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Presentazione della VII Relazione Periodica dell’Italia al Comitato delle Nazioni Unite per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne

Presentiamo questo rapporto prima della 67-esima Sessione del Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne e la sua revisione dell’Italia per sottolineare le aree che suscitano maggiore preoccupazione in merito all’adempimento della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle Donne (CEDAW) da parte del governo italiano. Il presente rapporto fa riferimento agli Articoli 2, 3, 5 e 12 della Convenzione.

Human Rights Watch riconosce che il governo italiano ha preso delle iniziative contro la violenza sulle donne o sulle ragazze richiedenti asilo, tra cui la ratifica della Convenzione sulla violenza contro le donne e la violenza domestica del Consiglio d’Europa (la Convenzione d’Istanbul).[1] Inoltre, vengono prese in considerazione le sfide affrontate con l’arrivo in Italia di oltre 181.000 migranti, rifugiati e richiedenti asilo via mare attraverso il Mediterraneo nel 2016 e oltre 71.000 nel 2017 secondo i dati finora acquisiti. Human Rights Watch continua a chiedere all’Unione Europea e agli Stati Membri di fornire un sostegno maggiore ai paesi di primo arrivo, tra cui l’Italia, e di assicurare una più equa condivisione delle responsabilità, anche attraverso il trasferimento dei richiedenti asilo dall’Italia verso altri paesi membri dell’Unione Europea.

Tuttavia, la pressione cui viene sottoposto il sistema di accoglienza dell’Italia non esenta il governo dai suoi obblighi di proteggere le donne e le ragazze, a prescindere dal loro status di residenti. Rimaniamo preoccupati per le lacune presenti nel sistema di assistenza di base per le richiedenti asilo vittime di violenze sessuali. Il Comitato ha ribadito queste preoccupazioni in un elenco di problematiche e questioni presentato al governo italiano a Novembre 2016 in merito alla VII relazione periodica dell’Italia.[2]

Sin dall’anno 2009, Human Rights Watch ha riscontrato degli abusi contro i richiedenti asilo prima e durante il loro viaggio dall’Africa sub-Sahariana verso l’Italia. Nei colloqui individuali, molti richiedenti asilo hanno testimoniato di aver subito e/o assistito a violenze contro le donne, tra le quali stupro, aggressioni sessuali e percosse.[3] Alcuni rapporti delle Nazioni Unite e altre agenzie corroborano le costatazioni che le donne subiscono livelli elevati di violenza sessuale e altre forme di violenza durante il loro viaggio verso l’Italia, particolarmente in Libia.[4]

Il Comitato CEDAW ha chiarito che gli obblighi degli stati ai sensi del CEDAW si applicano ugualmente “senza discriminazione, sia per i cittadini che per i non-cittadini”, compresi i rifugiati e i richiedenti asilo.[5] Il Comitato ha altresì specificato che “si dovrebbe prestare particolare attenzione alle esigenze in materia di salute e ai diritti delle donne vulnerabili e appartenenti a dei gruppi svantaggiati”, comprese le donne migranti, rifugiate e sfollate all'interno del paese.[6]

Questa presentazione si basa sui primi risultati dell’indagine di Human Rights Watch nelle regioni italiane della Lombardia e del Veneto, condotte nel marzo 2017.[7] Nonostante Human Rights Watch abbia riscontrato alcuni esempi di buona prassi a sostegno delle richiedenti asilo vittime di violenza sessuale, in particolare presso il Centro di consultazione etnico-psichiatrico dell’ospedale Niguarda e l'Unità di sostegno contro la violenza sessuale e domestica presso l’ospedale Mangiagalli, enbrambi situati in Milano e il Centro Salute Migranti Forzati a Roma, lo stesso non è stato riscontrato nei centri di accoglienza che Human Rights Watch ha visitato. Dalle interviste con richiedenti asilo e prestatori di servizi di accoglienza durante le visite a nove centri di accoglienza e dalle interviste con i funzionari del governo locale, Human Rights Watch ha registrato una mancanza di garanzia di standard minimi di protezione e di risposta per le vittime di violenza sessuale e di altri tipi di violenza di genere alloggiati presso i Centri di accoglienza. Ciò includeva la mancanza di misure di base per facilitare l'identificazione dei sopravvissuti, compresi gli interpreti, gli spazi riservati e la formazione del personale. Inoltre, le interviste hanno rivelato la mancanza di informazioni su e dell’accesso ai servizi sanitari, psicosociali e legali per le vittime, comprese quelle che avrebbero potuto richiedere la protezione internazionale per motivi di genere o il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nella maggior parte dei casi, le vittime hanno dichiarato di non aver raccontato la violenza sessuale subita a nessuno prima di parlare con Human Rights Watch. Ciò è dovuto a una serie di fattori, tra cui la loro mancanza di consapevolezza dei servizi disponibili, la paura dello stigma e la mancanza di screening o richiesta di informazioni da parte dei fornitori di servizi.

