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L'Italia respinga le proposte anti-salvataggio

La penalizzazione potrebbe scoraggiare i salvataggi di vite in mare

La nave di salvataggio Sea-Watch 3, che trasporta 47 migranti, entra nel porto siciliano di Catania, giovedì 31 gennaio 2019. Il Sea-Watch 3, gestito dal gruppo di soccorso tedesco Sea Watch, è stato tenuto in mare per quasi due settimane mentre l'Italia spingeva altri paesi europei ad accoglierli.  @ 2019 AP Photo/Salvatore Cavalli
(Milano) – Il governo italiano dovrebbe respingere con forza una proposta per multare capitani d'imbarcazione fino a 5500 euro per ogni persona che traggono in salvo e portano in Italia, ha dichiarato oggi Human Rights Watch. Il vicepremier e ministro dell'interno Matteo Salvini ha proposto questa e altre problematiche misure anti-salvataggio in un decreto al vaglio del governo possibilmente da oggi.

“L'ultima bordata di Salvini nella sua guerra ai soccorsi umanitari mette un prezzo al diritto alla vita” ha detto Judith Sunderland, direttore associato per Europa e Asia centrale a Human Rights Watch. “Il resto della coalizione di governo dovrebbe respingere questo chiaro tentativo di scoraggiare i salvataggi in mare anche da parte di navi mercantili”.

Da quando è diventato ministro dell'interno, Salvini ha cercato, ripetutamente, di limitare ulteriormente le già ristrette politiche italiane sui soccorsi in mare e lo sbarco di persone tratte in salvo. L'Italia ha ridotto le sue operazioni di ricerca e soccorso, ritardato o rifiutato il trasporto in Italia di persone tratte in salvo in mare, e sostenuto gli sforzi delle forze della Guardia costiera libica nell'intercettare richiedenti asilo e migranti che cercavano di attraversare il Mediterraneo alla volta dell'Europa, e di rinviarli verso orribili condizioni di detenzione in Libia.

Secondo la prima bozza, il decreto imporrebbe multe tra i 3500 e i 5500 euro per ogni straniero salvato in mare e successivamente portato in Italia nel caso in cui l'imbarcazione di soccorso non si adegui alle “istruzioni operative emanate dalle autorità responsabili dell'area in cui ha luogo l'operazione di soccorso ovvero delle rispettive autorità dello stato di bandiera,” o alle leggi del mare.

Lo stato di bandiera è il Paese che concede una licenza a una determinata nave. Nei casi che interessano navi di bandiera italiana, il decreto permette la sospensione temporanea o revoca della licenza delle imbarcazioni i cui salvataggi e successivi sbarchi in Italia siano considerati “gravi o reiterati.”

La proposta è basata su una lettura parziale e profondamente fallace del diritto internazionale, ha dichiarato Human Rights Watch. La legge del mare, che disciplina le operazioni di soccorso, impone l'obbligo ai capitani d'imbarcazione di rispondere a situazioni di pericolo in mare e di portare le persone tratte in salvo in un posto sicuro. Ciò comprende linee guida generali e l’obbligo di cooperare e seguire le istruzioni degli stati costieri che hanno assunto la responsabilità di condurre e coordinare operazioni di soccorso nella loro area dichiarata di ricerca e soccorso.

Questi doveri vanno considerati insieme all'obbligo di nonrefoulement del diritto internazionale dei diritti umani e dei rifugiati, il quale proibisce il rinvio di rifugiati verso persecuzione e il rinvio di chiunque verso il rischio di tortura o trattamento crudele, inumano o degradante. Le linee guida diffuse dall'Organizzazione marittima internazionale sottolineano che i fattori da tenere presente nella designazione di posto sicuro per lo sbarco di persone tratte in salvo dovrebbero includere “il bisogno di evitare sbarchi in territori dove la vita e la libertà di coloro che segnalano una paura ben fondata di persecuzione sarebbero minacciate.”

