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Parenti e colleghi pregano sui resti del giornalista somalo Yusuf Keynan, il 21 giugno 2014, durante il suo funerale. Keynan è morto a Mogadiscio dopo che una bomba, che si ritiene fosse stata attaccata alla sua auto, è stata fatta esplodere da remoto. © 2014 Getty Images/Mohamed Abdiwahab

(Nairobi) – Sia il governo somalo che il gruppo armato islamista Al-Shabab usano tattiche violente per condizionare la copertura mediatica, ha dichiarato Human Rights Watch in un rapporto pubblicato oggi, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa. Il governo dovrebbe agire con fermezza per porre finne all’intimidazione e alla violenza ai danni dei giornalisti da parte delle forze di sicurezza e dei militanti di Al-Shabab. Il bisogno di un’informazione libera e animata in Somalia è particolarmente forte in considerazione del processo elettorale previsto per il 2016.


Il rapporto di 74 pagine, “‘Like Fish in Poisonous Waters’: Attacks on Media Freedom in Somalia,” documenta omicidi, minacce e detenzioni arbitrarie di giornalisti a partire dal 2014. Il governo federale somalo e le autorità regionali hanno usato diverse tattiche violente per condizionare la copertura mediatica, tra cui arresti e chiusure forzate di organi di stampa, minacce e, talvolta, accuse penali. Al-Shabab ha preso di mira diversi giornalisti nell’ambito della sua campagna contro il governo somalo nonché per servizi ed articoli ritenuti ostili. Le autorità governative non hanno condotto indagini adeguate né perseguito i responsabili degli abusi, lasciando i giornalisti in uno stato di paura.  


“La libertà di stampa non dovrebbe essere l’ennesima vittima in Somalia,” ha dichiarato Laetitia Bader, ricercatrice per l’Africa a Human Rights Watch. “In aggiunta alla minaccia di lungo termine presentata da Al-Shabab, il nuovo governo sta aumentando i pericoli e la repressione nei confronti dei giornalisti, proprio nel momento in cui si avverte più bisogno del loro lavoro.”

Human Rights Watch ha riscontrato che, durante il lungo conflitto del Paese, sia Al-Shabab che il governo somalo ed i suoi alleati hanno cercato di trarre vantaggio dalla debolezza dei giornalisti, per lo più non retribuiti e con scarsa esperienza. Entrambe le fazioni hanno esercitato pressione sulle attività dei giornalisti, manipolato i dati sulle vittime e fatto ostruzionismo sulla copertura mediatica, con conseguenze notevoli per l’ambiente mediatico. Decine di giornalisti sono fuggiti in esilio nell’ultimo decennio.

Per quanto Al-Shabab abbia costituito la minaccia principale ai media, i giornalisti hanno subito attacchi da vari attori, sia governativi che non governativi. Un giornalista a Galkayo, Puntland, ha detto: “Le autorità, il pubblico e i militanti ci sono tutti ostili. Siamo come pesci in acque avvelenate, possiamo essere aggrediti o uccisi in qualunque momento.”

Human Rights Watch ha intervistato 50 giornalisti, redattori, e direttori di mezzi di informazione che lavorano nella Somalia centromeridionale e nel Puntland. Dal 2014 sono stati uccisi dieci giornalisti – di cui quattro in attentati palesemente mirati – mentre sei giornalisti sono sopravvissuti a tentativi di omicidio. Altri sono stati feriti durante lo svolgimento del loro lavoro. Molti sono stati detenuti arbitrariamente, alcuni sono stati sottoposti a processo, e moltissimi hanno ricevuto telefonate minatorie e sms che li avvertivano di cambiare linea editoriale a pena di subire ritorsioni.  
Sopravvissuto ad un attentato a Mogadiscio nell’ottobre del 2014, un giornalista è sicuro di esserne stato l’obiettivo: “Potevo sentire diverse voci dire all’attentatore di prendere meglio la mira. ‘È ancora vivo!’, dicevano”. Durante l’attentanto ha subito ferite talmente gravi che ha dovuto smettere di lavorare come reporter.

A Mogadiscio, le forze dell’ordine hanno vietato l’informazione su temi specifici, come le dichiarazioni di Al-Shabab, ed hanno chiuso temporaneamente almeno tre organi di stampa e arrestato i giornalisti che non si sono attenuti a questi ordini. Allo scopo di controllare l’informazione politica, le autorità  regionali nei villaggi contesi hanno fatto ricorso ad arresti arbitrari, minacce ed hanno chiuso cinque organi di stampa.