Mancanza di servizi e sostegno adeguati per le donne richiedenti asilo vittime di violenze sessuali e altre forme di violenza (Articoli 2, 3, 5 e 12)

Human Rights Watch ha riscontrato l’esistenza di numerose barriere che impediscono alle donne richiedenti asilo vittime di violenza che si trovano nei centri di accoglienza in Italia di accedere all’assistenza medica, psicologica e legale di base. Queste barriere includono:

  1. Inadeguata identificazione dei richiedenti asilo vittime di violenze

Nella sua Raccomandazione generale n. 32 sugli aspetti di genere legati allo status di rifugiato, asilo, nazionalità e apolidia delle donne, il Comitato invita gli Stati a stabilireadeguati meccanismi di screening per la rapida identificazione delle donne richiedenti asilo che presentano particolari esigenze di protezione e assistenza,” e rileva che ciò include le vittime di violenza sessuale, traumi e torture o maltrattamenti.[8] Tuttavia, gli intervistati hanno detto a Human Rights Watch che tale screening spesso non si verifica o è inadeguato nei punti di sbarco, hotspot e centri di accoglienza.

In diversi centri di accoglienza, il personale ha affermato che le autorità distribuiscono i richiedenti asilo senza tener conto delle necessità specifiche che potrebbero avere, quali i servizi di salute mentale, la vicinanza a unità di assistenza ostetrica o ginecologica e l’alloggio separato per uomini e donne che viaggiano da soli o con bambini. Come ha detto un membro del personale: “Quando la prefettura manda le persone qui, non tiene conto dei problemi che hanno. Cerca solo posti liberi.”[9] Inoltre, il direttore di un altro centro ha rilevato che i richiedenti asilo che arrivano da punti di sbarco o da hotspot non hanno informazioni su possibili soccorsi o altre necessità: “A volte riceviamo un documento che dichiara, ad esempio, che il marito di qualcuna si trova a Bergamo oppure che alcuni di loro sono minori, ma mai informazioni circa possibili vulnerabilità.”[10]

Anche se i direttori e il personale del centro di accoglienza hanno affermato di aver effettuato colloqui di ammissione con i richiedenti asilo al loro arrivo, molti hanno dichiarato a Human Rights Watch che loro esitano a parlare o chiedere direttamente informazioni sulla violenza sessuale. In alcuni casi, non hanno nemmeno chiesto informazioni sull’esperienza dei richiedenti asilo prima di arrivare al centro. In un centro della regione Veneto, un medico che effettua i primi controlli medici ai richiedenti asilo entro 24 ore dal loro arrivo ha dichiarato: “Non faccio domande sul loro viaggio e cose del genere.”[11]

Anche se i prestatori di servizi non dovrebbero fare pressione sulle vittime per far loro raccontare le violenze sessuali, fare delle domande basilari (in conformità con le migliori prassi per la risposta ai bisogni delle vittime di violenza di genere) e informare i richiedenti asilo dei servizi può facilitare l’accesso all’assistenza. In alcuni casi, le vittime di stupro hanno affermato di non aver informato nessuno delle loro violenze, in parte perché nessuno glielo ha chiesto. Una 23enne richiedente asilo dalla Nigeria ha detto che due giovani l‘hanno violentata in Libia. Nonostante si fosse recata presso i servizi medici in Sicilia e nella regione Veneto, la stessa non aveva raccontato a nessuno dello stupro prima di incontrareHuman Rights Watch. “Non l’ho detto al medico di qui [presso il centro di accoglienza],” ha detto. “Non era interessato. Non ha chiesto.”[12]

Nel caso un membro del personale identifichi un richiedente asilo che necessita di sostegno psicologico, come nel caso di una vittima di violenza sessuale, le informazioni non vengono sistematicamente condivise se il richiedente asilo viene trasferito in un’altra struttura. Uno psicologo in un centro della regione Veneto ha dichiarato di aver presentato alla prefettura locale una relazione scritta, che la prefettura dovrebbe aver comunicato alla nuova struttura del richiedente asilo, ma lo psicologo non ha alcun contatto diretto con il personale della nuova struttura e non può controllare se le informazioni sono state condivise.[13] Uno psicologo di un altro centro della regione veneta ha detto che, per quanto ne sa, non è autorizzato a comunicare direttamente con il personale di altri centri di accoglienza e può fornire informazioni solo attraverso una relazione ufficiale quando un richiedente asilo viene trasferito.[14] L’assenzadi sistemi di riferimento chiari e di scambio di informazioni tra i fornitori di servizi sanitari all’interno del sistema di accoglienza, che va contro quanto richiesto dalle migliori prassi, potrebbe impedire la continuità dell’assistenza sanitaria e mentale necessaria per i richiedenti asilo vittime di violenza sessuale.

