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© 2019 Mengxin Li for Human Rights Watch
(Londra) – I marchi d'abbigliamento e calzature dovrebbero porre fine alle pratiche commerciali che fanno da incentivo per abusi sui lavoratori nelle fabbriche, ha dichiarato Human Rights Watch in un rapporto pubblicato oggi.

Il rapporto di 66 pagine, “‘Paying for a Bus Ticket and Expecting to Fly’: How Apparel Brand Purchasing Practices Drive Labor Abuses,” identifica le pratiche adottate dai marchi di abbigliamento che spingono le fabbriche a tagliare i costi di produzione tramite metodi che ledono i diritti dei lavoratori. Molti marchi globali, ha riscontrato Human Rights Watch, pubblicizzano il loro impegno nell'assicurare il rispetto dei diritti all'interno delle fabbriche dove si creano i loro prodotti, ma indeboliscono questi sforzi con una pressione incessante sui fornitori affinché abbassino i prezzi o producano più velocemente. Molti fornitori rispondono a tali pressioni con metodi abusivi di taglio dei costi, dannosi per i lavoratori. Un padrone di fabbrica ha mestamente riassunto il problema dicendo che i marchi "acquistano un biglietto dell'autobus e si aspettano di volare in aereo."

“I marchi d'abbigliamento che spingono i fornitori a tagliare i costi con metodi che danneggiano i lavoratori sono sempre a un passo dal creare un disastro in termini di diritti umani,” ha detto Aruna Kashyap, esperta legale nella divisione sui diritti delle donne di Human Rights Watch. “Occorre che i marchi d'abbigliamento monitorino e rettifichino proprie pratiche commerciali così da non incoraggiare quegli stessi abusi che dicono di voler eliminare.”

Human Rights Watch ha intervistato lavoratori in Bangladesh, Cambogia, India, Myanmar, e Pakistan, oltre a fornitori d'indumenti di sud e sudest asiatico con almeno dieci anni di esperienza nell'individuare e piazzare ordini con delle fabbriche per conto di marchi, e altri esperti del settore.

Il sesto anniversario della tragedia di Rana Plaza in Bangladesh, avvenuto il 24 aprile 2013, quando un edificio di otto piani crollò alla periferia di Dhaka, uccidendo 1138 lavoratori e ferendone oltre duemila, è un promemoria agghiacciante dei rischi da cui i marchi di abbigliamento devono mettersi in guardia.

Tipicamente, i marchi di abbigliamento fanno sì che i propri prodotti siano fabbricati in un vasto insieme di stabilimenti in diversi Paesi. Ciò fa sì che i loro sforzi per monitorare le condizioni lavorative in quei Paesi siano intrinsecamente ardui e complicati. Alla base della produzione di ciascun prodotto di marca vi sono complesse decisioni di acquisto. Ognuna di queste decisioni può avere un impatto, positivo o negativo, su come i fornitori trattano i lavoratori.    

Le fabbriche reagiscono alle mediocri pratiche dei marchi d'abbigliamento con metodi oltraggiosi per tagliare i cosi, tra cui subappalti illegali con strutture caratterizzate da abusi dilaganti sui lavoratori. Tra gli altri abusi vi sono violazioni salariali, pressioni per lavorare più velocemente senza pause adeguate, e condizioni di lavoro pericolose e  malsane.    

Fawzia Khan, una ventiquattrenne non sposata che lavora in una fabbrica pachistana, descrive così l'incessante pressione sui lavoratori affinché producano più velocemente:

Odio l'atmosfera da prigione che c'è sul posto di lavoro, il divieto di andare al bagno, il divieto di alzarsi per andare a bere acqua, il divieto assoluto di alzarsi durante l'orario di lavoro... E l'ora libera che in teoria avremmo durante il giorno, di fatto si riduce a mezz'ora. Non ricordo più l'ultima volta che ho avuto una pausa di un'ora intera.

Spesso, i marchi fanno fatica a monitorare con efficacia le condizioni dei posti di lavori lungo le vaste catene di approvvigionamento globali a cui si appoggiano. Molti di loro inaspriscono il problema rifiutandosi di rivelare i propri fornitori - una mancanza di trasparenza, questa, che rende molto più difficile ai gruppi di monitoraggio l'individuazione di quegli abusi che i marchi non riescono a portare alla luce per proprio conto. E alcuni marchi usano degli agenti per trovare stabilimenti produttivi, non curandosi di conoscere le ubicazioni delle fabbriche, le condizioni di lavoro, e le pratiche di prezzatura.

Il mercato impone ai marchi d'abbigliamento di produrre e vendere beni più velocemente che mai, in risposta alle mutevoli richieste dei consumatori. Ma i marchi rischiano di alimentare abusi sui lavoratori se riducono il tempo a loro disposizione per creare i prodotti senza monitorare adeguatamente la capacità dello stabilimento o senza dare ai lavoratori tempo adeguato che comprenda vacanze durante ricorrenze nazionali e giorni di riposo settimanali, ha riscontrato Human Rights Watch.

