L’intolleranza quotidiana

La violenza razzista e xenofoba in Italia

L’intolleranza quotidiana

La violenza razzista e xenofoba in Italia

Sintesi
Sintesi delle raccomandazioni al Governo italiano
Metodologia
Il contesto
L’ampiezza del problema
L’impatto dei media
Risposta della società civile in Italia
La preoccupazione delle organizzazioni internazionali
Quadro giuridico e istituzionale
Obblighi dell'Italia in materia di diritti umani
Le leggi nazionali in materia di discriminazione e il razzismo
L’organizzazione delle forze dell’ordine e della giustizia
L'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali
Violenza contro gli immigrati e gli italiani di origine straniera
Violenza di massa a Rosarno, gennaio 2010..
Violenza di massa a Roma, 2007-2009
Attacchi a persone in varie località d’Italia
Abdoul Salam Guiebre, settembre 2008, Milano
Emmanuel Bonsu, settembre 2008, Parma
Ibrahima Mboup, febbraio 2009, Roma
Mohamed Ali, marzo 2009, a Tor Bella Monaca, Roma
Samba Sow, aprile 2009, Roma
Willy Lulua, luglio 2009, Roma
Abdul Latif, agosto 2009, Tor Bella Monaca
Attacco a un bar di proprietà di bengalesi, marzo 2010, Roma
Marco Beyene, marzo 2009, Napoli
Violenze contro i Rom e i Sinti
Violenza contro gli insediamenti di Rom..
Ponticelli, Napoli, maggio 2008..
Ponte Mammolo, Settembre 2007
Opera, Dicembre 2006..
Abusi delle forze dell’ordine
Tor Bella Monaca, Roma, Aprile 2010..
Bussolengo, settembre 2008..
Gheorghe, estate 2008, Milano
Alin, estate 2008, Milano
La risposta  dello Stato italiano
Minimizzazione del problema
La retorica anti-immigrati e anti-Rom..
Inadeguatezza della raccolta dei dati e dell’analisi

La mancata assicurazione alla giustizia dei responsabili degli attacchi
Mancanze nella repressione e nella indagine degli attacchi aggravati dall’odio razziale
Mancanze nell’indagare adeguatamente le accuse di maltrattamento a carico delle forze dell’ordine
Raccomandazioni dettagliate
Ringraziamenti

Sintesi

Negli ultimi anni, il razzismo e la xenofobia hanno generato una crescente violenza in Italia. Gli attachi da folle violenti ai Rom a Napoli nel maggio 2008 e ai lavoratori stagionali immigrati nel gennaio 2010 a Rosarno, una cittadina della Calabria, hanno provocato lo scalpore internazionale. A Milano nel settembre 2008 dopo un piccolo furto un barista uccide in strada a sprangate Abdoul Guiebre, un italiano originario del Burkina Faso; nel marzo 2009 due uomini in una piazza di Napoli aggrediscono Marco  Beyene, un italiano di origine eritrea al grido di negro di merda; e nel marzo 2010 un gruppo di 15-20 persone attacca dei bengalesi in un bar di loro proprietà a Roma, ferendone quattro e danneggiandone il locale.

Questi crimini motivati dall’odio razziale avvengono in un clima politico che porta a identificare immigrati e Rom e Sinti (molti dei quali sono cittadini italiani) con la criminalità e contribuisce a creare un clima di intolleranza, in un paese che ha visto un esponenziale aumento dell'immigrazione, in particolare negli ultimi dieci anni. Dal 2008, il governo di Silvio Berlusconi, in coalizione con la Lega Nord, partito apertamente anti-immigrazione, ha adottato decreti di “emergenza” per agevolare l’introduzione di misure forti tanto contro i migranti privi di documenti quanto contro i Rom e i Sinti; ha fatto approvare una legge creando il reato d’ingresso  e soggiorno irregolare in Italia; e ha tentato di imporre sanzioni più severe per i reati commessi dagli immigrati irregolari rispetto a quelli commessi dai cittadini e dai residenti legali. Il Presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi ha sostenuto nel gennaio 2010 che “una riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali.” Rappresentanti eletti in tutti gli schieramenti politici si sono spesi in retoriche anti-immigrati e anti-Rom.

Osservatori dei media e rappresentanti di ONG contro il razzismo sono sempre più preoccupati per la rappresentazione negativa degli immigrati e delle minoranze, compresi i Rom e i Sinti, nelle cronache dei media e per l'impatto di tale comunicazione sulla percezione pubblica di tali comunità. Da uno studio condotto dall’Università della Sapienza di Roma è emerso che in tutta la prima metà del 2008 solo 26 su 5.684 notizie date dalla televisione sugli immigrati non si sono riferite a questioni di criminalità o alla sicurezza - un dato statistico che Navi Pillay, l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, durante la sua visita all’Italia del marzo 2010 ha definito “sbalorditivo.” La televisione è la principale fonte di notizie per l’80 per cento della popolazione italiana.

Un razzismo crescente e pervasivo influenza ogni aspetto della vita, ha osservato Chiara (uno pseudonimo), una donna italiana abitante nel quartiere di Tor Bella Monaca di Roma, che nella routine quotidiana ha visto crescervi l'odio e strisciarvi sempre più la violenza. Chiara ha raccontato a Human Rights Watch che altre madri si lamentano con lei che qui “vedo solo negro, sono diventati tutti africani. C’è posto al nido per loro ma non per me.” Un giovane le ha detto: “I rumeni hanno il rubare nel loro DNA. Io lavoro con un rumeno, ma di notte siami nemici e se lo vedo, lo pesto.” Chiara stava parlando con una amica marocchina sull’autobus un giorno quando un altro passeggero l’ha sgridata così: “Se parla con loro, non se ne vanno più!” Un amico rumeno di Chiara ha comprato una bicicletta in modo da poter evitare gli insulti che regolarmente riceve sui mezzi pubblici. Ha detto che la guardia del supermercato di quartiere ha detto a sua figlia di starle vicina “perché c’erano gli zingari che rubano i bimbi.”

Il diritto internazionale dei diritti umani impone chiaramente agli Stati l’obbligo di adottare misure efficaci per prevenire la violenza razzista e xenofoba (il dovere di protezione), e di indagare energicamente per perseguirne i colpevoli (il dovere di fornirvi un rimedio efficace). Le autorità dovrebbero, inoltre, pubblicamente e inequivocabilmente condannare tali atti di violenza, al fine di ribadire che la violenza è inaccettabile, ed esprimere sostegno ai soggetti a rischio. Il dovere di protezione e il dovere di fornire un rimedio efficace vanno rispettati dagli Stati sia che gli autori delle violenze siano agenti dello Stato sia che siano privati cittadini.

Le autorità italiane non rispettano tali obblighi. In parte, ciò riflette una mancata identificazione della violenza razzista e xenofoba come un problema serio. Le autorità pubbliche tendono a minimizzare la portata della violenza razzista in Italia, chiamando questi crimini episodici e rari, ed è spesso ridotta al minimo o esclusa la dimensione razzista o xenofoba di eventi quali gli attacchi che hanno colpito gli immigrati stagionali provenienti dall'Africa sub-sahariana, le bande che colpiscono gli immigrati con estorsioni e percosse, e gli attacchi ai campi rom. Il Ministro dell’Interno italiano ha ripetutamente affermato che l'Italia non è un paese razzista e che la violenza razzista è fatta di “episodi ... che ... restano del tutto marginali e sono socialmente rifiutati.” Un rappresentante del Municipio di Tor Bella Monaca, quartiere di Roma, teatro di numerosi attacchi contro gli immigrati nel corso degli ultimi anni, ha raccontato a Human Rights Watch che questi incidenti “non sono di razzismo, ma piuttosto un problema di convivenza, di numeri.” L'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, un ente pubblico, solo dal settembre 2010 ha iniziato a monitorare gli episodi di violenza razzista.

Lo strumento più importante nel diritto penale italiano per combattere la violenza razzista e xenofoba – l’aumento fino alla metà delle sentenze per i responsabili di crimini aggravati dalla motivazione razzista – non si è dimostrato per ora all'altezza delle sue ambizioni. La formulazione restrittiva della legge, che parla di “finalità” razzista del crimine, piuttosto che di sua “motivazione,” e la sua incapacità di riconoscere esplicitamente la possibilità di motivazioni moltiple, ha dato luogo a interpretazioni ristrette da parte dei giudici e a una sua limitata applicabilità nella pratica. Crimini che possono avere avuto una motivazione discriminatoria spesso non sono registrati, indagati o perseguiti in quanto tali. Sebbene l'approccio dei giudici sembri essere in continua evoluzione, la ricerca di Human Rights Watch indica che la disposizione della circostanza aggravante venga utilizzata in modo efficace solo quando l’intento razzista sembri essere l'unica motivazione di un assalto, mentre la dimensione razzista di un reato è minimizzata o ignorata del tutto quando il colpevole, o colpevoli, presunti sembrino avere altri, ulteriori motivazioni.

Poiché la violenza razzista e xenofoba non è considerata un problema urgente, vi è una mancanza di formazione specialistica e sistematica su di essa del personale delle forze dell’ordine e dei pubblici ministeri. Sia il direttore dell’Istituto di formazione della Polizia di Stato che il capo di un importante sindacato dei funzionari di polizia hanno sottolineato che gli italiani non sono “per natura” razzisti e che in Italia la violenza razzista e xenofoba non è un problema statisticamente significativo. Gli agenti di polizia non ricevono una formazione specializzata per individuare e indagare la violenza razzista e xenofoba. Allo stesso modo, per i Pubblici ministeri non vi è alcun obbligo di aderire a programmi di formazione con specifico focus sull’approfondimento dei crimini con intenti discriminatori.

La raccolta sistematica di dati sulla violenza razzista e xenofoba, e sui crimini con motivazione di odio discriminatorio in generale, è fondamentale per analizzarne le tendenze e garantire una risposta adeguata. Eppure l'Italia ha solo di recente iniziato a raccogliere qualsiasi tipo di dati sui crimini ispirati dovuti all'odio discriminatorio, e solo parzialmente. Il Governo nazionale non pubblica statistiche sui questi crimini, anche se può rendere i dati disponibili dietro richiesta. Le autorità indicano il basso numero di denunce ufficiali e delle azioni penali per violenza aggravata dal razzismo per sostenere che tale violenza è rara, senza tenere in conto la sua sottostima e le mancanze delle forze dell'ordine e della magistratura nell’individuare correttamente tale violenza.