  1. Mancanza di formazione specializzata del personale e dei prestatori di servizi

La mancanza di formazione specializzata rende più difficile l’identificazione dei richiedenti asilo che sono vittime di violenza sessuale. In ogni centro di accoglienza che Human Rights Watch ha visitato, i membri del personale hanno affermato di non avere una formazione specializzata adatta a riconoscere o a rispondere a segni di violenza sessuale o traumi. Gli psicologi erano gli unici membri del personale con qualche formazione pregressa adatta a individuare e curare le vittime del trauma; in ogni caso, solo pochi centri avevano degli psicologi a tempo pieno, mentre alcuni non avevano alcuno psicologo in sede.

“Non esiste una formazione del personale in merito a come identificare le persone con particolari problemi o su cosa bisogna fare,” ha detto il direttore di un centro situato fuori Milano. “La si ottiene solo attraverso l’esperienza di lavorare qui. Non sapevo niente quando sono arrivato. Ho imparato a gestire i casi”[15] Anche altri membri del centro hanno confermato la mancanza di formazione.[16]

Se disponibili, gli interpreti possono essere gli unici membri del personale con i quali un richiedente asilo può comunicare direttamente, ma non hanno la formazione necessaria per riconoscere o rispondere ai casi di violenza sessuale o di traumi.[17] Il personale medico dei centri di accoglienza ha inoltre affermato di non aver partecipato a una formazione mirata adatta ad aiutarli a identificare o affrontare problemi che potrebbero sorgere tra i richiedenti asilo, in particolare questioni psicosociali dovute a traumi. Come ha dichiarato un’infermiera in un centro della regione Veneto: “Essere infermiera ed essere infermiera in questa realtà sono cose completamente diverse.”[18]

  1. Mancanza di accesso agli interpreti dello stesso sesso e di informazioni sui servizi

La disponibilità limitata di interpreti nei centri di accoglienza che Human Rights Watch ha visitato ha creato ulteriori ostacoli alle donne richiedenti asilo nell’accesso a informazioni e servizi disponibili.

In alcuni casi, i centri mancavano di interpreti per le lingue chiave e, anche quando vi erano, spesso non esistevano interpreti di sesso femminile. Dare la possibilità di avere un interprete dello stesso sesso, benché non sia un obbligo, è una buona prassi ampiamente accettata. Le Linee guida dell’Agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite sulle risposte ai casi di violenza sessuale e di genere indicano che il personale dovrebbe “effettuare interviste in ambienti privati ​​con traduttori dello stesso sesso, dove possibile.”[19] Il Comitato ha chiarito che, per quanto riguarda il diritto delle donne ai servizi sanitari e sociali ai sensi della Convenzione, “gli obblighi fanno riferimento all’informazione sui loro diritti e sulle indicazioni pratiche su come ottenere l’accesso a tali servizi in una lingua che comprendono.”[20]

In molti centri, le donne richiedenti asilo hanno detto di non aver avuto la percezione che vi fosse qualcuno a cui potevano parlare nel caso avessero avuto un problema. Un centro della regione Veneto ha avuto solo un interprete maschile a tempo parziale per il Tigrinya, una lingua eritrea, nonostante ospitasse fino a circa 35 donne eritree alla volta. “Vorremmo essere in grado di utilizzare i servizi quando ne abbiamo bisogno”, ha detto una donna eritrea di 23 anni ospitata dal centro. “Ma anche se volessimo avvicinarci al personale, come potremmo farlo?”[21]

Alla domanda su come la mancanza di interpreti di sesso femminile possa influenzare la probabilità che i richiedenti asilo di sesso femminile raccontino la violenza sessuale e beneficino dei servizi correlati, il personale dei centri di accoglienza spesso non si mostra molto interessato. In un centro fuori Milano, che ospita alcune donne richiedenti asilo ma con una popolazione principalmente maschile, il direttore ha ridotto al minimo la necessità di interpreti di sesso femminile, ma ha riconosciuto le difficoltà specifiche che questo crea per le donne ivi residenti: “La maggior parte delle persone qui sono uomini, quindi non abbiamo molte richieste [di donne interpreti]. Gli interpreti sono uomini. Una donna dovrebbe trovare un amico che parla inglese e che possa parlare con un assistente sociale o qualcun altro.”[22]

In un altro centro fuori Milano, la direttrice ha risposto: “Nessuno ha mai chiesto un interprete di sesso femminile o un lavoratore sociale di sesso femminile.” Ha detto che lei e altri membri del personale femminile, tutti italiani, fungono da punto di contatto. “Siamo una grande famiglia,” ha continuato. “Sanno che se hanno bisogno di qualcosa, possono parlare con me. Mi cercano. Sono come la loro madre.“[23]

