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Nella morte di un uomo, un barlume degli orrori della Libia

L’Europa metta fine al ciclo di detenzione e violenza in Libia

Segen, un eritreo di 22 anni, fissa l’obiettivo prima di sbarcare a Pozzallo, in Sicilia, dalla Eritrean, nave di soccorso Pro Activa Open Arms il 13 marzo 2018. È morto alcune ore dopo.  © Kepa Fuentes



Un giovane eritreo è morto in Sicilia, martedì scorso, di tubercolosi aggravata da malnutrizione. Si chiamava Segen*. Aveva 22 anni.

Ci sono così tante cose di Segen che forse non verremo mai a sapere. Preferiva leggere libri o giocare a calcio? Che musica gli piaceva? Era mai stato innamorato? Chi ha lasciato al mondo?
 
Questo è ciò che sappiamo: Segen era stato tratto in salvo domenica, nel mar Mediterraneo, dalla Pro Activa Open Arms, un gruppo spagnolo, e fatto sbarcare in Sicilia lunedì. È morto all’ospedale. Aveva detto ai soccorritori di essere stato tenuto prigioniero in Libia per 19 mesi.  
 
Segen potrebbe essere stato tenuto in un centro di detenzione ufficiale così come da trafficanti: nella Libia di oggi, si assomigliano e sono entrambi brutali. Potrebbe essere stato tenuto prigioniero a scopo di estorsione, o torturato mentre veniva obbligato a chiamare la sua famiglia, così che potessero sentirlo urlare mentre li implorava di mandargli soldi. Potrebbe essere stato venduto da una rete di trafficanti all’altra, o obbligato a lavorare senza retribuzione.
 
Queste possibilità si basano su resoconti che mi sono stati riferiti da migranti scappati dalla Libia. Quando sono stata su una nave che presta soccorsi gestita da SOS MEDITERRANEE e Medici Senza Frontiere, molti degli Eritrei e Somali tratti in salvo avevano passato parecchi mesi di prigionia in Libia. Alcuni di loro erano ridotti pelle e ossa. 
 
Se Segen fosse sopravvissuto, c’è una buona possibilità che avrebbe ottenuto il diritto di rimanere in Europa; tale diritto viene riconosciuto alla maggior parte degli Eritrei per via della grave repressione, che include una leva militare a tempo indeterminato, a cui sono soggetti nel loro Paese.
 
Tuttavia i governi europei stanno mettendo le autorità libiche nella posizione di fermare le partenze di barconi e di intercettare, persino in acque internazionali, quelli che riescono a prendere il largo. Tutti coloro che sono a bordo vengono detenuti in Libia a tempo indeterminato.
 
Oltre ad attuare politiche che, di fatto, intrappolano persone come Segen in condizioni di orribile violenza, i governi europei vengono meno alla reinsendiamento di persone che l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR, evacua in Niger dalla Libia. Circa mille persone sono state portate in Niger, ma solamente 55 sono state risistemate in Europa, il che ha indotto il Niger a chiedere all’UNHCR di sospendere, al momento, tale programma.
 
L’Europa può e deve fare di più. I nostri governi dovrebbero concentrarsi sull’interruzione del ciclo di prigionia e violenza in Libia e aiutare quante più persone possibile a raggiungere un posto sicuro. Un buon punto di partenza è intensificare i programmi di reinsendiamento.
 
*Le autorità italiane hanno registrato il suo nome come Tesfalidet Tesfon, ma era conosciuto come Segen.

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