(Nairobi) – Tutte le parti in causa nel conflitto armato in Somalia hanno commesso gravi violazioni del diritto bellico che stanno contribuendo alla catastrofe umanitaria del Paese, ha affermato Human Rights Watch in un rapporto uscito oggi. Tutte le parti dovrebbero immediatamente porre fine alle violenze nei confronti dei civili, individuare i responsabili, e garantire accesso agli aiuti e libertà di movimento alle persone in fuga da conflitto e siccità.
Il rapporto di 58 pagine “‘You Don’t Know Who to Blame’: War Crimes in Somalia,” documenta numerosi abusi commessi lo scorso anno durante i rinnovati combattimenti, tra le parti del conflitto in corso da 20 anni in Somalia. Tra di esse, vi è il gruppo islamico armato al-Shabaab, il governo federale di transizione somalo (Tfg), le forze di peacekeeping dell’Unione Africana (Amisom) e le milizie somale sostenute dall’Etiopia e dal Kenya. Il rapporto prende anche in esame gli abusi della polizia keniota e i crimini commessi da banditi nel confinante Kenya contro i rifugiati somali.
“Le violenze di al-Shabaab e delle forze pro-governative hanno moltiplicato enormemente le sofferenze provocate dalla carestia in Somalia” ha affermato Daniel Bekele, direttore per l’Africa di Human Rights Watch. “Tutte le parti devono intraprendere urgentemente i passi necessari per fermare questi attacchi illegali, fare entrare gli aiuti e porre fine a questo incubo umanitario”.
Il rapporto, basato su interviste a rifugiati Somali arrivati di recente in Kenya, e su altre fonti, prende in esame due grandi offensive del Tfg contro al-Shabaab dal settembre 2010. Sono stati i civili a sopportare il peso maggiore dei combattimenti, ha affermatoHuman Rights Watch.
Tutte le parti hanno usato l’artigliera nella capitale, Mogadiscio, in una maniera illegale che ha causato perdite civili. Al-Shabaab ha sparato colpi di mortaio indiscriminatamente da aree densamente popolate, e il Tfg e le forze Amisom hanno spesso risposto, a loro volta, con controattacchi indiscriminati. Come risultato, i civili non hanno saputo a chi rivolgersi per la propria protezione. Se da una parte il dichiarato ritiro di al-Shabaab da Mogadiscio può portare sollievo ai civili dai combattimenti incessanti nella capitale, è verosimile che continuino a verificarsi violenze a meno che le parti in guerra prendano misure decise per porvi fine, ha affermato Human Rights Watch.
“Entrambe le parti non risparmiano i civili” ha raccontato a Human Rights Watch una donna fuggita da Mogadiscio. “A volte succede che la persona con cui hai fatto colazione al mattino venga uccisa da colpi di mortaio nel pomeriggio.”
Dei Somali hanno anche raccontato a Human Rights Watch delll’incessante, quotidiana repressione e brutalità nelle aree controllate da al- Shabaab. Dure pene, in particolare flagellazioni ed esecuzioni sommarie, comprese decapitazioni pubbliche, sono frequenti e vengono inflitte a coloro che trasgrediscono le leggi oppressive dei militanti o che sono accusati di tradimento. Al-Shabaab recluta forzatamente bambini e adulti nelle sue fila, priva gli abitanti che sono sotto il suo controllo dell’assolutamente necessaria assistenza umanitaria, inclusi cibo e acqua, e impedisce alla gente di fuggire verso aree più sicure.
Il Tfg ha fallito ampliamente nel garantire la sicurezza di base e la protezione dei diritti umani nelle limitate aree sotto il suo controllo, ha dichiarato Human Rights Watch. Il governo, e le milizie con cui esso è alleato, hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, tra cui molti arresti e detenzioni arbitrari, restrizioni della libertà di espressione e di riunione, e attacchi indiscriminati a danno dei civili.
Il coinvolgimento di attori al di fuori della Somalia è stato spesso controproducente e ha contribuito alle continue minacce alla sicurezza. Gli Stati Uniti, l’Unione europea e le Nazioni Unite hanno sostenuto il Tfg senza fare uno sforzo significativo per spingere i leader del governo a ridurre le violenze. Con appena un anno di mandato rimanente al Tfg, i suoi sostenitori internazionali dovrebbero assicurare che vengano stabiliti e raggiunti chiari standard in tema di diritti umani – tra cui una chiara determinazione delle responsabilità. Se il governo di transizione non raggiunge questi obiettivi di base, gli altri governi e le Nazioni Unite dovrebbero riconsiderare il loro sostegno, ha affermato Human Rights Watch.