Tuttavia, Human Rights Watch ha intervistato due residenti di sesso femminile ospitate dallo stesso centro che hanno dichiarato di essere state violentate in Libia e di non aver parlato a nessuno dopo il loro arrivo in Italia, incluso il personale del centro. Una ha detto di non aver capito che lo poteva fare. “Non ho parlato a nessuno di questo,” ha detto una donna di 26 anni dell'Etiopia. “Nessuno mi ha detto che avrei potuto parlarne.”[24]

La mancata assistenza di un interprete dello stesso sesso può impedire alle donne richiedenti asilo non solo di rivelare le esperienze di violenza sessuale, ma anche di ottenere aiuto, comprese le cure mediche e psicosociali post-stupro. Una psicologa dello stesso centro ha notato che la mancanza di interpreti di sesso femminile rende particolarmente impegnativa l’interazione con le donne richiedenti asilo: “È un problema perché non parlano inglese. Hanno bisogno di un interprete. E con un maschio [interprete] è molto difficile.”[25] Inoltre, ha aggiunto che questo ha anche creato un notevole ostacolo alla comunicazione delle donne con i medici delle cliniche locali.

Sebbene il personale di ogni centro di accoglienza abbia dichiarato di informare i richiedenti asilo sui servizi disponibili al loro arrivo, molti di quelli intervistati da Human Rights Watch non avevano saputo dell’esistenza dei servizi psicologici. Anche laddove i servizi erano già disponibili, come gli psicologi in sede, i richiedenti asilo di solito non potevano identificare chi forniva i servizi o come accedervi. La maggior parte dei richiedenti asilo ha inoltre dichiarato di non aver ricevuto alcuna indicazione da parte del personale, inclusi i prestatori di assistenza sanitaria, che la violenza sessuale fosse oggetto di attenzione.

  1. Condizioni inadeguate per curare le vittime di violenza sessuale o basata sul genere

Le strutture presso alcuni centri di accoglienza visitati da Human Rights Watch non soddisfano le condizioni basilari per rispondere ai casi di violenza sessuale o basata sul genere. Nemmeno uno dei centri è riuscito a fornire uno spazio riservato per il servizio di counseling  indirizzato alle vittime di violenza. Due psicologi in un centro di accoglienza della regione veneta effettuano le sessioni di counseling in una stanza, con solo un separè di tessuto che li divide per motivi di privacy. “Va bene perché in questo modo ti concentri sulla persona che è con te e sai se l’altra persona [alla quale viene offerto il servizio di counseling] sta ascoltando; talvolta parlano in diverse lingue,” ha dichiarato uno psicologo. “A volte, se qualcuno ha un problema particolare, cerchiamo di stare da soli.”[26] Benché il sovraffollamento, le infrastrutture di base e le difficolta nel coordinamento anche con altri servizi statali creino una situazione che fa sì che il personale del centro di accoglienza debba spesso adattarsi a condizioni sfavorevoli, la riservatezza è un principio fondamentale per rispondere ai casi di violenza sessuale e di genere, in conformità con le linee guida dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.[27] Il Comitato CEDAW ha espresso una particolare preoccupazione per le conseguenze che la mancanza di riservatezza nei confronti delle donne e del loro accesso all’assistenza sanitaria può determinare: “Anche se la mancanza di riservatezza per i pazienti interessa sia gli uomini che le donne, questa può impedire alle donne di chiedere consigli e cure, con ripercussioni sulla loro salute e sul loro benessere.”[28] Il Comitato sottolinea che “per questo motivo, le donne saranno meno disposte a chiedere assistenza medica ... nei casi in cui hanno subito violenze sessuali o fisiche.”[29]

Human Rights Watch è preoccupata del fatto che gli atteggiamenti del personale nei confronti delle donne richiedenti asilo possano anche impedire alle donne di accedere all’assistenza sanitaria e fisica di base. I membri del personale di alcuni centri hanno fatto osservazioni sull’attività sessuale femminile o sulla salute riproduttiva che perpetua degli stereotipi. Ad esempio, in un centro, il personale medico ha descritto le donne richiedenti asilo della Nigeria come “promiscue” e le donne somali come “più riservate.”[30]  Anche presso centri con personale sanitario in sede, i servizi sanitari specializzati, inclusi, ad esempio, servizi di pre-partum o altre cure ginecologiche e di contraccezione, richiedono visite presso dei fornitori di servizi medici fuori sede. Dato l’isolamento di molti centri di accoglienza, spesso situati in zone suburbane o rurali, senza un accesso immediato ai trasporti pubblici, i richiedenti asilo devono comunicare le loro esigenze al personale per facilitare i contatti e le visite cliniche. In questo contesto, gli atteggiamenti negativi o moralisti dei membri del personale, aggravati dalla mancanza di interpreti dello stesso sesso, potrebbero impedire ulteriormente alle donne di accedere alle cure di cui hanno bisogno.