Gli esponenti del governo hanno cercato, ripetutamente, di giustificare le restrizioni alla libertà di stampa per ragioni di sicurezza nazionale oppure sostenendo che i giornalisti agirebbero in maniera non professionale. Nonostante la difficile situazione di sicurezza e il contesto politico, le autorità hanno cercato di contenere l’informazione legittima usando tattiche che spesso lasciano i giornalisti esposti al rischio di ritorsioni, ha riscontrato Human Rights Watch.

Al-Shabab tratta i giornalisti, che sono civili secondo il diritto di guerra, in maniera illegale, come fossero parte del governo somalo o  delle forze militari straniere. Il gruppo si è servito di minacce e violenze contro i giornalisti al fine di ottenere una copertura meditatica positiva.

La situazione è ancora peggiore per le giornaliste, che devono far fronte a restrizioni sociali e culturali, discriminazione da parte dei colleghi, e minacce mirate da parte di Al-Shabab, che cerca di limitare la partecipazione delle donne negli affari pubblici.  

I giornalisti somali dicono che molto spesso minacce, intimidazioni e violenza li portano ad autocensurarsi. In molti si guardano bene dall’affrontare temi sensibili – come la sicurezza, la corruzione, e i processi politici collegati al federalismo.

“Adesso abbiamo a che fare con un gruppo estremamente pericoloso che vuole interpretare ogni singola parola degli organi d’informazione, Al-Shabab, e con autorità che vogliono anch’esse opprimerci anziché difenderci” ha detto un giornalista a Galkayo. “L’autocensura è l’unica opzione che mi resta, e questo è molto triste.”

Le speranze che le nuove autorità di Mogadiscio, del Puntland, e delle amministrazioni regionali ad interim create di recente portino giustizia per gli abusi subiti dai giornalisti sono svanite, ha detto Human Rights Watch. Il governo federale ha svolto indagini e processi solo nei casi di attacchi ai giornalisti attribuiti ad Al-Shabab, affidandosi all’agenzia di intelligence nazionale, che non ha mandato di forza dell’ordine, ed al tribunale militare del Paese, i cui processi non rispondono agli standard internazionali di giusto processo. Tre persone sono state condannate a morte e giustiziate nell’aprile del 2016 per il loro supposto coinvolgimento nell’assassinio di sei giornalisti. Human Rights Watch ha riscontrato, nel corso dei recenti procedimenti giudiziari, varie violazioni che hanno leso il diritto degli imputati ad un giusto processo. Non risulta che alcun esponente del governo sia stato perseguito o sottoposto a procedimenti disciplinari per aver attaccato, minacciato, maltrattato o detenuto illegalmente giornalisti.

I problemi nei processi e le indagini a senso unico, che lasciano i sopravvissuti esposti a ritorsioni, alimentano un perdurante senso di paura tra i giornalisti. In molti hanno detto a Human Rights Watch di non vedere che senso abbia denunciare gli incidenti alla polizia dato che questa non cerca i responsabili, e che anzi andare dalla polizia mette le vittime ancora più a rischio.

Nel gennaio 2016, il presidente Hassan Sheikh ha promulgato una nuova legge sull’informazione che rischia di ostacolare ulteriormente la libertà di espressione, ha dichiarato Human Rights Watch. Sebbene la legge presenti alcuni aspetti positivi, essa contiene anche numerose e vaghe restrizioni sull’informazione. Con ogni probabilità, la nuova legge indurrà ancor più all’autocensura visto che i giornalisti non sono in grado di determinare quali comportamenti verranno criminalizzati.

I leader di governo in Somalia dovrebbero condannare in modo inequivocabile gli attacchi contro i giornalisti e gli operatori dell’informazione, e svolgere indagini rapide, trasparenti ed imparziali, ha dichiarato Human Rights Watch. Dovrebbero impegnarsi per un’informazione libera ed aperta su temi di interesse pubblico, ed emendare o abrogare leggi che restringono il diritto alla libertà d’espressione e di informazione. I donatori internazionali dovrebbero fare pressioni sul governo somalo affinché protegga i giornalisti da abusi e riveda la legislazione in materia, nonché fornire assistenza tecnica per assicurare che le indagini si svolgano nel pieno rispetto dei diritti. 

“Le promesse di migliorare la libertà d’informazione sono un passo in avanti, ma non è abbastanza,” ha detto Bader. “Occorre che le autorità somale affrontino attivamente la violenza e le intimidazioni provenienti da tutti i fronti, così che i giornalisti possano lavorare senza guardarsi costantemente alle spalle.” 

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