I migranti privi di documenti, compresi i Rom provenienti da altri paesi europei, si trovano in una posizione di particolare svantaggio quando si tratta di denunciare la violenza razzista e xenofoba. Sebbene esista una disposizione di legge che prevede la concessione a vittime di crimini un permesso speciale di soggiorno in Italia, si tratta di un potere discrezionale ed è poco conosciuta tra i migranti. Segnalare un delitto può altresì esporre i migranti privi di documenti al rischio di condanna ai sensi della legge che nel 2009 ha reso il soggiorno illegale in Italia un reato, poiché non vi è alcuna garanzia che, una volta ogni procedimento giudiziario sia terminato, non gli verrà ordinato di lasciare il Paese. Come un uomo del Sud-est asiatico ci ha dichiarato: “Noi siamo stranieri qui, è troppo pericoloso denunciare.”

Il Presidente del consiglio di ministri Berlusconi notoriamente ha affermato nel 2009 che l'Italia non deve diventare un paese multietnico. La realtà è che l'Italia è già un mosaico di etnie, nazionalità e origini nazionali, ed è probabile che la sua popolazione diventi ancora più diversificata negli anni a venire. Ci sono segnali preoccupanti che già ora la crescente diversità della società vi abbia portato una crescente intolleranza, con il ricorso alla violenza o all’espressione di sentimenti razzisti o xenofobi da parte di alcuni. Il Governo italiano deve intervenire subito per arrestare questa tendenza.

Sintesi delle raccomandazioni al Governo italiano

  • Condannare fino al più alto livello, e con coerenza, continuità e forza, la violenza razzista e xenofoba.
  • Riformare il Codice penale con l’integrazione nell’ articolo 61 della circostanza aggravante della motivazione dell'odio discriminatorio, assicurando che tale riforma riformuli il campo di applicazione dell’ aggravante per:
    • Riconoscere la possibilità di motivazioni miste, e permettere l'applicazione della circostanza aggravante nei casi in cui la violenza è stata commessa “in tutto o in parte” a causa di pregiudizio; ed
    • Espandere l'elenco delle caratteristiche protette, includendovi, come minimo, l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
  • Rendere obbligatoria la formazione del personale delle forze dell'ordine per individuare, investigare e rispondere ai crimini motivati, in tutto o in parte, da pregiudizi razziali, etnici, o xenofobi.
  • Rendere obbligatoria la formazione per i pubblici ministeri, sulla pertinente legislazione nazionale, in particolare sulla circostanza aggravante della motivazione razziale.
  • Rafforzare l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) per assicurarne la capacità di estendere a livello nazionale la propria visibilità e lavoro, in particolare quello sulla violenza razzista e xenofoba.

Metodologia

Questo rapporto è basato su una ricerca effettuata tra il dicembre 2009 e il dicembre 2010.  Le interviste di campo sono state condotte a Milano, Roma, Rosarno, Palermo, Catania, Firenze tra dicembre 2009 e luglio 2010. Una ricercatrice di Human Rights Watch che parla italiano ha condotto 29 interviste con persone che avevano vissuto o assistito a un attacco fisico imputabile in tutto o in parte a sentimenti razzisti o xenofobi, compresi migranti irregolari, lavoratori agricoli stagionali; cittadini italiani, residenti a lungo termine di origine straniera, e Rom e Sinti stranieri e italiani.

Alcune delle interviste sono state condotte in un misto di italiano inglese e francese, per facilitare l'intervistato. Quattro interviste sono state facilitate da interpreti forniti dagli stessi intervistati. La maggior parte delle interviste sono state condotte individualmente, anche se a volte altri erano presenti e, a volte, hanno partecipato (per esempio, l’avvocato dell'intervistato o un amico o un attivista di una ONG). L'identità di alcune delle persone che abbiamo intervistato è stata nascosta per proteggerne la riservatezza e minimizzare il rischio di conseguenze negative. Non sono state usate le testimonianze ottenute da tre vittime e da un testimone per le preoccupazioni verso una possibile identificazione.

Human Rights Watch ha parlato con 36 fra docenti universitari, avvocati e rappresentanti di ONG e associazioni. Abbiamo intervistato 19 funzionari di governo, fra i quali pubblici ministeri, personale delle forze dell'ordine, il direttore e un membro dello staff dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, il direttore e un membro del personale dell’Istituto di formazione della Polizia di Stato, il vice direttore e un membro del personale dell’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, nonché rappresentanti delle amministrazioni locali di Milano, Roma, Rosarno. Abbiamo avuto un incontro “off-the-record” con il Ministero dell’Interno. Le nostre ripetute richieste di acquisire le statistiche del Ministero dell’Interno non hanno ricevuto alcuna risposta. La nostra richiesta di incontro con il Comandante della Polizia Municipale di Roma è stato negata, e la nostra richiesta di incontro alla Polizia Municipale di Milano non ha ricevuto alcuna risposta.

Il contesto

Aiuto ... sto diventando razzista —Lettera pubblicata sul quotidiano La Repubblica, maggio 2007[1]

Tanto gli italiani quanto gli osservatori stranieri negli ultimi anni sono sempre più preoccupati per il razzismo e la xenofobia in Italia. Gruppi anti-razzisti italiani e autorità internazionali nella tutela dei diritti umani, rilevano uno slancio verso l'intolleranza, che si riflette nell'uso dei politici di un linguaggio carico d’odio, e nella violenza contro gruppi vulnerabili. Il discorso politico che lega gli immigrati e i Rom e i Sinti alla criminalità analogamente ha contribuito a creare un clima in cui l'intolleranza prospera.

Paese con una lunga storia di emigrazione – si stimano in 24 milioni gli italiani che emigrarono all'estero tra il 1876 e il 1976 – l'Italia è diventata nel corso degli ultimi 30 anni un paese di immigrazione, particolarmente negli ultimi 10 anni. Secondo il Dossier Statistico sull'immigrazione della Caritas -un autorevole rapporto annuale prodotto da un’organizzazione della Chiesa cattolica italiana- nel 2010 quasi 5 milioni di immigrati vivevano regolarmente in Italia (circa l’8 per cento della popolazione complessiva).[2] La Caritas stima inoltre che un altro milione di immigrati irregolari vivano e lavorino in Italia. Nel 1998, la Caritas aveva stabilito che 1,2 milioni erano i permessi di soggiorno per stranieri in Italia, pari al 2,2 per cento della popolazione complessiva.[3]

Tra gli immigrati regolari, un quarto provengono da paesi dell'Unione europea (UE), e in totale una metà sono classificati dalla Caritas come “europei.” I rumeni sono il più grande gruppo (887.800), seguiti da albanesi (466.700), marocchini (431.500) , cinesi (188.000) e ucraini (174.000).[4] L'immigrazione sta cambiando il volto dell’Italia: uno su otto neonati in Italia nasce da immigrati, e uno su quattordici studenti nelle scuole italiane è di origine straniera.[5] Quasi 40.000 stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana nel 2008, e sono stati oltre 220.000 i matrimoni registrati tra italiani e stranieri tra il 1995 e il 2007.[6] Le questioni legate all'immigrazione sono diventate un tema dominante della politica italiana e delle campagne elettorali. I governi succedutisi hanno attuato politiche di immigrazione diversificate, includendovi periodiche sanatorie per i migranti privi di documenti, ma l'approccio prevalente nel corso degli ultimi anni è stato quello di trattare l’immigrazione come un problema di ordine pubblico. Le politiche anti-immigrazione sono da sempre un elemento centrale della piattaforma politica del partito politico della Lega Nord, emerso nei primi anni Novanta. Jean-Léonard Touadi, primo deputato nero del parlamento italiano, descrive tre fasi di quello che chiama il “lento avvicinamento al razzismo” del Paese: il primo, sostiene, inizia nel 1991 con un afflusso di immigrati albanesi:

Da quell’estate il fenomeno immigratorio cominciò, e l’Italia iniziò a sentirsi invasa. I numeri erano bassi, ma si coltivò un sindrome d’invasione. E poi venne la crisi economica, e l’arrivo della Lega [Nord]. Berlusconi arriva sullo scenario nel 1994 e trasforma la questione dell’immigrazione in una materia elettorale...E si inizia a enfatizzare i delitti compiuti da immigrati.[7]

Gli attentati negli Stati Uniti l’11 settembre 2001 costituiscono l'inizio della seconda fase, in cui secondo Touadi, “I musulmani sono amalgamati con la violenza e considerati il nemico dell’identità cristiana italiana. La Lega [Nord] è protagonista [di questa fase] ma partecipano grandi forze sociali quali cardinali, giornalisti e politici.”

La terza fase è quella attuale, che Touadi descrive come la sindrome di sicurezza, in cui un si stabilisce un chiaro “legame tra immigrazione e criminalità, e si fa confusione tra problemi sociali e problemi di ordine pubblico.”[8]

Secondo un sondaggio condotto nel 2008 da un centro accademico di ricerca, il 60 per cento degli italiani ritiene che gli immigrati rappresentino una minaccia alla sicurezza.[9] Eppure, studi nazionali del 2010 della Banca centrale d'Italia nel 2008 e del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL) indicano che l'immigrazione non ha avuto alcun impatto significativo sui livelli di criminalità in Italia.[10] A febbraio 2010 la Caritas in uno studio incentrato su Roma, ha raggiunto conclusioni simili.[11] Noureddine Chemmaoui, membro del Consiglio direttivo dell'Unione delle Comunità Islamiche d'Italia (UCOII), ha espresso preoccupazione per il sentimento anti-musulmano in Italia e il razzismo più in generale, dicendo:

Siamo preoccupati che il razzismo diventi più radicato, che il popolo abbracci queste idee. Siamo preoccupati per i nostri figli, che sono italiani ma che potrebbero diventare cittadini di secondo grado.[12]

Le dinamiche dell'immigrazione – e le politiche sulla immigrazione e la sicurezza – hanno anche accentuato la discriminazione nei confronti dei Rom e dei Sinti, a lungo una minoranza emarginata e non riconosciuta in Italia. Si stima che circa il 50 per cento dei Rom che vivono in Italia sono cittadini italiani. Un numero significativo di Rom venne in Italia dalla ex Jugoslavia negli anni 1980 e 1990, e l'emigrazione di Rom provenienti dalla Romania è aumentata negli ultimi anni, soprattutto in seguito all'ingresso della Romania nella UE nel 2007. Anche se la distinzione è spesso persa nel discorso pubblico, molti dei rumeni che vivono in Italia non sono Rom.