Ciò si è reso evidente in un centro dove il direttore ha affermato che nessun metodo di contraccezione era disponibile, anche se il personale stava cercando di stabilire un accordo con il servizio sanitario locale per fornire dei preservativi. Tuttavia, per le donne, l’accesso a metodi contracettivi orali o diversi richiederebbe comunque la visita e la prescrizione di un medico fuori sede.[31] In questo stesso centro, il personale sanitario ha dichiarato a Human Rights Watch che, a seguito di una serie di richieste di aborti da parte delle richiedenti asilo della Nigeria, ha minacciato le donne che esse avrebbero dovuto iniziare a pagare loro stesse se volevano abortire. “L’impressione che ho avuto è che le donne abbiano iniziato percepito che una volta rimaste incinte, non c'è problema, possono abortire,” ha detto un’infermiera del centro. Inoltre, secondo le sue dichiarazioni, il fatto di aver facilitato gli aborti ha causato problemi per il personale, che aveva difficoltà a trovare medici locali disposti a eseguire la procedura entro il tempo necessario.[32] L’infermiera continua “Questo rendeva difficile i nostri rapporti con le autorità. Quando abbiamo iniziato a dire alle donne: ‘Dovrai prendertene cura e dovrai pagarli’, improvvisamente, le donne hanno iniziato a portare avanti la gravidanza. Sono diventate più attente.”[33] Il medico e l'infermiere intervistati da Human Rights Watch non hanno mostrato alcuna preoccupazione circa le circostanze in cui le donne sono rimaste incinte: a causa dello sfruttamento, del lavoro sessuale forzato o di altre violenze sessuali. “Penso che le gravidanze che hanno siano delle gravidanze volute,” dice l’infermiera.

L’infermiera e il medico del centro hanno insinuato che, quando una donna non può abortire, di solito è colpa sua per aver richiesto la procedura troppo tardi. Il dottore ha affermato che stanno cercando di educare le donne in merito alla contraccezione di emergenza per evitare la necessità di aborto, ma che ciò richiede una prescrizione medica che, come lo stesso ha ammesso, non può essere facilmente ottenuta. “Ci sono medici che rifiutano di dare la pillola perché sono contrari,” ha detto.[34]

Una maggiore difficoltà nell’accesso alla contraccezione, all’aborto sicuro e alla cura post-stupro è in contrasto con la raccomandazione del Comitato ai sensi dell’Articolo 12 della Convenzione sul diritto alla salute. Il Comitato ha precisato che “gli stati membri dovrebbero garantire, senza pregiudizio o discriminazione, il diritto all’informazione sulla salute sessuale, sull’educazione e sui servizi sanitari per tutte le donne e le ragazze ... anche se non risiedono legalmente nel paese.”

  1. Mancanza di accesso alle informazioni sulle procedure per richiedere la protezione internazionale

Oltre ad ostacolare la rilevazione della violenza sessuale e l’accesso ai servizi, la mancanza di interpreti dello stesso sesso può portare a una scarsa conoscenza dei processi di richiesta di asilo e potrebbe impedire l’accoglimento di richieste di asilo o protezione internazionale basati sul genere.[35] Il Comitato ha riconosciuto questo rischio nel suo commento sui diritti dei richiedenti asilo.[36] La disponibilità di interpreti dello stesso sesso, la riservatezza e il personale qualificato sono essenziali per creare un ambiente favorevole ai richiedenti asilo che porti allo scoperto la violenza sessuale, e quindi incoraggiare la presentazione di richieste di asilo basate sul genere.

La mancanza di comprensione o di orientamento per le richieste basate sul genere solleva preoccupazioni circa la mancata identificazione dei richiedenti asilo che hanno i requisiti per la protezione internazionale basata sul genere. I richiedenti asilo che Human Rights Watch ha intervistato stavano aspettando le prime valutazioni delle loro richieste - alcune giacenti nel sistema per l’accoglienza da molti mesi o addirittura da più di un anno - e molti dicono che non hanno ancora avuto alcun incontro con un consulente legale. Una donna di 28 anni proveniente dalla Nigeria, ospitata in un centro di accoglienza fuori Milano, ha detto a Human Rights Watch che è stata costretta a sposarsi all’età di 10 anni, è stata violentata dal cognato ed è rimasta incinta in seguito a questa forma di violenza. É fuggita dalla Nigeria quando la famiglia del marito ha tentato di prendere suo figlio perché avevano pagato la dote e il cognato era il padre di suo figlio. “Mi stanno cercando tutti, dappertutto,” ha detto. La donna ha raccontato la sua esperienza a una persona del centro di accoglienza, ma non conosce né il nome né la posizione di questa persona e ha detto che la donna non le offriva alcuna assistenza specifica, legale o altro. “Le ho raccontato la mia storia. Le è dispiaciuto,” ricordò la donna. “Ha detto che avrebbe pregato perché il governo mi aiuti.” Nonostante sia arrivata in Italia nel luglio 2016, otto mesi prima di parlare con Human Rights Watch, non ha ancora ricevuto assistenza legale né ha parlato con qualcuno circa la sua richiesta di asilo.[37]

