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Quando un quotidiano ha cominciato a pubblicare l'agenda di un ministro giorno dopo giorno, la cosa sarebbe potuta passare inosservata o addirittura essere vista come un servizio pubblico. Ma questa è l'Italia, il giornale è l'organo di stampa ufficiale della xenofoba Lega Nord, e il funzionario pubblico è il ministro per l'integrazione Cécile Kyenge, il primo ministro nero del Paese.

Lo scandalo che ne è derivato ha molto a che fare con tempismo e politica. La Padania ha iniziato a pubblicare l'agenda del ministro appena pochi giorni dopo che era stata duramente contestata da una folla di sostenitori della lega nord e di Forza nuova a Brescia, così che in molti hanno letto la mossa come un tentativo di intimidazione. Inoltre, il Senato stava esaminando - e ha successivamente approvato - un testo che, tra le altre cose, dovrebbe abrogare il così detto reato di clandestinità in Italia, un vanto del governo precedente, e visto come un punto di non ritorno dalla Lega Nord.

Ma questo ultimo episodio nell'incessante campagna del partito contro la Kyenge riflette una questione più profonda: la riluttanza dell'Italia ad affrontare il fatto di essere diventato un Paese di immigrazione con un società sempre più varia e multiculturale. Ciò comporta delle conseguenze legislative e politiche in varie aree d'interesse per migranti senza documenti, residenti di lunga data e italiani di seconda generazione, nonché richiedenti asilo. Si traduce anche in una retorica razzista scandalosamente spicciola e rivela il fallimento del Paese nel fronteggiare la violenza razzista.

Non troppo tempo fa, un uomo che mi stava accanto ha mormorato "cinesi di merda" quando un gruppo di asiatici è entrato in ascensore prima di noi. Un tassista si chiedeva perché andassi in un quartiere pieno di musulmani. La madre di un compagno di classe di mio figlio si lamentava dei troppi stranieri nelle scuole italiane. Un'intolleranza impenitente nelle conversazioni private è già un male di per sé, ma le dichiarazioni razziste o tendenziose di politici e leader d'opinione sono particolarmente preoccupanti.

La lista dei terrificanti gesti dei rappresentanti della Lega Nord è lunga: lo scorso luglio, il vice-presidente del Senato, Roberto Calderoli, ha paragonato il ministro Kyenge ad un orangotango; un altro senatore della Lega, a metà gennaio, si è truccato il viso di nero al Senato mentre declamava che l'unico modo per cavarsela in Italia, al giorno d'oggi, è di essere "un po' più scuri". Ma la Lega Nord non ha il monopolio sul pregiudizio. Una parlamentare di Forza Italia ha recentemente detto, in un programma televisivo di cui era ospite la Kyenge, che i neri sono fortunati perché non si devono truccare. Un rispettato analista politico ha sostenuto, in un editoriale sul Corriere della Sera del 13 gennaio, che le politiche immigratorie dell'Italia dovrebbero favorire i cristiani ai musulmani perché i primi si possono integrare meglio e fanno meno figli.

La libertà d'espressione è un segno caratteristico di una società democratica, e persino espressioni d'odio o offensive non andrebbero limitate, a meno che esse incitino direttamente alla violenza. Tuttavia le personalità pubbliche hanno una speciale responsabilità di sostenere i valori ugualmente fondamentali di uguaglianza e non discriminazione. Spregevoli manifestazioni di pregiudizio dovrebbero essere condannate con coerenza e vigore ai più alti livelli governativi.

Inoltre, contrastare l'intolleranza nella società richiede di riconoscere e punire la violenza dettata dall'odio. In anni recenti, immigranti, italiani d'origine straniera e Rom sono stati aggrediti, pugnalati, feriti con armi da fuoco, e uccisi. Tuttavia le autorità hanno teso a minimizzare la violenza razzista. Poche aggressioni vengono perseguite come reati d'odio nonostante il codice penale italiano contempli pene più dure per crimini aggravati da motivazioni razziste. Ciò è in parte dovuto al fatto che i tribunali, spesso, si affidano a un'interpretazione restrittiva della normativa che ne limita l'uso a crimini per i quali il razzismo sia il solo movente dell'aggressione.

Quattro anni dopo la straziante violenza di massa contro i lavoratori stagionali a Rosarno, fa riflettere il fatto che solo una persona sia stata riconosciuta colpevole per l'aggressione ai migranti, e che il pubblico ministero e il giudice abbiano escluso l'aggravante di motivazione razzista. Altri due italiani erano stati condannati per aggressione a forze dell'ordine, ma uno di loro è stato prosciolto dall'accusa di avere guidato un bulldozer contro un gruppo di migranti. La violenza di Rosarno ha portato a una maggiore attenzione allo sfruttamento di lavoratori stagionali, e circa una ventina di persone sono in attesa di giudizio per abusi sul lavoro che hanno contribuito alle agitazioni. Tuttavia, non c'è dubbio che ci sia stata scarsa giustizia per coloro che sono stati aggrediti con violenza, e i lavoratori stagionali continuano a misurarsi con sfruttamento, abusi, e condizioni di vita agghiaccianti.

Negli ultimi anni, le autorità italiane hanno compiuto passi importanti per migliorare sia l'identificazione dei reati d'odio che l'addestramento delle forze dell'ordine per riconoscere e indagare tali reati, e sembra che la giurisprudenza si stia evolvendo. Ma c'è bisogno di molto di più, tra cui una riforma legale, per riconoscere che gli autori di crimini d'odio spesso hanno moventi disparati.

Il razzismo esiste praticamente in ogni Paese; ciò che conta è la risposta di governi e società. Fare sì che un ministro di pelle nera possa fare il suo lavoro senza che si debba sottoporre a una gogna di insulti razzisti sarebbe un buon inizio.

Judith Sunderland è una ricercatrice esperta sull'Europa, con base a Milano, per Human Rights Watch.

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