Negli ultimi mesi, l’Amisom ha preso misure per ridurre le perdite civili nel corso di operazioni militari. Tuttavia, persistono gravi violazioni da parte delle sue forze e i soldati responsabili spesso non sono stati sottoposti a giudizio.
L’Etiopia e il Kenya sono parti in conflitto, avendo dispiegato unità delle proprie forze armate in operazioni militari nella Somalia meridionale nel 2011. Hanno anche fornito assistenza militare a milizie che sostengono il Tfg. Ciononostante, nè l’Etiopia nè il Kenya hanno agito perchè venga assicurata una chiara determinazione di responsabilità per le violenze commesse dalle proprie truppe o dalle milizie da essi sostenute.
Human Rights Watch ha reiterato il proprio appello per una commissione di inchiesta dell’Onu per indagare sulle violazioni dei diritti umani e del diritto bellico da parte di tutte le parti in causa fin dall’inzio del conflitto, e di gettare le basi per l’accertamento delle responsabilità. Human Rights Watch ha richiamato tutte le parti del conflitto in Somalia a fare passi concreti per la protezione dei civili – in particolare rispettando le misure di base per la protezione dei civili durante gli attacchi – e ad assicurare che, in ogni momento, sia facilitato un corridoio umanitario.
“Non esistono rimedi veloci per la tragedia in Somalia, ma è chiaro che l’impunità per gravi violenze perpetua l’insicurezza”, ha detto Bekele. “La pressione internazionale per porre fine alle violenze di tutte le parti in causa è più cruciale che mai – una Somalia più sicura e rispettosa dei dirtti sarebbe meno incline a violenza e carestia”.
L’intensificarsi dei combattimenti ha portato allo spostamento in massa della popolazione a Mogadiscio, così come nelle aree di confine. Un’area lungo il confine con il Kenya, conosciuta come “Jubaland”, è stata colpita in modo particolare, e il governo keniota dichiara di volerla convertire in una zona cuscinetto tra il suo territorio e le aree controllate da al-Shabaab. I ministri del Kenya hanno richiesto che i Somali vengano assistiti all’interno della “zona cuscinetto” invece che in Kenya, sostenendo che sia un area sicura. Tuttavia, l’area rimane ancora altamente insicura e instabile.
Il Kenya è stato a lungo Paese ospite di diverse centinaia di migliaia di rifugiati Somali, un peso enorme che è aumentato nel corso dell’ultimo anno. I combattimenti e la siccità hanno spinto centinaia di migliaia di Somali via dalle proprie case nel 2011, e di questi oltre centomila sono entrati in Kenya.
I rifugiati somali si misurano con una serie di sfide in Kenya, ha affermato Human Rights Watch. Il tragitto verso i campi profughi di Dadaab è pericoloso. La ricerca di Human Rights Watch, fin dal 2010, ha riscontrato che i rifugiati si trovano ad affrontare estorsioni da parte della polizia, arresti e detenzioni arbitrari, rimpatrio illegale in Somalia, con deportazioni che sono proseguite anche nel 2011. I rifugiati hanno raccontato a Human Rights Watch di aver preso rischiose strade secondarie per evitare la polizia keniota, ma di aver subito rapine e violenze sessuali da parte di banditi lungo quelle strade.
Fino al 24 luglio, i campi profughi di Dadaab, originariamente costruiti per 90mila persone, contavano una popolazione registrata di 390mila rifugiati. I Somali arrivati di recente si misurano con sovraffollamento e condizioni di vita inumane nei campi e ritardi nel processo di registrazione perfino per ottenere un’assistenza minima.
Il campo di estensione ‘Ifo II’ è vuoto, ed è pronto a ricevere 40mila rifugiati fin dal novembre 2010, e dovrebbe essere usato immediatamente. Human Rights Watch ha sollecitato il governo keniano – con sostegno significativamente crescente da parte dei governi donatori internazionali – di rendere disponibili terre supplementareper i campi.Human Rights Watch ha inoltre rinnovato il proprio appello al governo keniano per aprire un nuovo centro di transito nella città di confine di Liboi per registrare i nuovi arrivati e trasferirli, in condizioni di sicurezza, verso i campi.