Anche se gli assistenti legali e i direttori della maggior parte dei centri di accoglienza hanno affermato di spiegare il processo per richiedere la protezione internazionale a tutti i richiedenti asilo che arrivano presso le loro strutture, le lacune di comunicazione ancora persistono. Molti dei richiedenti asilo intervistati da Human Rights Watch hanno dichiarato di non avere conoscenza del processo o della fase in cui si trovano le loro domande. In un centro fuori Milano, dove il direttore ha dichiarato che l’assistenza legale è disponibile a tempo parziale, un giorno la settimana, le donne richiedenti asilo hanno dichiarato di non avere ricevuto spiegazioni sulla procedura. Una donna eritrea di 25 anni ha dichiarato: “In un primo momento, ho avuto un colloquio presso la stazione di polizia con l’aiuto del mediatore e questo è tutto. Ci hanno solo detto di aspettare.” Ha detto che non sapeva di alcuna assistenza legale disponibile presso il centro di accoglienza.[38]

Nelle linee guida sulla procedura relativa alla persecuzione basata sul genere, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati rileva che “è essenziale che le donne ricevano informazioni sul processo di determinazione dello status, l’accesso a esso e il consiglio legale, nel modo e in una lingua loro comprensibile.”[39] Le linee guida tengono altresì conto dell’importanza di agevolare le richieste basate sul genere, garantendo riservatezza, servizi di assistenza e interlocutori e interpreti dello stesso sesso.[40] Le linee guida richiedono approcci specifici alle richieste basate sul genere, tra cui “un’adeguata preparazione” e, in particolare, nei casi di violenza sessuale, la possibilità di ulteriori colloqui per stabilire un rapporto di fiducia e consentire alle vittime di spiegare in pieno le circostanze delle loro affermazioni.[41]

Conclusioni

Nonostante la pressione sul sistema di accoglienza dell’Italia a causa di arrivi significativi, gli obblighi del governo ai sensi del CEDAW, nonché della Convenzione di Istanbul, richiedono la protezione di tutte le donne e ragazze contro la violenza e l’assistenza alle vittime di violenza, incluse le migranti, le rifugiate, le richiedenti asilo e donne e ragazze sfollate. Dati i ben documentati rischi di violenza sessuale per le donne e le ragazze durante la migrazione ed i comprovati ed allarmantielivelli di stupro e aggressione sessuale commessi contro le donne e le ragazze in Libia, spetta al governo italiano adottare un’azione congiunta per dotare i centri di accoglienza e il loro personale degli strumenti necessari per identificare le vittime di violenza sessuale e fornire loro i servizi necessari. Il Comitato dovrebbe interrogare il governo dell’Italia sul suo impegno nella formazione sistematica del personale dei centri di accoglienza, nella fornitura di interpreti dello stesso sesso e di una migliore comunicazione riguardo i servizi sanitari, psicologici e legali loro disponibili, nonché riguardo le richieste di protezione internazionale per motivi di genere in linea con le migliori prassi internazionali in materia. Il governo dovrebbe anche considerare di seguire quegli esempi di buone prassi già presenti in Italia, riproponendo tali servizi in altre aree del territorio nazionale e utilizzando le competenze del personale qualificato per rafforzare le capacità dei dipendenti dei centri di accoglienza.

 

Human Rights Watch incoraggia il Comitato a utilizzare la prossima revisione per invitare il governo dell'Italia a:

  • Stabilire processi di screening nei centri di transito e di accoglienza per identificare i richiedenti asilo che abbiano subito una violenza sessuale o di genere e riferirli ai servizi necessari, in linea con le migliori prassi internazionali.
  • Assicurarsi che tutti i servizi di hotspot, centri di transito e centri di accoglienza soddisfino le norme fondamentali per la risposta ai casi di violenza sessuale e di genere, anche attraverso l'accesso ad interpreti dello stesso sesso e la fornitura di spazi riservati.
  • Garantire l'accesso all'assistenza sanitaria fisica e mentale, inclusa la contraccezione, la contraccezione di emergenza, l'aborto sicuro e la cura post-stupro per le donne richiedenti asilo e affrontare le barriere poste a tali cure che possono rendere più difficile l’esperienza delle donne richiedenti asilo.
  • Stabilire programmi di formazione standardizzati e fornire addestramento sistematicamente sulla prevenzione e le risposte ai casi di violenza sessuale e di genere e la collaborazione con i rifugiati o le popolazioni sfollate, anche su richieste di protezione internazionale basate sul genere, a tutto il personale addetto agli hotspot, ai centri di transito e ai centri di accoglienza. In concerto con i servizi sanitari pubblici e con i governi locali, svolgere attività di formazione per i fornitori di servizi e per i funzionari che operano nei settori collegati ai centri di accoglienza.
  • Facilitare la condivisione di informazioni tra il personale del centro di accoglienza, in modo da rispettare la riservatezza e le migliori prassi internazionali, per garantire la continuità della cura e l'apprendimento esperienziale per i membri del personale.