La campagna politica per le elezioni nazionali dell’aprile 2008 si è incentrata in gran parte su questioni di sicurezza e immigrazione, e ha poi portato Berlusconi al governo per la quarta volta, con il suo partito Popolo della Libertà in coalizione con la Lega Nord. Dal 2008, i funzionari nazionali e locali all'interno o allineati con la coalizione di governo hanno costantemente collegato gli immigrati e i Rom e i Sinti alla criminalità, e hanno affrontato le questioni dell’immigrazione attraverso il prisma della sicurezza. La sinistra politica in Italia, che ha subito perdite significative nelle elezioni del 2008, non è stata in grado o non ha voluto contrastare efficacemente questa tendenza, e in alcuni casi esponenti politici di sinistra hanno abbracciato il paradigma della sicurezza, nel tentativo di riconquistare il sostegno popolare.

Il governo Berlusconi ha rapidamente adottato diversi decreti di emergenza di immediata applicazione (alcuni dei quali sono stati successivamente sottoposti a controllo parlamentare e quindi modifica) che si occupano dei Rom e dei Sinti e dei migranti. 

Nel maggio 2008, una settimana dopo il presunto tentativo di rapimento di una bambina da parte di un’adolescente rumena Rom, e la ritorsione con attacchi violenti contro i campi Rom nell’Italia meridionale, il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza per le “comunità nomadi” (ossia per Rom e Sinti) in Campania, Lazio, Lombardia e altre Regioni, collegando la presenza di “nomadi” a “una situazione di grave allarme sociale, con possibili gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e sicurezza per le popolazioni locali.”[13] I decreti attuativi adottati subito dopo hanno conferito poteri speciali alle autorità locali, compresi i diritti per lo svolgimento di censimenti e smantellamenti degli insediamenti informali dei Rom.[14] Molti raid della polizia ne sono seguiti.

Il governo ha anche lanciato un giro di vite sugli immigrati irregolari. A seguito di un acceso dibattito politico, con l’opposizione delle organizzazioni nazionali per i diritti umani e della Chiesa cattolica, il Parlamento ha adottato la legge 94/2009, nota come “Pacchetto sicurezza,” nel luglio 2009.[15] Se prima i migranti sono stati dipinti regolarmente come autori di reati, il Codice penale è stato riformato per rendere un crimine il mero essere un immigrato irregolare; ora l’entrata nel Paese senza documenti e il soggiorno senza permesso sono reati punibili in Italia con una multa fino a € 10.000. Secondo questa legge, i migranti con permessi di soggiorno per ragioni di lavoro, qualora lo perdano, perdono anche il diritto di soggiornare legalmente in Italia, se non hanno trovato un nuovo lavoro entro sei mesi.[16]

Il Governo già nel 2008 aveva tentato di rendere il soggiorno irregolare in Italia una circostanza aggravante ai fini di stabilire la pena dopo una condanna penale. Migranti privi di documenti potevano essere soggetti a pene detentive fino a un terzo più lunghe rispetto ai cittadini e ai residenti legali condannati per lo stesso reato. La Corte Costituzionale ha dichiarato nel luglio 2010 che tale disposizione violava il principio costituzionale di uguaglianza davanti alla legge, portando alla sua immediata cancellazione.[17]

La volontà del governo di mettere da parte il rispetto dei diritti umani per far avanzare politiche populiste anti-immigrati si manifesta anche con la collaborazione con la Libia in materia di migrazioni. Nel maggio del 2009, il Governo italiano ha iniziato unilateralmente a intercettare barconi in alto mare e a restituirli sommariamente alla Libia, senza alcuna scrematura per identificare i rifugiati, i malati o i feriti, le donne incinte, i bambini non accompagnati, le vittime di tratta, o le altre persone che necessitano di assistenza, in violazione del diritto internazionale dei diritti umani e dei rifugiati.[18] Tutti coloro costretti a tornare in Libia sono poi stati detenuti al loro arrivo. Una settimana dopo, la Libia e l'Italia hanno annunciato l'inizio di operazioni congiunte di pattugliamento nelle acque territoriali libiche. Nonostante le diffuse critiche internazionali, il governo italiano ha fermamente difeso questa politica, dicendo che i respingimenti sono conformi al diritto internazionale e la cooperazione con la Libia è basata su “un ottimo accordo che ha risolto un’emergenza seria.”[19]

L’ampiezza del problema

La reale portata della violenza razzista e xenofoba in Italia è sconosciuta. L'Italia ha solo di recente iniziato a raccogliere dati sui crimini dovuti all’odio discriminatorio di qualsiasi tipo, e i dati esistenti appaiono essere parziali. Un crimine è classificato nel database come aggravato dall’odio razziale solo se l'agente di polizia che ha ricevuto il reclamo lo ha classificato come tale, e a tutt’oggi, i dati del Ministero dell’Interno e quelli del Ministero della Giustizia non sono stati integrati affinché consentano il monitoraggio dell'esito delle denuncie individuali.[20] Un funzionario della Direzione Centrale della Polizia Criminale, ci ha spiegato che dovrebbe essere operativo nei primi mesi del 2011 un nuovo sistema integrato, che coordinerà quelli dei Ministeri e degli altri apparati di ordine pubblico.[21]

I rapporti delle forze dell’ordine sulle notizie di reato non registrano l’etnia, la razza o la religione della vittima, e le statistiche ricavate dal database centralizzato del Ministero dell’Interno non possono quindi essere disaggregate per specifici gruppi vulnerabili (per esempio, Rom o musulmani).[22]

Il Ministero dell’Interno non pubblica i dati sui crimini motivati dall'odio discriminatorio, anche se ha una politica di mettere a disposizione statistiche su richiesta. Nei suoi rapporti all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, l’Italia ha segnalato147 crimini motivati dall'odio razziale nel 2007, 112 nel 2008, e 142 nel 2009.[23] Nel 2008 le denunce includevano 14 assalti e 15 casi di graffiti.[24] Non è chiaro per gli altri delitti di cosa si sia trattato.

Il Ministero dell’Interno non ha risposto alle ripetute richieste di Human Rights Watch di ottenere delle statistiche dettagliate su denunce ufficiali, arresti, e perseguimento di crimini razzisti e xenofobi per il periodo dal 2007 al 2009.[25] Al momento della redazione di questo rapporto, abbiamo presentato una ulteriore richiesta di dati alla Direzione Centrale della Polizia Criminale (Servizio delle analisi criminali) che non ha ricevuto ancora risposta.[26]

Le storie pubblicate dai media sui crimini di origine razzista possono contribuire a fornire un quadro più completo. Lunaria, una ONG anti-razzismo, ha elaborato statistiche sulle notizie di crimini razzisti e xenofobi pubblicate nei mezzi di comunicazione tra il 1 gennaio 2007 e 14 luglio 2009. Durante questo periodo, 398 reati sono stati riportati dalla stampa, dei quali 186 di violenza fisica contro  persone, fra cui 18 casi che hanno portato alla morte della vittima, 173 di violenza verbale, e 39 di attacchi contro la proprietà. Immigrati e rifugiati sono stati le vittime più frequenti, seguite dai Rom. La stragrande maggioranza delle violazioni sono state commesse da persone sconosciute o da cittadini comuni, mentre per una loro minoranza la responsabilità è stata attribuita a rappresentanti delle istituzioni, comprese le forze dell’ordine.[27]

L’impatto dei media

Nonostante il ruolo positivo dei media nel richiamare l'attenzione su crimini razzisti in mancanza di rapporti ufficiali sistematici, è crescente la preoccupazione tra gli osservatori dei media e delle ONG contro il razzismo di una rappresentazione negativa degli immigrati e delle minoranze, compresi i Rom, nelle notizie pubblicate dai media, e dell'impatto di tale comunicazione sulla percezione pubblica generale di tali comunità.

Questa preoccupazione si lega a quella della monopolizzazione dell’editoria radiotelevisiva. Il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano Silvio Berlusconi possiede la più grande azienda televisiva privata, Mediaset, e come primo ministro, esercita una considerevole influenza editoriale sui tre canali della televisione pubblica RAI. L'Italia è stato l'unico paese “occidentale,” oltre alla Turchia, a essere classificata da Freedom House come “parzialmente libero” nell'indice della libertà di stampa del 2010,[28] e nel rapporto sulla libertà di stampa di Reporters sans frontières (Corrispondenti senza frontiere) del 2010, quella dell'Italia è stata classificata tra le peggiori situazioni nell'Unione europea, in gran parte a causa delle preoccupazioni per la concentrazione della proprietà dei media e l'interferenza degli esponenti politici sui media.[29] Osservatori dei media e politologi sostengono che questo monopolio influenza la natura e la quantità di copertura mediatica dedicata alla criminalità e il suo collegamento all’immigrazione, in particolare nei periodi di campagne elettorali.[30] Da uno studio condotto dalla Università Sapienza di Roma durante la prima metà del 2008 è emerso che solo 26 delle notizie televisive 5.684 riguardanti immigrati non si riferiscono a questioni legate alla criminalità o alla sicurezza. La televisione è la principale fonte di notizie per l'80 per cento della popolazione italiana. Lo studio, avendo analizzato sette programmi di notiziari televisivi e sette giornali quotidiani, ha concluso che i media in Italia presentano un'immagine quasi unidimensionale dell’immigrato: un criminale maschio (in quasi l'80 per cento delle storie), la cui personalità “è schiacciata sul solo dettaglio della nazionalità o della provenienza ‘etnica’, presente spesso nel titolo delle notizie.”[31] E ancora:

Su tutto domina l’etichetta di clandestinità che, prima di ogni altro termine definisce l’immigrazione in quanto tale.  I Rom rumeni sono il gruppo etnico e la nazionalità più frequentemente citati nei titoli di TG. Nei titoli dei quotidiani, le questioni relative all’immigrazione sembrano persino più vincolate alla condizione giuridica del immigrato e agli episodi di cronaca nera. Le parole, dunque, contribuiscono a tematizzare la presenza degli immigrati in Italia con un riferimento forte alla minaccia costituita dagli stranieri alla sicurezza degli italiani.[32]

L'effetto è stato descritto a Human Rights Watch da un immigrato senegalese a Catania, in Sicilia:

è peggiorata tanto tanto tanto la situazione in questo ultimi anni.  Prima ti veniva più facile trovare lavoro, e poi la TV e i giornali hanno fatto spaventare la gente. Quando vedono che sei straniero, ti guardano, vedi che sono spaventati, magari cambiano strada.[33]

Il sensazionalismo e la precipitazione che caratterizzano le notizie di crimini violenti attribuiti a immigrati o Rom può aver giocato un ruolo nel provocare, come ritorsione della folla, la stessa violenza contro membri di questi gruppi. Lo stupro e l'omicidio alla periferia di Roma di una signora di 47 anni, Giovanna Reggiani, da parte di un giovane rumeno nell'ottobre del 2007, il presunto tentativo rapimento di una bambina da parte di una adolescente Rom della Romania alla periferia di Napoli nel maggio 2008, e lo stupro di una ragazza di 14 anni in un parco di Roma il 14 febbraio 2009 da parte di due immigrati rumeni sono stati ampiamente raccontati dai media. Tutti e tre sono stati seguiti da violenze di bande contro rumeni e Rom.

Un esempio dell’approccio spesso problematico dei media è costituito dal caso di una coppia Rom arrestata nel maggio 2008 a Catania con l'accusa di aver tentato di rapire una bambina di 3 anni. Al tempo, i maggiori quotidiani pubblicarono racconti dal titolo, “Arrestati due nomadi: ‘Volevano rapire una bimba’” (Il Corriere della Sera), “Rom tenta di rapire bimba strappandola alla mamma” (Il Giornale), “Che si tratti di un tentativo di rapimento non c’è dubbio” (La Stampa). Dopo quattro mesi di detenzione preventiva, la coppia venne assolta. Solo uno di quegli importanti quotidiani, Il Giornale, riferì l’esito della storia.[34]

L'Ordine nazionale dei giornalisti e la Federazione della stampa italiana hanno varato nel giugno 2008 un codice di etica per la copertura delle storie su immigrati, richiedenti asilo, rifugiati e vittime di tratta: la Carta di Roma.[35] Uno studio pubblicato dall'Osservatorio sulla Carta di Roma – una rete di accademici di università di tutto il paese – nel luglio 2010 ha riscontrato alcuni sviluppi positivi nella stampa, tra cui un minore uso indiscriminato del termine “clandestino” in riferimento agli immigrati e meno ricorso alla retorica “allarmista” attorno ai temi dell'immigrazione e della sicurezza.[36]

Risposta della società civile in Italia

In tutta Italia, una grande varietà di organizzazioni non governative e associazioni, così come di sindacati, lavorano per contrastare gli atteggiamenti e i comportamenti razzisti e xenofobi. Iniziative degne di nota includono la linea telefonica SOS Diritti gestita dalla Associazione Ricreativa Culturale Italiana (ARCI), l'assistenza legale ai migranti e richiedenti asilo previste dalla Associazione Studi Giuridici per gli sull'Immigrazione (ASGI), e il supporto sociale offerto dalla Caritas. Nel marzo del 2009, una coalizione di 27 organizzazioni, tra cui ARCI, ASGI, la sezione italiana di Amnesty International, la Caritas, la Comunità di Sant'Egidio, la Federazione Rom e Sinti, la Rete G2 Seconde Generazioni, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dei Rifugiati (ACNUR), e varie federazioni di sindacati del lavoro, hanno lanciato una campagna chiamata Non Aver Paura. La campagna ha raccolto oltre 80.000 firme in una petizione contro il razzismo e l'intolleranza, ed è stata presentata al Presidente italiano Giorgio Napolitano nel mese di ottobre 2009.[37] L’ARCI ha lanciato una campagna contro tutte le forme di discriminazione nel mese di giugno 2009: Il razzismo è un boomerang – prima o poi ti ritorna. La campagna ha messo in evidenza in un manifesto i parlamentari Jean-Léonard Touadi e Anna Paola Concia, entrambi a torso nudo, con le parole: Ci chiami sporco negro e lesbica schifosa. Ma ti offendi se ti chiamano italiano mafioso. È difficile valutare l'impatto di queste lodevoli campagne di sensibilizzazione sull'opinione popolare. Esse non hanno portato al varo di politiche specifiche o a riforme giuridiche.

La preoccupazione delle organizzazioni internazionali

Il razzismo e le discriminazioni in Italia hanno attirato la costernazione delle organizzazioni internazionali. Doudou Diène, il relatore speciale dell'ONU sulle forme contemporanee di razzismo, ha osservato nel 2007 che l'Italia era “diretta su una preoccupante tendenza alla xenofobia e allo sviluppo di manifestazioni di razzismo, che colpisce soprattutto la comunità musulmana, la comunità Sinti e Rom, e gli immigranti e richiedenti asilo, principalmente di origini africane, ma anche dell'Europa dell'Est.”[38] Il Comitato delle nazioni unite sull'Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) nel 2008 ha espresso preoccupazione per l’odio, espresso anche dai politici, verso stranieri e Rom; per gli atteggiamenti e stereotipi negativi sui Rom; per i maltrattamenti dei Rom da parte di funzionari di polizia nel corso di incursioni negli insediamenti. Il CERD ha invitato l'Italia a intraprendere “azioni risolute per contrastare ogni tendenza, specialmente da parte di politici, che hanno l’obiettivo di stigmatizzare persone con stereotipi, o la loro profilazione sulla base di razza, colore, discendenza e origine nazionale o etnica, o di utilizzare la propaganda razzista a fini politici.”[39] Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa Thomas Hammarberg, ha affermato nel 2009 a seguito di una visita in Italia di essere “particolarmente preoccupato per le notizie coerente che continuano a evidenziare una tendenza razzista e xenofoba in Italia, a volte con il sostegno della attività degli enti locali, che ha portato anche ad atti di violenza contro gli immigrati, i Rom e Sinti, e i cittadini italiani di discendenza straniera.”[40] Dopo una visita nel marzo 2010 in Italia, Navi Pillay, Alto commissario ONU per i diritti umani, ha espresso la sua “grande preoccupazione per la politica attuata dalle autorità di trattare questioni relative a immigrati e Rom principalmente come un problema di sicurezza piuttosto che una questione di integrazione sociale” e il suo “allarme” per “il ritratto - spesso assai negativo - che degli immigrati e dei Rom è fornito da alcuni rappresentanti dei media, dai politici e da altre autorità.”[41] Durante la revisione dell’Italia in base al meccanismo di revisione periodica universale previsto dal Consiglio dell'ONU dei Diritti Umani, nel febbraio 2010 28 paesi hanno espresso preoccupazioni relative al trattamento dei migranti e dei Rom e dei Sinti in Italia.[42]

Quadro giuridico e istituzionale

Obblighi dell'Italia in materia di diritti umani

L'Italia ha obblighi precisi in materia di diritti umani: adottare misure efficaci per prevenire la violenza razzista e xenofoba (il dovere di protezione), indagare energicamente e perseguire i colpevoli (l'obbligo di presentare un rimedio effettivo), e di condannare pubblicamente e inequivocabilmente tale violenza.[43] Il dovere di proteggere e il dovere di fornire un rimedio efficace si applicano sia se gli autori della violenza siano stati agenti dello Stato sia che siano stati privati cittadini. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) impone a tutte le parti dello Stato di agire per garantire a tutte le persone i diritti fondamentali, senza distinzione di alcun tipo, né di razza, lingua, religione, origine nazionale, né di altra condizione. Il Comitato dei Diritti Umani, che monitora il rispetto del ICCPR, ha messo in chiaro che gli Stati hanno l'obbligo positivo di prevenire e punire abusi dei diritti umani da parte di privati cittadini.[44] La Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (ICERD), obbliga gli Stati a garantire a tutti, “senza distinzione di razza, colore, o di origine nazionale o etnica ... la sicurezza della persona e della protezione dello Stato contro violenze o danni fisici , se inflitte da funzionari del governo o da qualsiasi altra persona, gruppo o istituzione.”[45]

La Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) prevede l'uguale godimento di tutti i diritti della Convenzione, senza distinzioni basate su razza, colore, religione, origine nazionale o sociale, tra gli altri motivi.[46] La Convenzione, quando applicata alla tutela del diritto alla vita e del diritto all'integrità fisica, impone anche taluni obblighi positivi per gli Stati, fra i quali quello di proteggere le persone da attacchi, aggressioni o lesioni per mano di privati.[47]

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito nella sua giurisprudenza il dovere degli Stati di verificare se un reato è stato motivato dalla motivazione razzista. Nella sentenza del 2005 nel caso di Nachova e altri c. Bulgaria, il giudice ha sostenuto che:

Quando si indagano fatti di violenza... le autorità dello Stato hanno il dovere supplementare di adottare tutte le misure ragionevoli per smascherare qualsiasi motivo razzista e di stabilire o no se l'odio etnico o di pregiudizio possano avere contribuito agli eventi. Non farlo e trattare la violenza e la brutalità con motivazione razziale in condizioni di parità con i casi che non hanno sfumature razziste, significherebbe chiudere un occhio sulla specifica natura di atti che sono altresì particolarmente distruttivi per i diritti fondamentali.[48]

La Corte ha successivamente, e in molti casi, ribadito l'obbligo positivo di indagare su eventuali motivazioni razziste.[49] In relazione agli attacchi letali la Corte ha sottolineato che:

Quando un attacco violento è motivato dal pregiudizio razziale, è particolarmente importante che l'inchiesta venga portata avanti con vigore e imparzialità, vista la necessità di riaffermare continuamente la condanna sociale del razzismo e di mantenere la fiducia delle minoranze nella capacità delle autorità di proteggerli dalla minaccia della violenza razzista.[50]

La Decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale, adottata nel novembre 2008, ha sottolineato l'obbligo degli Stati dell’UE di garantire che il razzismo e la xenofobia siano passibili di sanzioni penali “efficaci, proporzionate e dissuasive.”[51] Strumento giuridico vincolante, la Decisione quadro stabilisce l'obbligo che nelle legislazioni nazionali la motivazione razzista e xenofoba sia prevista come circostanza aggravante, o comunque preveda un aumento della pena, anche in caso di altri reati.[52]

Nel dicembre 2009, il Consiglio dei Ministri dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) ha adottato la sua prima decisione esclusivamente rivolta ad affrontare il problema dei crimini motivati da odio discriminatorio. La decisione sulla “Lotta ai crimini d’odio” invita gli Stati dell'OSCE, tra cui l'Italia, ad adottare misure per affrontare il problema, comprese la raccolta di dati affidabili, l’emanazione di una legislazione appropriata, l'assistenza alle vittime, e la sensibilizzazione di tutta la cittadinanza.[53]

Le leggi nazionali in materia di discriminazione e il razzismo

La Costituzione italiana, all'articolo 3, garantisce la “pari dignità” di tutti i cittadini e il principio di uguaglianza davanti alla legge “senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. “[54] La Corte costituzionale ha più volte interpretato l'articolo 3, come applicabile a tutte le persone nel territorio italiano. Più recentemente, la Corte ha dichiarato inammissibile il conflitto sollevato dal Governo nazionale su una legge regionale per l'immigrazione in Toscana, che garantisce una gamma di servizi sanitari per i migranti privi di documenti. La Corte, nella sentenza 2010 luglio sulla legge della Toscana, ha riaffermato che lo straniero “è titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona.”[55]

L'Italia ha una robusta legislazione anti-discriminazione. Norme specifiche in materia esistevano già prima, ma nel 2003 è stata adottata una normativa complessiva, al momento in cui l’Italia ha recepito le direttive dell’UE n.43 (sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica) e 78 (sulla parità di trattamento in materia di occupazione e professione).[56]

Lo strumento più importante nel diritto italiano per perseguire penalmente la violenza motivata dall'odio razziale e simili è l’aumento delle sanzioni contenuto nella legge n. 205 del 1993, comunemente indicata come “Legge Mancino,” per l'allora Ministro dell’Interno Nicola Mancino. L'articolo 3 della Legge Mancino consente ai giudici di aumentare la sanzione da infliggere per un reato fino alla metà qualora sia stato commesso “per la finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità.”[57] Altri motivi causanti i crimini di odio discriminatorio, come l'orientamento sessuale e la disabilità, non sono inclusi nella legge. Associazioni e gruppi per i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transgender chiedono da diversi anni un ampliamento delle disposizioni italiane in materia.[58]

La circostanza aggravante della finalità di odio razziale o simili può essere applicato a qualsiasi reato, ad eccezione di quelli punibili con il carcere a vita (la massima sanzione a norma del diritto penale italiano). La Legge Mancino, ai sensi dell'articolo 3 obbliga a indagini d'ufficio, anche quando la vittima non abbia sporto formale denuncia. Secondo la normale procedura penale italiana, la gravità delle lesioni personali determina la portata dell'obbligo dello Stato di indagare e perseguire i delitti.[59]

La Legge Mancino ha anche stabilito che chi “istiga a commettere o commette violenze o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” è punibile da sei mesi a quattro anni in prigione, e chi “propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi è passibile di una pena fino a un anno e sei mesi di prigione o una multa 6.000 euro.”[60]

Procedimenti istruiti in base a queste disposizioni hanno portato a varie condanne negli ultimi anni. Giancarlo Gentilini, il vicesindaco leghista di Treviso, è stato condannato nel mese di ottobre 2009 per istigazione al razzismo ai sensi della Legge Mancino, per i suoi commenti durante un discorso tenuto nel settembre 2008. Gli è stata comminata una multa di € 4.000 (US $ 5,500) e il divieto di tenere discorsi pubblici per tre anni. Avendo presentato appello contro il verdetto, è ancora in carica.[61] Egli aveva detto:

Voglio eliminare i bambini che vanno a rubare agli anziani ... Voglio la rivoluzione contro quelli che vogliono aprire le moschee e i centri islamici ... Vanno a pregare nei deserti … Voglio la rivoluzione contro i phone center i cui avventori si mettono a mangiare in piena notte e poi pisciano sui muri: che vadano a pisciare nelle loro moschee.[62]

E nello stesso discorso aveva detto che egli era contro “neri, marroni o grigi che insegnano ai nostri bambini.”[63]

In un altro caso, un assessore di nome Flavio Tosi, anch’egli della Lega Nord, e cinque altri funzionari locali nel luglio 2009 sono stati condannati a una pena definitiva per propagare idee razziste in relazione ad una campagna 2001 contro gli insediamenti non autorizzati di Rom.[64] Tosi e i suoi co-imputati avevano fatto circolare una petizione dal titolo: “No ai campi nomadi. Firma anche tu per mandare via gli zingari.” Hanno ricevuto pene, poi sospese, a due mesi di carcere. Flavio Tosi è stato poi eletto sindaco di Verona nel 2007; è tuttora in carica.

La politica di Human Rights Watch sulla propaganda all’odio si basa su un forte impegno a favore della libertà di espressione e la preoccupazione che le restrizioni alle espressioni di odio, qualora offensive, sono aperte ad abusi e possono rivelarsi controproducenti. Sosteniamo con vigore l'azione penale dove il linguaggio costituisca incitamento diretto e immediato ad atti di violenza, discriminazioni, o ostilità nei confronti di un individuo o gruppo ben definito di persone in circostanze in cui tale violenza, alla discriminazione, all'ostilità è imminente. Non crediamo che il procedimento penale sia il mezzo più appropriato ed efficace per combattere la propaganda riprovevole e dannosa qualora non vi sia incitamento diretto.[65]

L’organizzazione delle forze dell’ordine e della giustizia

Le due forze dell’ordine nazionali che hanno la responsabilità di investigare e reagire a crimini violenti sono la Polizia di Stato, una forza civile sotto l’autorità del  Ministero dell’Interno, e l'Arma dei Carabinieri, una forza militare sotto l’autorità del Ministero della Difesa.[66] Sia la Polizia che i Carabinieri possono rispondere alle chiamate di emergenza (ciascuna ha il suo numero di emergenza a tre cifre), ed entrambe possono ricevere e gestire le denunce delle vittime di reati. Le aree e le città bassamente popolate hanno in genere operanti nel territorio solo una delle due forze, mentre entrambe le forze tendono ad essere presenti in aree con popolazioni consistenti. Poliziotti e carabinieri possono funzionare come forze di polizia giudiziaria guidate e coordinate da un pubblico ministero incaricato dell'indagine di una notizia di reato. Normalmente conduce l'indagine la forza che risponde a una chiamata di emergenza o riceve una denuncia.

La Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali (DIGOS) della Polizia di Stato, che ha filiali in tutta Italia, è competente per individuare le attività sovversive, comprese le attività eversive della estrema destra, e i crimini commessi da gruppi organizzati. La DIGOS è spesso incaricata delle indagini sulle aggressioni a sfondo razziale laddove ci sono indicazioni che l'assalto è stato commesso da persone che appartengono o sono associati a gruppi di estrema destra.

Nonostante le ripetute raccomandazioni della Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI), non è stata ancora istituita una commissione indipendente per indagare le accuse di violazioni ai diritti umani da parte del personale delle forze dell'ordine.[67] Secondo le norme vigenti, l'ufficio del pubblico ministero con giurisdizione nel territorio del presunto abuso ha la responsabilità di indagare le accuse.

L’ordinamento giudiziario in Italia è un potere indipendente. Vi sono 165 Tribunali ordinari e 29 Tribunali per i minorenni, e ognuno ha un ufficio del pubblico ministero, di varia dimensione. Ci sono poi 29 Tribunali di appello. La Corte di Assise ha competenza sui reati più gravi punibili con le pene al carcere più lunghe, fino all'ergastolo (la condanna più dura ai sensi del diritto penale italiano); i ricorsi sono presentati alla Corte d'Assise d'Appello. Solo i processi della Corte di Assise e della Corte d'Assise d'Appello si tengono davanti a una giuria, composta da sei “giudici popolari,” come sono chiamati nel diritto italiano, e due magistrati giudicanti. Per il procedimento di tutte le cause penali la Corte di Cassazione è il terzo e finale livello contemplato.

I magistrati svolgono le indagini preliminari con l'aiuto di poliziotti e carabinieri assegnati a funzioni di polizia giudiziaria. Una volta che l'inchiesta iniziale è conclusa, il pubblico ministero chiede al Giudice delle indagini preliminari (GIP) di respingere il caso per mancanza di causa probabile oppure chiede al GIP il rinvio a giudizio degli indagati. Il GIP può approvare o respingere le conclusioni del pubblico ministero, e può ordinare di proseguire l'inchiesta. La procedura penale consente il cosiddetto “giudizio direttissimo,” spesso  entro 48 ore, laddove sia stato effettuato un arresto in flagranza di reato. Le sentenze non sono definitive fino a quando tutti i ricorsi siano stati esaminati, e la legge prevede la possibilità di libertà provvisoria in attesa del verdetto finale.

I migranti privi di documenti che sono vittime di un reato possono richiedere il rilascio di un permesso temporaneo per rimanere nel paese per tutta la durata del procedimento giudiziario. L'autorizzazione è concessa per periodi rinnovabili di tre mesi, e viene revocata al termine del procedimento o dell'indagine qualora il caso è archiviato. Non consente al titolare di lavorare, e non può essere convertito in permesso di soggiorno a lungo termine. La disponibilità di tali autorizzazioni non sembra essere ampiamente conosciuta tra gli immigrati privi di documenti. Molti dei migranti privi di documenti con i quali Human Rights Watch ha parlato nel corso di questa ricerca hanno citato la propria mancanza di status giuridico quale uno dei motivi per cui non vogliono denunciare abusi subiti.

