, punti di sbarco e altri luoghi della Libia in cui si trovano rifugiati, richiedenti asilo e migranti.

Azione 3: Creare un meccanismo trasparente per coordinare sbarchi e ricollocazioni

L’assenza di un meccanismo di condivisione della responsabilità tra gli stati membri dell’UE per l’assistenza alle persone che arrivano in Europa e le controversie in merito all’assegnazione di un porto di sbarco sono le ragioni fondamentali per cui singoli paesi, come Italia e Malta, e l’UE nel suo complesso, cercano di eludere – e in effetti non adempiono – le proprie responsabilità SAR. La mancanza di chiarezza riguardo a quale debba essere il porto di sbarco da assegnare, soprattutto a seguito di soccorsi nella zona SAR libica, ha portato centinaia di persone in situazioni già difficili a restare per giorni, a volte settimane, abbandonate in mare su navi mercantili o delle Ong, prima che venisse loro consentito di sbarcare. Nel contesto di complesse e problematiche proposte da parte della Commissione europea all’interno del nuovo Patto europeo su migrazione e asilo del settembre 2020, Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch chiedono alle istituzioni europee e agli stati membri di:

8. Garantire che a qualsiasi imbarcazione impegnata nel soccorso a rifugiati, richiedenti asilo e migranti in difficoltà nel Mediterraneo centrale, compresa la zona SAR libica, sia tempestivamente offerto un porto sicuro, diverso dalla Libia, in cui i sopravvissuti possano sbarcare e ricevere assistenza adeguata, compresa la possibilità di formulare richiesta di protezione internazionale.

9. Definire, per rendere operative queste raccomandazioni, un chiaro meccanismo, coerente con il diritto e gli standard internazionali, per stabilire in quali luoghi sicuri le navi possano far sbarcare in maniera tempestiva persone soccorse nella zona SAR libica. Il meccanismo dovrebbe avere carattere di prevedibilità, in base al quale il paese di sbarco dovrebbe generalmente essere noto prima e durante le operazioni di soccorso. Inoltre, dovrebbe essere sempre data priorità alla sicurezza e al benessere delle persone a cui è stato prestato soccorso, anche garantendo uno sbarco tempestivo per ridurre al minimo il tempo trascorso a bordo delle navi che hanno prestato assistenza.

10. Assicurare che gli accordi di sbarco rispettino il quadro di riferimento del Sistema europeo comune di asilo, secondo cui le persone soccorse e sbarcate nell’Unione europea devono essere immediatamente informate della possibilità di chiedere protezione internazionale, devono ricevere in maniera tempestiva accesso alla procedura d’asilo e ad adeguate strutture di accoglienza, e devono essere loro assicurate attenzione e cure adeguate in caso di appartenenza a determinati gruppi, quali minori o vittime di torture, violenza sessuale o tratta.

11. Astenersi dal sottoporre le persone sbarcate nell’Unione europea a qualsiasi forma di detenzione illegale, quali detenzione automatica o arbitraria. Migranti e richiedenti asilo, come chiunque altro, devono poter beneficiare della presunzione giuridica della libertà, e di conseguenza qualsiasi restrizione alla loro libertà dovrà essere utilizzata solo quale misura eccezionale a cui ricorrere come ultima possibilità, se necessaria per il raggiungimento di un legittimo scopo, in maniera proporzionale e da stabilirsi caso per caso per il periodo più breve possibile. I principi di necessità e proporzionalità si applicano anche a restrizioni della libertà collegate a considerazioni di natura sanitaria pubblica, come nel contesto dell’attuale pandemia, e la loro applicazione deve essere imposta e attuata in maniera non discriminatoria.

12. In attesa di una visione condivisa sulla riforma del regolamento di Dublino, concordare un sistema equo di condivisione delle responsabilità relativamente alle persone sbarcate, sotto forma di accordi di ricollocazione, con quote di distribuzione basate su criteri obiettivi (ad esempio Pil e popolazione) definiti dal principio, per evitare imprevedibili e prolungate negoziazioni caso-per-caso delle ricollocazioni, durante le operazioni SAR.

Azione 4: Impegnarsi in una condivisione di responsabilità a livello globale e nella predisposizione di canali di migrazione regolari

La sofferenza di rifugiati, richiedenti asilo e migranti è collegata all’incapacità europea di impegnarsi nella definizione di una governance delle migrazioni efficace e basata su sani principi. Il numero di arrivi irregolari è relativamente basso e gestibile rispetto ad altre regioni del mondo che hanno accesso a risorse di gran lunga inferiori. Eppure, governi e istituzioni europee continuano a concentrarsi in maniera miope sulla prevenzione degli arrivi e sull’esternalizzazione delle responsabilità a paesi extracomunitari, compresi quelli con una storia di violazioni sistematiche dei diritti umani. In pratica, questo approccio limita severamente la possibilità di definire politiche migratorie basate su evidenze, che riflettono il fabbisogno lavorativo e la capacità e il potenziale regionale di offrire protezione internazionale, oltre a danneggiare i valori europei e gli obblighi in materia di diritti umani. Le rotte sicure e regolari per coloro che hanno bisogno di protezione, ma anche per coloro che devono emigrare per altre ragioni, quali lavoro o studio, rappresentano una parte fondamentale di una risposta sostenibile a lungo termine alla situazione nel Mediterraneo. Nonostante il grande bisogno dell’Europa di lavoratori in molti settori, le opportunità di migrazione lavorativa regolare sono notevolmente diminuite negli ultimi 30 anni, una delle cause fondamentali che spingono le persone a tentare la traversata del Mediterraneo. Il livello record di sfollamento forzato a causa dell’aumento di conflitti e violenza armata a livello mondiale costituisce un’altra causa profonda. Ricordando gli impegni presi nel Global Compact sui rifugiati e nel Global Compact per promuovere una migrazione sicura, ordinata e regolare, Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch chiedono agli stati dell’UE e alle sue istituzioni di:

13. Attuare e incrementare gli impegni di reinsediamento e aprire percorsi alternativi, quali sponsorizzazioni comunitarie per persone che hanno bisogno di protezione internazionale, comprese le migliaia di persone che si trovano in situazioni di vulnerabilità e sono abbandonate in Libia.