 


[1] L’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul nel mese di Settembre 2013. La Convenzione è entrata in vigore ad Agosto 2014, in seguito alla ratifica da parte di dieci stati membri del Consiglio d’Europa. Consiglio d’Europa, Carta delle firme e delle ratifiche del Trattato 210, Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, http://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/210/signatures (visitato il 7 Giugno 2017).

[2] Il Comitato delle Nazioni Unite per l’Eliminazione della Discriminazione nei confronti delle Donne (Comitato CEDAW), Elenco delle problematiche e delle questioni in merito alla VII relazione periodica dell’Italia, Doc. ONU CEDAW/C/ITA/Q/7, 25 Novembre 2016, commi 7, 9, 19- 21.

[3] Vedi, Human Rights Watch, Pushed Back, Pushed Around: Italy’s Forced Return of Boat Migrants and Asylum Seekers, Libya’s Mistreatment of Migrants and Asylum Seekers, 2009, https://www.hrw.org/sites/default/files/reports/italy0909web_0.pdf; “Libya: Whipped, Beaten, and Hung from Trees,” comunicato stampa del 2 giugno 2014, https://www.hrw.org/news/2014/06/22/libya-whipped-beaten-and-hung-trees; “EU/NATO: Europe’s Plan Endangers Foreigners in Libya,” comunicato stampa del 6 giugno 2016, https://www.hrw.org/news/2016/07/06/eu/nato-europes-plan-endangers-foreigners-libya; “EU: Put Rights Above Politics,” comunicato stampa del 1° febbraio 2017, https://www.hrw.org/news/2017/02/01/eu-put-rights-above-politics.

[4] Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia, “Detained and Dehumanised: Report on Human Rights Abuses against Migrants in Libya”, 13 dicembre 2016, http://www.ohchr.org/Documents/Countries/LY/DetainedAndDehumanised_en.pdf (visitato il 10 giugno 2017); Refugees International, Hell on Earth: Abuses against Refugees and Migrants Trying to Reach Europe from Libya, 31 maggio 2017, https://www.refugeesinternational.org/reports/2017/libya; Patrick Wintour, “German report details Libya abuses amid pressure to end migrant flows,” Guardian, 30 gennaio 2017, https://www.theguardian.com/world/2017/jan/30/german-report-libya-abuses-pressure-migrant-flows.

[5] Comitato CEDAW, Raccomandazione generale n. 28 sulle obbligazioni principali degli stati membri ai sensi dell’Articolo 2 della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, Doc. ONU CEDAW/C/2010/47/GC.2, 47-esima sessione, 19 ottobre 2010, comma 12.

[6] Comitato CEDAW, Raccomandazione generale n. 24, Articolo 12 della Convenzione (donne e salute), 20-esima sessione, 1999, comma 6.

[7] Un’ulteriore indagine verrà effettuata nel sud-Italia a metà 2017.

[8] Comitato CEDAW, Raccomandazione generale n. 32 sulle dimensioni del genere relative allo status di rifugiato, all’asilo, alla nazionalità e alla condizione di apolide delle donne, Doc. ONU CEDAW/C/GC/32, 14 novembre 2014, comma 46.

[9] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad un membro del personale presso CAS/SPRAR, regione Lombardia, 9 marzo 2017.

[10] Intervista effettuata da Human Rights Watch al direttore di un centro di accoglienza, regione Lombardia, 10 marzo 2017.

[11] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad un medico di un centro di accoglienza, regione Veneto, 14 marzo 2017.

[12] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad una richiedente asilo presso un centro di accoglienza, regione Veneto, 15 marzo 2017.

[13] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad uno psicologo di un centro di accoglienza, regione Veneto, 14 marzo 2017.

[14] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad uno psicologo di un centro di accoglienza, regione Veneto, 15 marzo 2017

[15] Intervista effettuata da Human Rights Watch con dei direttori di centri di accoglienza, regione Lombardia, 10 marzo 2017 e regione Lombardia, 12 marzo 2017.

[16] Intervista effettuata da Human Rights Watch con una infermiera presso un centro di accoglienza, regione Lombardia, 10 marzo 2017.

[17] Intervista effettuata da Human Rights Watch con un interprete presso un centro di accoglienza, regione Lombardia, 11 marzo 2017.

[18] Intervista effettuata da Human Rights Watch con una infermiera presso un centro di accoglienza, regione Lombardia, 14 marzo 2017.