Poiché la violenza motivata dall'odio razziale e simili non è stata ancora identificata come un problema prioritario, non esiste una formazione sistematica specializzata né per gli agenti della Polizia di Stato o dei Carabinieri, né per i pubblici ministeri.[68] La Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri non hanno mai avviato alcuna iniziativa di sensibilizzazione per incoraggiare la segnalazione della violenza motivata da odio razzista o simili.[69] Non ci sono unità specializzate per combattere tale violenza all'interno dei commissariati di Polizia o nelle stazioni dei Carabinieri.

Alcuni uffici pubblici ministeri hanno unità speciali per investigare atti razzisti commessi in relazione con lo sport, in particolare il calcio, e i procuratori di queste unità possono anche essere assegnati ad altri tipi di casi nei quali si sospetta esservi una motivazione razziale. La Procura di Roma, per esempio, ha creato un gruppo di lavoro specializzato nel maggio 2009.[70] La decisione di qualsiasi ufficio di creare gruppi di lavoro specializzati spetta al Procuratore capo; il Ministero della Giustizia non ha invece il potere di istruirli e persino nemmeno di raccomandarli.[71]

L'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali

L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) è operativo dal 2005, con il mandato di monitorare le discriminazioni, sia nel settore pubblico e privato, fornire assistenza alle vittime, e di promuovere campagne di sensibilizzazione e contrasto alle discriminazioni. L’UNAR, formalmente parte del Ministero delle Pari Opportunità, può indirizzare le vittime verso l’assistenza delle associazioni incluse in un suo elenco formale delle entità con capacità giuridica di intraprendere un procedimento, ma non può avviare di suo azioni giudiziarie.

Con una nuova dirigenza dal luglio 2009, l'Ufficio è stato ristrutturato, e segue ora con più vigore la stipula di accordi con i governi regionali, e ha aumentato il ventagli di possibilità di denuncia di discriminazione da parte delle vittime.[72] A livello nazionale, gli individui possono sporgere denuncia all’UNAR via telefono o e-mail, oppure sul sito web, o di persona presso la sede di Roma. Il direttore dell’ UNAR Massimiliano Monnani ha raccontato a Human Rights Watch che il suo obiettivo è quello di porre in essere entro il 2012 una robusta rete nazionale, in collaborazione con le amministrazioni regionali e le organizzazioni della società civile, per il monitoraggio e la registrazione dei casi di discriminazione.[73]

Fino al settembre 2010, l'UNAR non contemplava una specifica registrazione degli atti di violenza razzista nella sua base di dati.[74] L'aggiunta di un campo specifico, da settembre dovrebbe consentire per la prima volta all’UNAR di produrre statistiche sulle segnalazioni di casi di violenza razzista. Dal marzo 2010, l'Ufficio monitora la stampa per episodi di violenza razzista, al fine di dare alla polizia o la magistratura notizie di reato ai fini di indurre agli opportuni accertamenti.

Violenza contro gli immigrati e gli italiani di origine straniera

Terribili episodi di violenza razzista occorsi in Italia sono state ampiamente raccontati dai media negli ultimi anni. Fra gli accadimenti più atroci il brutale pestaggio di un cittadino cinese avvenuto nell'ottobre del 2008 per mano di un gruppo di ragazzi mentre aspettava un autobus a Tor Bella Monaca, un quartiere di Roma che ha visto numerosi attacchi contro gli immigrati. In quel caso, gli aggressori gridavano insulti razzisti, come “cinese di merda.”[75] Sette ragazzi sono stati fermati poche ore dopo l'incidente.[76]

Nel febbraio del 2009, due adulti e un ragazzo di 16 anni hanno aggredito un uomo indiano a Nettuno, vicino Roma, picchiandolo e poi versando su di lui benzina e dandogli fuoco.[77] Tutti e tre sono stati poi condannati senza l'aggravante della motivazione razziale.[78] Nel maggio 2009, un attore di nome Mohamed Ba è stato accoltellato allo stomaco mentre aspettava il tram a Milano.[79] L’aggressore di Ba non è mai stato identificato o arrestato, secondo il racconto di Ba e di un suo amico.[80]

L'uso dei temi dell'immigrazione a fini politici in una società sempre più diversificata ha creato un ambiente fertile per l'espressione di sentimenti razzisti e xenofobi. “C’è stato uno sdoganamento di un certo linguaggio … facendo che modi di dire apertamente razzisti non dèstino nessuna preoccupazione,” secondo il deputato Jean-Léonard Touadi.[81] Francesca Sorge, avvocato di uno studio che rappresenta le vittime di discriminazione e di violenza razzista, si è detta d'accordo: “frasi come voi stranieri andatevene via vengono prese come parte del lessico comune, della normale maleducazione urbana.”[82]

Una madre italiana residente di Tor Bella Monaca ci ha riferito così la sua preoccupazione riguardo i commenti che si ritrova ad ascoltare e alle esperienze che ha in quartiere, e che, insieme, dipingono un quadro di diffusa intolleranza e pregiudizio nei confronti degli immigrati così come contro i Rom (gli attacchi ai Rom sono discussi più avanti, nel Capitolo V):

Tanti madri si lamentano, dicono, ‘vedo solo negri, sono diventati tutti africani.  C’è posto al nido per loro ma non per me… Un ragazzo mi ha detto, ‘I rumeni hanno il rubare nel DNA. Io lavoro con un rumeno ma di notte siamo nemici e se lo vedo, lo pesto’ … Parlavo con una amica marocchina sull’autobus e uno mi urla ‘se parla con loro non se vanno più,’ ... Ho un amico rumeno che s’è comprato la bici per non dover andare in autobus e sentire gli insulti … La guardia del supermercato ha detto a mia figlia di stare vicina a me perché c’erano gli zingari che rubano i bimbi.[83]

I casi presentati qui di seguito suggeriscono che il pregiudizio e l'intolleranza possono contribuire a ispirare la violenza di gruppi, come anche gli attacchi di individui, contro chiunque venga percepito come straniero.

Violenza di massa a Rosarno, gennaio 2010

La piccola cittadina di Rosarno, in Calabria, si è guadagnata l’infamia internazionale nel gennaio 2010 dopo che due diversi attacchi contro lavoratori stagionali africani in un solo giorno hanno spinto alla violenta protesta un gran numero di questi lavoratori, seguita da ulteriori attacchi in rappresaglia da parte dei residenti italiani. Le autorità hanno in seguito riposto l’attenzione a lungo attesa verso lo sfruttamento e l'abuso di lavoratori agricoli stagionali, ma la dimensione razzista degli attacchi è stata costantemente ridotta al minimo. Ogni inverno, migliaia di lavoratori stagionali giungono a Rosarno per il raccolto degli agrumi. La maggior parte di essi è messa al lavoro senza contratti di lavoro legali, e le condizioni di lavoro sono spesso di sfruttamento, compresi la retribuzione bassa o a volte completamente negata e il trattamento degradante.[84] Come documentato da Medici senza frontiere e da una associazione locale che fornisce assistenza diretta ai lavoratori stagionali, molti vivono in edifici abbandonati alla periferia di Rosarno e nella campagna circostante, senza elettricità, senza acqua corrente, e con scarsa protezione dalle intemperie.[85]

I fatti di Rosarno iniziarono il 7 gennaio con due distinte sparatorie contro lavoratori africani. Un gruppo di lavoratori africani organizzarono proteste contro le sparatorie la sera stessa e il giorno seguente, che si virarono verso la violenza quando alcuni manifestanti fracassarono vetrine, danneggiarono automobili, bruciarono pneumatici. Nell'episodio più grave attribuito ai migranti, una donna e i suoi figli vennero costretti ad abbandonare la loro auto, la donna colpita al volto con una pietra, e la vettura venne data alle fiamme.[86]

Nel corso dei due giorni seguenti, si verificò una escalation nella violenza contro gli africani lavoratori stagionali migranti. Durante la ricerca svolta a Rosarno alla fine di gennaio 2010, Human Rights Watch ha documentato almeno altri nove attacchi diretti contro immigrati africani in data 8 e 9 gennaio 2010. Una folla di uomini armati di bastoni e spranghe di ferro attaccò sei immigrati africani in diversi momenti durante l’8 gennaio, a Rosarno e nella campagna circostante, e due uomini furono feriti in una sparatoria. Un altro migrante africano fu vittima di una sparatoria il 9 gennaio. Un totale di 11 lavoratori africani furono gravemente feriti al punto da richiedere il ricovero ospedaliero.[87]

Secondo il Ministro dell’Interno Roberto Maroni, un totale di 21 migranti furono feriti.[88] Molti altri riuscirono a sfuggire agli attacchi, tra i quali due tentativi di schiacciare i migranti con veicoli, e l’incendio doloso di una casa occupata da lavoratori migranti. Diciotto agenti delle forze dell'ordine e 14 abitanti di Rosarno ebbero bisogno di ricoveri in pronto soccorso.[89]

Il personale delle forze dell’ordine cominciò a trasportare i migranti africani via da Rosarno su pullman la sera stessa dell'8 gennaio. Secondo le cifre ufficiali citate nei rapporti dei media, 428 migranti vennero inviati a centri di detenzione per immigrati a Crotone, 320 a centri di Bari, e altri 330 lasciarono la zona per conto proprio.[90] La maggior parte di quelli trasferiti nei centri di detenzione avevano il diritto legale di permanenza in Italia e furono perciò rilasciati. Molti fecero richiesta di asilo – e gli è stato poi concesso il permesso di soggiorno provvisorio in attesa dell’esame delle richieste – mentre a un numero imprecisato di altri furono dati ordini di lasciare il paese. I Giudici di Pace di Bari hanno annullato almeno due ordini di espulsione per una varietà di motivi, tra cui in un caso per il divieto di espulsioni collettive.[91]

Alla fine di gennaio 2010, poco dopo gli attacchi, Human Rights Watch ha intervistato nove degli undici lavoratori africani che erano stati gravemente feriti. Per quanto abbiamo potuto verificare, nessuno era stato coinvolto in atti di violenza commessi da immigrati. È stato concesso a tutti loro un permesso di soggiorno per motivi umanitari di un anno, rinnovabile. Saibou Sabitiou è richiedente asilo di 37 anni del Togo. È stato la vittima della prima sparatoria il 7 gennaio.