Le forze libiche portano le persone soccorse o intercettate in mare verso la Libia, dove le attendono detenzione arbitraria in condizioni orrende e un rischio ben documentato di gravi violenze, tra cui lavori forzati, tortura e violenza sessuale. Le Nazioni Unite hanno sottolineato ripetutamente  che la Libia non è un posto sicuro dove portare persone tratte in salvo in mare. Le preoccupazioni sui rischi per coloro che vengono rinviati in Libia sono aumentate per via dei furenti combattimenti a Tripoli tra milizie rivali, che espongono le persone rinchiuse nei centri di detenzione a rischi ancora più grandi.   

Allo stato attuale, la bozza del decreto potrebbe plausibilmente applicarsi alla Guardia costiera italiana o a navi della Marina e ad altre imbarcazioni europee che si attengono all'obbligo di nonrefoulement. Si applicherebbe anche ad imbarcazioni private, comprese le navi commerciali, che si rifiutano di portare persone in Libia dati i gravi rischi che vi si corrono. Comprenderebbe i capitani d'imbarcazione che, in linea con i propri stati di bandiera, rispettano l'obbligo di nonrefoulement, ed evitano sbarchi in Libia per via dei rischi di violazioni dei diritti umani nel Paese.   

La misura italiana si poggia anche sulla caratterizzazione, del tutto opportunista, della guardia costiera fedele al governo libico di accordo nazionale (GNA) con sede a Tripoli, e riconosciuto dall'Ue, come una forza capace di eseguire le proprie responsabilità nella vasta area di ricerca e soccorso che essa stessa ha dichiarato di presiedere. Nonostante gli sforzi attuati dal 2016 tra Italia ed istituzioni europee per addestrare la guardia costiera libica, le ricerche di Human Rights Watch hanno riscontrato che questo corpo è privo della capacità, dell'equipaggiamento e dell'addestramento per effettuare salvataggi sicuri.

Secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, a partire dal 4 aprile, data d'inizio dell'attacco su Tripoli da parte delle forze fedeli al generale Khalifa Hiftar, alleato a un governo rivale del GNA con sede in Libia orientale, la Guardia costiera libica ha intercettato e rinviato verso detenzione in Libia almeno 871 tra rifugiati e migranti. Ci sono anche indicazioni che la Guardia costiera avrebbe distolto risorse per uso militare nel contesto delle ostilità in corso.  

Il decreto comprende un articolo per il trasferimento di autorità circa il passaggio in acque territoriali italiane dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a quello dell'interno. Inoltre, dà giurisdizione su tutti i casi di presunto favoreggiamento di ingresso illegale nel Paese a procure distrettuali. Infine, alloca tre milioni di euro per i prossimi tre anni per consentire ad agenti di forze di polizia straniere di condurre indagini sotto copertura sul territorio italiano riguardanti ingressi illegali.

Nell'insieme, queste misure potrebbero portare ad un accanimento delle indagini criminali ed ad un maggior numero di azioni legali relative a tentativi di salvataggio. Ciò scoraggerebbe ulteriormente i soccorsi in mare, anche da parte di navi commerciali, con l'innalzamento dei costi reali e percepiti della risposta a richiese d'aiuto di migranti e rifugiati.  

Salvini sta cercando di far passare queste misure con una procedura che permette di legiferare con decreto governativo solamente in “casi straordinari di necessità e urgenza”. Tali decreti hanno forza di legge immediata ma devono essere convertiti dal Parlamento, anche con emendamenti, entro 60 giorni, altrimenti scadono. Dato che solo 1091 persone sono state fatte sbarcare in Italia dall'inizio dell'anno, non è chiaro che sussistano i requisiti di necessità e urgenza, ha dichiarato Human Rights Watch.

“La vera emergenza sono il rischio di morti in mare, e le orrende condizioni di detenzione in Libia, inclusi quelli sulle prime linee degli scontri tra milizie,” ha detto Sunderland. “Invece di criminalizzare le operazioni di soccorso umanitario, il governo italiano dovrebbe lavorare con altri governi dell'Ue per assicurare capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, insieme a una distribuzione equa della responsabilità per le persone tratte in salvo, e garantire a migranti e rifugiati la possibilità di fuggire dalla Libia in maniera sicura.”

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