[19] L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Sexual and Gender Based Violence: Guidelines for Prevention and Response, 2003, http://www.unhcr.org/uk/protection/women/3f696bcc4/sexual-gender-based-violence-against-refugees-returnees-internally-displaced.html, pagina 29. Vedi anche Inter-Agency Standing Committee, Guidelines for Integrating Gender Based Violence Interventions in Humanitarian Action, 2015, https://gbvguidelines.org/wp-content/uploads/2015/09/2015-IASC-Gender-based-Violence-Guidelines_lo-res.pdf; Inter-Agency Working Group on Reproductive Health Care in Crises, Minimum Initial Service Package, Chapter 3: Prevent and Manage the Consequences of Sexual Violence, 2011, http://iawg.net/wp-content/uploads/2015/09/chapter3.pdf, pagina 26.

[20] Comitato CEDAW, Raccomandazione generale n. 32, comma 33.

[21] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad una richiedente asilo presso un centro di accoglienza, regione Veneto, 15 marzo 2017.

[22] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad un direttore di un centro di accoglienza, regione Lombardia, 10 marzo 2017.

[23] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad una direttrice di un centro di accoglienza, regione Lombardia, 12 marzo 2017.

[24] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad una richiedente asilo presso un centro di accoglienza, regione Lombardia, 12 marzo 2017.

[25] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad una psicologa presso un centro di accoglienza, regione Lombardia, 10 marzo 2017.

[26] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad uno psicologo presso un centro di accoglienza, regione Veneto, 14 marzo 2017.

[27] L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per I Rifugiati (UNHCR), Sexual and Gender Based Violence: Guidelines for Prevention and Response, 2003, “Chapter 2: Guiding Principles,” “Chapter 4: Responding to Sexual and Gender Based Violence.”

[28] Comitato CEDAW, Raccomandazione generale n. 24, comma 12(d).

[29] Idem.

[30] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad un medico e un’infermiera presso un centro di accoglienza, regione Veneto, 15 marzo 2017.

[31] Intervista effettuata da Human Rights Watch al direttore di un centro di accoglienza, regione Veneto, 15 marzo 2017.

[32] Ai sensi della “clausola di coscienza” o “obiezione di coscienza”, I prestatori di servizi sanitari possono rifiutarsi di praticare l’aborto o fornire mezzi contraccettivi in base al fatto che tali pratiche sarebbero in conflitto con i loro valori e credenze personali. Vedi, Giulia Paravicini, “When a doctor’s right to choose trumps a women’s right to choose,” Politico, 8 febbraio  2017, http://www.politico.eu/article/anti-abortion-doctors-become-majority-in-italy-right-to-choose/ (visitato il 12 giugno 2017); Stephanie KirchgaessnerPamela DuncanAlberto Nardelli e Delphine Robineau, “Seven in 10 Italian gynaecologists refuse to carry out abortions,” Guardian, March 11, 2016, https://www.theguardian.com/world/2016/mar/11/italian-gynaecologists-refuse-abortions-miscarriages (visitato il 12 giugno 2017).

[33] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad un medico ed una infermiera presso un centro di accoglienza, regione Veneto, 15 marzo 2017.

[34] Idem.

[35] Secondo le linee guida dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati in merito alla persecuzioni basate sul genere, “Quando lo stupro o altre forme di violenza sessuale vengono commesse per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza politica di un certo gruppo sociale, detti atti saranno considerati persecuzione ai sensi del termine di rifugiato della Convenzione sullo status di rifugiato e lo statuto dell’ufficio di UNHCR del 1951.” Il documento continua dichiarando che “le richieste basate sul genere tipicamente fanno riferimento a, anche se in via esemplificativa, atti di violenza sessuale, violenza familiare/domestica, pianificazione familiare forzata, mutilazioni genitali femminili, punizioni per trasgressioni delle abitudini sociali e discriminazione contro gli omossessuali.” UNHCR, Sexual and Gender Based Violence: Guidelines for Prevention and Response, pagine 109, 111.

 

[36] Comitato CEDAW, Raccomandazione generale n. 32, commi 13-16. Il Comitato puntualizza che la Raccomandazione generale n. 32 “è destinata ad assicurare che gli stati firmatari applichino una prospettiva di genere” quando valutano i motivi alla base della richiesta di protezione internazionale e continua: “il Comitato è preoccupato che molti sistemi impegnati nelle richieste di asilo continuano a valutare le richieste delle donne attraverso le lenti delle esperienze degli uomini, il che comporta una valutazione inadeguata delle richieste di asilo o il loro rigetto.”

[37] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad una richiedente asilo presso un centro di accoglienza, regione Lombardia, 8 marzo 2017.

[38] Intervista effettuata da Human Rights Watch ad una richiedente asilo presso un centro di accoglienza, regione Lombardia, 11 marzo 2017.

[39] UNHCR, Sexual and Gender Based Violence: Guidelines for Prevention and Response, pagina 120.

[40] Idem, pagine 120-122.

[41] Idem, pagina 121.

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