14. Revisionare le politiche in materia di migrazioni per espandere e diversificare la disponibilità di percorsi regolari per coloro che desiderano migrare, ad esempio per motivi di lavoro, studio o ricongiungimento familiare.

15. Migliorare l’assistenza a rifugiati, richiedenti asilo e migranti nelle aree confinanti, soprattutto nella regione del Sahel, in Africa del Nord e nel Corno d’Africa, investendo sulla protezione e realizzazione dei loro diritti umani invece che su misure che hanno lo scopo di contenerli in luoghi in cui non possono vivere in maniera dignitosa e sicura.

Azione 5: Assicurare l’identificazione delle responsabilità per le violazioni dei diritti umani in qualsiasi luogo avvengano

Le deboli istituzioni libiche continuano a non riuscire a garantire accesso alla giustizia e a rimedi efficaci alle vittime di abusi e violazioni dei diritti umani. Sebbene pienamente consapevoli delle mancanze esistenti, i governi europei, guidati dall’Italia, hanno assistito le autorità marittime libiche nell’intercettazione di decine di migliaia di donne, uomini e bambini e nel loro trasferimento in centri di detenzione libici, nonostante le ben documentate condizioni inumane e le sistematiche torture e altri maltrattamenti. Tale pratica è stata sostenuta da tutti gli stati membri dell’UE e dalle sue istituzioni. Inoltre, ha beneficiato del supporto operativo della guardia costiera e di frontiera europea (Frontex) e dell’operazione EunavforMed Sophia/lrini. Gli stati membri dell’Unione europea non hanno quindi adempiuto ai loro obblighi nei confronti delle persone in difficoltà in mare, hanno cercato di eludere i loro obblighi discendenti dal principio di non respingimento e hanno aiutato le autorità libiche nella perpetrazione di gravi violazioni dei diritti umani. Gli stati europei e le loro istituzioni hanno anche mancato di subordinare la propria cooperazione e il proprio supporto all’adozione di misure da parte della Libia che garantiscano che l’assistenza dell’UE non contribuisca a violazioni. A tale scopo, Amnesty lnternational, ECRE e Human Rights Watch chiedono alle istituzioni dell’Unione europea e ai suoi stati membri di:

16. Garantire l’identificazione delle responsabilità per qualsiasi violazione dei diritti umani a cui possano aver contribuito, attraverso le loro azioni o omissioni, in mare o a terra a seguito dello sbarco, o mediante la loro cooperazione con le autorità libiche. Tale fine dovrebbe essere perseguito attraverso indagini tempestive, complete e indipendenti, e in caso di sufficienti prove ammissibili, intraprendendo azioni legali civili o penali con lo scopo di offrire rimedi adeguati ed efficaci alle persone che hanno subito gravi violazioni dei diritti umani, e anche attraverso inchieste parlamentari.

17. Esaminare le attività di sorveglianza aerea di Frontex nel Mediterraneo centrale, con lo scopo di assicurare un’assunzione di responsabilità per qualsiasi azione che possa costituire una violazione degli obblighi dell’agenzia previsti dal diritto internazionale e comunitario.

18. Garantire un monitoraggio efficace della condotta e delle operazioni in mare della Guardia costiera libica, e adeguati procedimenti di identificazione delle responsabilità in caso di violazioni del diritto internazionale, comprese azioni legali penali per reati eventualmente commessi.

19. Assicurare che la missione di indagine delle Nazioni Unite, creata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per indagare sulle violazioni del diritto internazionale in Libia commesse da tutte le parti dal 2016, abbia sufficienti risorse, supporto amministrativo e tempo per completare il proprio lavoro.

20. Lavorare con le autorità libiche per assicurare che l’identificazione delle responsabilità e le riparazioni alle vittime siano componenti centrali del processo politico in Libia e che tutte le parti nel conflitto rimuovano dal proprio organico chiunque sia ragionevolmente sospettato di aver commesso dei reati previsti dal diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani, con lo scopo di farli rispondere del proprio operato in processi equi che non ricorrano alla pena di morte. Qualsiasi attività di integrazione di milizie o gruppi armati nelle forze di sicurezza o nelle forze armate libiche deve garantire un’adeguata verifica personale dei combattenti per assicurare che non siano stati coinvolti in reati previsti dal diritto internazionale o in altre gravi violazioni dei diritti umani. Le istituzioni europee e gli stati membri dovrebbero lavorare in sinergia per affrontare le conseguenze umanitarie e gli effetti sui diritti umani dei conflitti e dell’esercizio del potere da parte di milizie. Dovrebbero, inoltre, contribuire agli sforzi per creare uno stato di diritto e sostenere i diritti delle vittime a rimedi e riparazioni.

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