I marchi che non hanno contratti scritti, o che usano contratti unilaterali che non lasciano alcuna elasticità sulle date di consegna o sulla rinuncia a penalità finanziarie nel caso in cui i marchi contribuiscano a ritardi, aumentano significativamente i rischi per i lavoratori. Laddove i contratti sono unilaterali, i marchi cercano di scaricare i costi dei propri errori interamente sugli stabilimenti, intensificando l'uso di pratiche abusive volte al taglio dei costi da parte degli stabilimenti. Le società che non pagano i propri fornitori in tempo fanno sì che i lavoratori rischino di ricevere salari e benefici in ritardo, e ostacolano le capacità delle fabbriche di prendere prestiti per finanziare misure antincendio e di sicurezza degli stabili. Lo UK Prompt Payment Code, un codice di condotta volontario, fornisce un esempio di buone pratiche.

Il rapporto individua delle misurefondamentali che i marchi dovrebbero adottare per correggere le pratiche d'acquisto e mitigare i rischi di abusi lungo la catena di approvvigionamento. I marchi dovrebbero adottare e pubblicare politiche di rifornimento responsabili e integrarle in tutti i dipartimenti. Dovrebbero altresì pubblicare liste delle proprie fabbriche in conformità al Transparency Pledge, uno standard minimo sviluppato nel 2016 da una coalizione di organizzazioni per la difesa del lavoro e dei diritti umani. Dovrebbero rivalutare l'uso di agenti di acquisto e assicurarsi che i loro contratti con i fornitori siano scritti ed equi.

I marchi dovrebbero partecipare a studi come Better Buying, che permettono ai fornitori di classificare le pratiche d'acquisto dei marchi e di renderne pubblici i risultati; utilizzare strumenti sofisticati che tengano conto di costo del lavoro e conformità sociale, come quelli sviluppati da Fair Wear Foundation; e partecipare a iniziative che combinano riforme collettive delle pratiche d'acquisto dei marchi con accordi frutto di contrattazioni collettive di settore, come l'iniziativa ACT (Action, Collaboration, Transformation). Dovrebbero rendere conto degli accordi con sindacati e contrattazioni collettive dei loro fornitori, e delle misure adottate per migliorare le pratiche di ordinazione che influenzano le operazioni delle fabbriche.   

I governi dovrebbero introdurre leggi che rendano la due diligence in fatto di diritti umani obbligatoria per società con catene di approvvigionamento globali, e queste leggi dovrebbero anche comprendere misure per monitorare e porre rimedio alle loro pratiche commerciali.  
“I consumatori non dovrebbero lasciare che i marchi si prendano meriti solo per avere adottato delle politiche sulla carta o per aver aderito a iniziative con scopi nobili, a meno che questi non siano trasparenti sui risultati,” ha detto Kashyap. “C'è urgente bisogno che le società mostrino a consumatori, investitori, lavoratori e difensori dei diritti dei lavoratori cosa hanno fatto per cambiare mediocri pratiche di acquisto.”

Selezione di citazioni

“La pressione sui team di approvvigionamento e acquisto è sempre quella di trovare un prezzo migliore [un prezzo più basso per produrre in una fabbrica]. …Quello che non viene fatto è una connessione attiva tra il rischio di spingere in una direzione [abbassare il prezzo] e le conseguenze vhe risultano altrove [le condizioni di lavoro all'interno della fabbrica]. È una questione di modello di business.”

– Esperto del settore con oltre 25 anni di esperienza nell'approvvigionamento di abbigliamento, calzature, e altri prodotti per diversi marchi, Londra, 15 gennaio 2019

“Non c'è trattativa sul prezzo. Hanno troppe opzioni [altri fornitori]…. Per loro [i marchi] è come comprare uova.”

– Fornitore del Pakistan che ha chiesto di rimanere anonimo, giugno 2018.

“È più economico per me assumere lavoratori che facciano straordinari, cercando di consegnare entro la data stabilita, che avere un ritardo e dover pagare le tariffe aeree.”

– Funzionario che ha chiesto di rimanere anonimo, appartenente a un gruppo che controlla fabbriche d'abbigliamento in Cina, sud e sudest asiatico, per conto di 17-20 marchi internazionali d'abbigliamento, sudest asiatico, aprile e maggio 2018.

“Capita che i lavoratori debbano fare straordinari a causa delle ordinazioni. Può darsi che accettiamo ordini con date di consegna stabilite, ma senza che i modelli, i campioni ecc. siano stati approvati. E così i nostri tempi di consegna si restringono. E allora dobbiamo fare quel che possiamo per consegnare in tempo. Alcune società [fabbriche] si ingegnano e calcolano cosa costa di più - pagare straordinari o le tariffe aeree.”

– Fornitore del Pakistan che ha chiesto di rimanere anonimo, giugno 2018.

“Uno degli agenti stabilisce un prezzo fisso di 10 rupie a pezzo (US$0.14). Non importa che l'indumento completo costi 50 ($0.72) o 500 rupie ($7.20).”

– Fornitore dell'India che ha chiesto di rimanere anonimo, parlando delle “commissioni” che gli agenti pretendono dai fornitori, settembre 2018.

“Se un marchio dice [a una fabbrica] che ordineranno 150 mila pezzi e poi al momento effettivo di piazzare l'ordine, cambiano idea e richiedono 250mila pezzi, allora dovrai pagare straordinari o subappaltare.”

– Esperto di approvvigionamento con oltre trent'anni di esperienza nel settore che ha richiesto di rimanere anonimo, Stati Uniti, ottobre 2018 e gennaio 2019.    

stry experience who requested anonymity, US, October 2018 and January 2019.

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