Ero a Rosarno con un amico a fare la spesa per preparare del cibo africano. Poi ci siamo incamminati per tornare. Eravamo vicini a dove dormiamo, la fabbrica abbandonata, quando vedo un’auto uscire da un parcheggio e venire verso di me. Ho ricevuto una chiamata sul mio telefono e poi lo sparo, bam! Vedo due uomini nella macchina. Non vedo le loro facce perché non ci ho pensato. Era l’uomo dal lato passeggero che mi ha sparato. Mi ha colpito, vedo il sangue. Alcuni amici sono venuti ad aiutarmi e hanno chiamato l’ambulanza. Abbiamo visto tutti la macchina, ma non abbiamo preso il numero di targa. Era una grossa jeep blu, una Volkswagen. C’è stato solo un colpo; mi ha preso qui [nell’addome inferiore]. Ancora sento come se ci fosse qualcosa lì.
La polizia mi ha chiesto se stessi urinando per strada quando è successo. Gli ho risposto che sono musulmano; uso l’acqua per purificarmi. Questa domanda non va fatta a me. È una legge italiana che quando vedi urinare qualcuno per strada prendi un’arma e gli spari? Stavo solo camminando, parlando per strada... la polizia sta facendo il suo lavoro, ma non so se li troveranno. Io piangevo, non a causa della polizia, ma perché dovevo ricordare quello che era successo.[92]

Un alto funzionario di polizia con conoscenza diretta delle indagini ha raccontato a Human Rights Watch a fine gennaio che la polizia intendeva trovare gli aggressori di Sabitiou, perché li considerava “moralmente responsabili” per tutto ciò che ne seguì.[93] Al momento della redazione di questo rapporto, tuttavia, gli arresti non erano stati compiuti in questo o in qualsiasi altro episodio di tentativo di omicidio degli occupanti delle macchine o negli attacchi della folla, sebbene tre persone siano state condannate in relazione alla violenza contro gli immigrati, e cinque cittadini africani condannati per le violenze durante il proteste (si vedano altri dettagli in seguito).[94]Jacouba Camara, di 25 anni, dalla Guinea, fu l’obiettivo di una sparatoria partita da una macchina in corsa alle ore 14 circa del 7 gennaio mentre camminava lungo la strada dopo aver visitato degli amici. Fu colpito da una pallottola, sul fianco sinistro. Un uomo che era con Camara al momento scampò invece all'attacco.

Era un macchinone nero, con a bordo due persone. Sono arrivati da dietro e mi hanno sparato. Sono tornato a casa e i miei amici hanno chiamato i Carabinieri. Non capivo cosa dicevano. Poi i miei amici hanno chiamato un’ambulanza.[95]

Godwin Onyebuchi, 34 anni, nigeriano, fu aggredito e picchiato con bastoni a principio della serata dell'8 gennaio. Subí abrasioni profonde sul braccio destro e tagli alla testa, che richiesero punti di sutura. Il suo braccio sinistro fu rotto in più punti. Il braccio era ancora ingessato ed era in attesa di un intervento chirurgico sull’osso quando Human Rights Watch ha parlato con lui.

Due auto sono arrivate da dietro e mi hanno parcheggiato davanti. Sono usciti sette ragazzi. Stavano fumando, e li ho salutati passando. Mi sono voltato e ho visto che avevano dei bastoni. Poi sono arrivati tutti e sette e hanno cominciato a colpirmi. Sono caduto; mi colpivano in testa. Non so per quanto mi hanno picchiato. Mi hanno trascinato via, verso la strada principale, vicino ad una casa. Gridavo ‘aiuto, aiuto’, e una donna ha aperto la porta, mi ha guardato, e poi l’ha richiusa. Sono svenuto.
Quando mi sono svegliato, sono strisciato fino all’agrumeto e sono rimasto lì, con sangue ovunque, fino alle tre del mattino. Ho camminato verso la fabbrica [un edificio abbandonato dove viveva con altri migranti], e sulla strada c’era un posto di blocco della polizia. La polizia mi ha fatto sedere e ha chiamato l’ambulanza. All’inizio non riuscivo a parlare molto; mi usciva il sangue dalla bocca. Gli ho raccontato dove era avvenuta l’aggressione, ma non ci sono andati.[96]

Boussim Moussa, di 35 anni, del Burkina Faso, fu aggredito nei pressi della stazione ferroviaria di Rosarno attorno alle 13 dell’8 gennaio. Subí lesioni interne e ha avuto bisogno di essere operato due volte dopo l'attacco. Human Rights Watch ha parlato con lui nel ospedale di Polistena quando era in attesa di una seconda operazione.

C’erano circa 10 uomini, e forse altri cinque stavano a guardare. Non mi hanno detto niente; non mi hanno chiesto niente; hanno semplicemente cominciato a picchiarmi. Li ho visti in faccia. Mi hanno colpito sulla testa, sulla pancia, sulla schiena. Una donna ha aperto la sua porta di casa, ma alla vista si è spaventata; e ha richiuso ... C’erano molti palazzi per abitazioni là vicino, con molte finestre, ma nessuno mi ha aiutato. Non so come sono arrivato all’ospedale.[97]

James Amankona, 39 anni, originario del Ghana fu aggredito da una folla 8 gennaio mentre stava tornando a casa dal lavoro, intorno alle ore 15.

Ho visto una cinquantina di italiani; mi hanno chiamato, ma sono corso via e mi hanno inseguito. Non dimenticherò mai quando ho visto la folla avvicinarsi. Sono saltato su un recinto e ho cercato di scappare, ma mi hanno afferrato e buttato a terra. Hanno cominciato a picchiarmi con bastoni e spranghe. Sono svenuto. Al risveglio, mi colava sangue dal naso. Sono andato in un agrumeto. Potevo sentire gente che sparava e parlava, ma non riuscivo a capire cosa dicessero. Ero troppo impaurito e sono rimasto lì a lungo, fino a che non ha fatto buio. Poi ho fermato alcuni carabinieri per strada e loro hanno chiamato un’ambulanza. Già sapevano cos’era successo; non mi hanno fatto alcuna domanda. [La folla] mi ha spezzato il braccio, ci è voluta un’operazione. Mi hanno colpito così tanto sulla testa. Me l’hanno controllato con un macchinario all’ospedale e va bene, ma a volte mi fa malissimo.[98] 

Ben Gyan, di 31 anni, richiedente asilo proveniente dal Ghana, fu aggredito nel centro di Rosarno, la mattina dell'8 gennaio.

Ero uscito di casa per comprare qualcosa al negozio. Ho incontrato un gruppo di circa 15 italiani. Un ragazzo mi ha afferrato dicendo, “Di dove sei?” e poi hanno cominciato a picchiarmi con bastoni. In cinque o sei mi hanno preso e buttato a terra. Mi hanno rotto i denti e ridotto la faccia in questo modo. Poi sono corsi via. Non è una strada affollata, non c’era nessuno, ma ci sono palazzi su entrambi i lati della strada. Una donna è uscita e ha chiamato un’ambulanza. La polizia è arrivata all’ospedale e gli ho detto che non ero in grado di riconoscere chi mi avesse fatto questo. Comunque non posso tornare a Rosarno, non li voglio rivedere. Non so se la polizia sta indagando. Non credo che la polizia possa trovare quei ragazzi, ma se ci riuscirà, ne sarò contento. 
La polizia è arrivata in ospedale e le ho detto che non potevo riconoscere i ragazzi che mi ha fatto questo. Comunque, non posso tornare a Rosarno, quindi non li vedo. Non so se la polizia sta indagando. Non sono sicuro che la polizia può trovare i ragazzi, ma se lo fanno, sono felice.[99]

Agry Kwame, di 26 anni, del Ghana, fu attaccato da un gruppo di uomini per le strade di Rosarno, nel pomeriggio dell'8 gennaio. Ha poi trascorso una settimana in ospedale a curarsi dalle ferite.

Quattro ragazzi in moto sono arrivati e mi hanno assalito per strada, e sono accorse altre persone. Ho visto otto persone. Mi dicevano ‘Dove stai andando’ all’inizio, ma poi non dicevano niente. Mi hanno picchiato tutti. Mi colpivano con mazze sul fianco, sulla testa, dappertutto. C’erano altre persone intorno, guardavano ma non mi soccorrevano, non chiamavano un’ambulanza. Ho visto facce dalle finestre degli appartamenti, che guardavano. Sono corso via, ma non in città dove potevano picchiarmi altri ragazzi, sono corso verso la boscaglia dove sono rimasto fino a che ha fatto buio. Poi sono tornato a casa molto, molto, molto lentamente.[100]

Tre residenti della zona di Rosarno sono stati arrestati poco dopo i fatti con l’accusa di atti violenti e di partecipazione ai disordini. Giuseppe Ceravolo è stato condannato nel giugno 2010 di tentato omicidio, avendo cercato di schiacciare con l’automobile un immigrato (che riuscì a evitare lesioni gravi), e condannato a sei anni di carcere. Sia il pubblico ministero e il giudice del processo hanno escluso la circostanza aggravante della motivazione razzista. Il giudice ha concluso infatti che l’avere cercato di schiacciare ad alta velocità un lavoratore stagionale che camminava da solo lungo una strada si poteva ricondurre “non già a sentimenti di odio razziale bensì a un intento punitivo nei confronti di chi in quel momento reagiva, con proteste spesso sfociate in gesti di violenza e in atti di vandalismo, a un regime di sopraffazione e sfruttamento che perdurava ormai da anni.”[101]