“Incoraggiamo la comunità internazionale a fornire aiuti all’interno della Somalia, così come ai rifugiati in Kenya ed Etiopia,” ha detto Bekele. “I Paesi confinanti devono rispettare il diritto di tutti coloro che scappano dalla Somalia di cercare asilo”.
Testimoninanze estratte da “You Don’t Know Who to Blame”
Una donna di 37 anni di Mogadiscio fuggita da bombardamenti indiscriminati:
Entrambi i lati non risparmiano la gente comune. A volte capita che la persona con cui fai colazione al mattino venga uccisa da colpi di mortaio nel pomeriggio. Al-Shabaab ama sparare da aree residenziali, ben consapevole che dall’altra parte il fuoco verrà restituito nello stesso posto. Poi al-Shabaab scappa. E al Tfg e all’Amisom non importa se ci sono civili o meno nei posti in cui sparano. Non si sa a chi dare la colpa – la dai ad al-Shabaab che si nasconde tra la gente comune, o al governo perché colpisce nello stesso luogo da dove ha ricevuto il fuoco?
Una donna di 40 anni di Mogadiscio il cui marito è stato arrestato da al-Shabaab:
Mi hanno chiamato loro stessi dicendomi, ‘Abbiamo tuo marito, che è anche un infedele, non è così?’ e io ho detto, ‘Mio marito è musulmano.’ Hanno detto ‘È un infedele e lo ammazzeremo.’ Due giorni dopo l’arresto mi hanno chiamato di nuovo. Mi dissero che eravamo infedeli, che i nostri figli erano infedeli, e di fare attenzione…. Le loro minacce ancora risuonano nelle mie orecchie.
Un giovane di Sakoh che è scappato da un area sotto il controllo di al-Shabaab:
Tutti i nostri animali sono morti. Non ci sono più cammelli, capre, bestiame, persino la gente ha cominciato a morire. Non c’era cibo perché al-Shabaab non permetteva alle agenzie di soccorso di portarne. Dicevano, ‘Non vogliamo il cibo di miscredenti’.
Una donna anziana di Dhobley che è stata aggredita lungo il percorso per Dadaab:
Tre giorni fa me ne sono andata da Dhobley [con un furgoncino]. Lungo il percorso, siamo stati rapinati. Eravamo circa una quarantina, e una decina di uomini sono arrivati e ci hanno puntato i fucili alla testa, mentre un’altra decina si trovava tra i cespugli. Uomini e donne sono stati separati e ci hanno detto di dare loro cellulari, soldi, qualsiasi cosa avessimo. Alcune delle ragazze sono state violentate, circa sei di loro. Per quanto mi riguarda, mi hanno solo puntato una pistola alla testa e mi hanno preso soldi e cellulare, ma sono anziana e non ho subito violenza sessuale.
Un uomo di mezza età che è stato imprigionato arbitrariamente dalla milizia Ahlu Sunna Waj-Jama’a, allineata al Tfg:
Io stesso ero stato arrestato e rapinato da ufficiali [di Ahlu Sunna Wal Jama’a]. Me ne stavo seduto da qualche parte nel centro del villaggio di BulaHawo, e ci fu un’esplosione. Un’auto del governo di transizione fu distrutta da una mina. Immediatamente, i soldati [di Ahlu Sunna Wal Jama’a] entrarono in città e aprirono il fuoco a cuor leggero. Ci radunarono tutti e ci portarono alla stazione di polizia. Mentre mi portavano in cella, i soldati mi rubarono il telefono cellulare e 7000 Ksh.
Arrestarono 500 di noi. Ci tenevano in un complesso carcerario. Alcuni erano in una cella. Anche delle donne furono arrestate e venivano tenute separatamente. Alcune avevano dei bambini piccoli con loro. Le donne furono rilasciate il iorno stesso, ma gli uomini sono rimasti in detenzione per due giorni.
Dopo essere stati rilasciati, c’è stato un raduno del governo di transizione. Ci dissero che avevamo tre possibilità: o andare in Kenya o Etiopia, oppure di unirci a quelli di al-Shabaab. [Un funzionario distrettuale] disse “Se succede qualcosa qui, vi considereremo responsabili e vi uccideremo.” Il giorno dopo il raduno ci rendemmo conto che non ci sarebbe stata una vita lì. Decidemmo di andarcene.