Giuseppe Bono è stato condannato nel marzo 2010 a due anni di carcere per resistenza a pubblico ufficiale, ma assolto dall'accusa di tentato omicidio per avere guidato la carica di una ruspa contro un gruppo di immigrati. Il pubblico ministero non ha chiesto la circostanza aggravante della motivazione razzista.[102] Antonio Bellocco è stato condannato nel giugno 2010 a tre anni di carcere per resistenza a un pubblico ufficiale e l’aggressione di un altro.[103] Secondo il verdetto, l'8 gennaio, Bellocco aveva guidato in modo rapido di fianco a un lavoratore migrante di nome Ibraime Tapily, che gli aveva poi gettato contro una tavola di legno. I Carabinieri che già si trovavano sulla scena, avevano immobilizzato Tapily, che sanguinava dalla testa a causa di un infortunio subito prima di questi eventi. Bellocco sceso dalla sua auto aveva attaccato Tapily, a quel punto inerme, e causato lesioni ai carabinieri che tentavano di proteggere Tapily dai suoi colpi. Bellocco non è stato accusato di aggressione in relazione alle attacco contro Tapily.[104]

Cinque immigrati africani sono stati giudicati colpevoli e condannati alla fine di gennaio per gli incidenti durante la rivolta che ha seguito le prime sparatorie partite da macchine in corsa il 7 gennaio.[105]

La città di Rosarno è stata nell’amministrazione straordinaria di una commissione di tre prefetti dal dicembre 2008, quando il Consiglio comunale fu sciolto dal governo nazionale a causa delle preoccupazioni in merito all'infiltrazione della criminalità organizzata, fino alla metà di dicembre del 2010, quando si sono svolte regolari elezioni comunali e il candidato del Partito democratico è stato votato come nuovo sindaco.[106] Non è chiaro se la ‘ndrangheta che opera nella provincia di Reggio Calabria, sia stato coinvolto nei fatti di Rosarno del gennaio 2010.[107] Indipendentemente dal livello di coinvolgimento, se ve ne sia stato alcuno, della criminalità organizzata, la cultura del silenzio e della paura di collaborazione con la giustizia sembra aver funzionato contro la individuazione degli autori degli attacchi. Giuseppe Creazzo, il pubblico ministero di Palmi, altra cittadina della Calabria, ha detto a Human Rights Watch, che “la polizia non è stata in grado di dare un volto alla violenza, qui purtroppo non parla nessuno.”[108]

Al culmine delle violenze, il Ministro dell’Interno Roberto Maroni ha affermato che la colpa della situazione era della tolleranza eccessiva verso la “immigrazione clandestina.” Le indagini da parte dell'ufficio del procuratore di Palmi, sugli eventi del gennaio 2010 si sono concentrate principalmente sulle condizioni di sfruttamento di lavoro, le pratiche di assunzione illecite e l'occupazione dei lavoratori irregolari. Nel mese di aprile 2010, la polizia ha arrestato 30 persone per accuse relative allo sfruttamento dei lavoratori migranti dentro e intorno a Rosarno. Secondo dati della polizia, 20 aziende e 200 aree agricole sono state sequestrate nel corso dell'operazione.[109] Il capo della polizia di Reggio Calabria ha detto di ciò che è accaduto a Rosarno: “Non vi fu un’esplosione di razzismo ma una ribellione contro lo sfruttamento da parte degli extracomunitari.”[110]

Violenza di massa a Roma, 2007-2009

Negli ultimi due anni, sulla scia di efferati delitti attribuiti agli stranieri, Roma è stata teatro di una serie inquietante di atti di violenza commessi da bande armate di italiani.

In seguito allo stupro e omicidio di una donna italiana di 47 anni alla fine di ottobre 2007 da parte di un uomo rumeno arrestato subito dopo il delitto, vi furono due attacchi di bande che presero di mira cittadini rumeni. Un gruppo di 10-12 persone, secondo quanto riferito tra cui una donna, attaccarono un gruppo di rumeni in un parcheggio di un centro commerciale a Tor Bella Monaca il 2 novembre 2007.[111] Gli individui indossavano caschi da motociclista ed erano armati con mazze e catene. La maggior parte delle potenziali vittime riuscì a fuggire, ma quattro cittadini rumeni vennero feriti, e per tre loro fu necessario il ricovero in ospedale. Al momento della redazione di questo rapporto, l’ufficio della procura di Roma non aveva risposto alle nostre ripetute richieste di informazioni sulle indagini sull’attacco.[112] L'allora sindaco di Roma, Walter Veltroni, aveva condannato l'attacco a Tor Bella Monaca, affermando che “l’odio, le strumentalizzazioni di qualsiasi genere ... sono estranee ai valori della nostra comunità.”[113] Al tempo stesso, però, Veltroni ha fatto altre dichiarazioni per accusare i rumeni dell’aumento di criminalità a Roma. Si è lamentato che “in questa città da diversi mesi c'è un arrivo di persone che vengono da Paesi comunitari. Non si tratta di immigrati che vengono qui per 'campare', ma di un'altra tipologia di immigrazione che ha come sua caratteristica la criminalità.”[114]

In un altro caso a Monterotondo, una cittadina a nord di Roma, il 5 novembre 2007 il negozio di una donna rumena con lo stesso cognome dell’uomo accusato (e poi condannato), dello stupro e l'omicidio della signora Giovanna Reggiani, è stato danneggiato da una bomba carta.[115] La scritta “Ve bucamo la testa” è stata scarabocchiata sul muro, insieme con la croce celtica, simbolo utilizzato dalla estrema destra. Nella notte del 15 febbraio 2009, una folla di circa 20 uomini con il volto coperto e armati di mazze entrarono in un ristorante di kebab nella zona di Porta Furba di Roma attaccando coloro che erano dentro. Quattro rumeni furono feriti negli attentati, due dei quali hanno avuto bisogno dell'ospedalizzazione. Più tardi quella notte, non lontano, un uomo rumeno fu aggredito da un gruppo simile.[116]

Altri attacchi hanno seguito lo stupro di una ragazza di 14 anni in un parco del quartiere avvenuto il 14 febbraio; la stampa ha riferito che la polizia era alla ricerca di due uomini con accento dell'Est europeo. L’attuale sindaco di Roma Gianni Alemanno ha affermato alla stampa: “Ho parlato col questore: sono due persone con accento dell'Est, di carnagione scura, probabilmente Rom.”[117] Due uomini rumeni sono stati arrestati, processati, e condannati nell’ottobre 2009 per lo stupro.[118] Il gruppo di estrema destra Forza Nuova aveva organizzato una manifestazione nella zona il 15 febbraio precedente per protestare contro lo stupro, con uno striscione che diceva: “Nessuna pietà per voi bestie.”[119] La mattina degli attacchi delle bande, un graffito firmato da Forza Nuova “Rom assassini, vergogna!” era stato visto nei pressi del parco dove si era verificato lo stupro, insieme a un altro che reclamava “Occhio per occhio.”[120] Nessun legame diretto è stato dimostrato tra Forza Nuova e i due attentati a Porta Furba. Il sindaco Alemanno ha condannato gli attacchi, dicendo che “è un segnale negativo e pericoloso” e affermando che “ non è pensabile, neanche lontanamente, farsi giustizia con le mani proprie.”[121] Al momento della redazione di questo rapporto, l’ufficio della procura di Roma non aveva ancora ha risposto alle ripetute richieste da Human Rights Watch per le informazioni sulle indagini in questi attacchi.[122]

Attacchi a persone in varie località d’Italia

Abdoul Salam Guiebre, settembre 2008, Milano

Nelle prime ore del mattino del 14 settembre 2008, Abdoul Salam Guiebre, cittadino italiano di 19 anni di famiglia originaria del Burkina Faso, era andato con due amici in una caffetteria che sembrava aperta. Uno degli uomini, John Kilahu, avrebbe detto più tardi la polizia,

“siamo giunti nei pressi di un bar dove io ed i miei amici John e Abdoul siamo entrati e visto che non vi era personale ... Abdoul [ha preso] due confezioni piccole di Ringo, io una confezione piccolo di cioccolato e Samir qualcosa di piccolo, ma non so che cosa ... uscendo ridevamo e scherzavamo tenendo in mano questi biscotti e il cioccolato.”[123]

Pochi minuti dopo, il figlio di 31 anni del proprietario del bar colpì a morte Guiebre con una spranga di metallo.

Durante il loro giudizio in Tribunale, il proprietario del bar e suo figlio hanno detto di credere che gli uomini avessero rubato denaro dal bar. Secondo la sentenza, il padre, che era vicino al suo furgone sulla strada davanti al bar, aveva visto gli uomini andarsene. Ha chiamato il figlio, che era al momento nel retro del bar e non aveva visto nulla, e hanno preso il loro furgone per seguire Guiebre e i suoi amici. Secondo la sentenza, il proprietario del bar e il figlio hanno poi attaccato gli uomini, urlando frasi come “sporchi negri!”, “Venite a rubare a casa mia e poi scappate” e “Ladri, ritornate nei vostri paesi.”[124]

A seguito della loro confessione, i due imputati sono stati condannati nel luglio 2009 di omicidio volontario e condannati a quindici anni e quattro mesi di prigione.[125] Il pubblico ministero ha sostenuto che il delitto non era stato aggravato dal movente razziale. Il giudice del processo ha approvato questa decisione, sostenendo nelle motivazioni della sentenza che tutto indicava che la “spropositata reazione” del padre era dovuta in parte al fatto che sentisse “maggiormente acuta l’afflizione dell’essere derubato ... da uno straniero. Atteggiamento questo che affonda le sue radici in una visione conservatrice della propria integrità culturale e territoriale più che in una teorizzata e discriminatoria supremazia razziale.”[126]

Ciò riflette la tendenza all'interpretazione restrittiva della Legge Mancino, per la quale essa è applicabile solo se vi è una chiara motivazione basata esclusivamente su un dimostrato odio razziale.

Il padre di Guiebre ha espresso a Human Rights Watch il profondo disappunto della famiglia con la condanna:

Non è abbastanza … è poco per la vita di un ragazzo di 19 anni. C’è razzismo perché se vai a comparare con altre cose, c’è qualcosa che non quadra. Se mio figlio aveva un altro colore di pelle, non facevano così. L’hanno ammazzato perché era nero.  Mio figlio è morto ma io, sua madre, suo fratello e le sue sorelle moriamo tutti i giorni.[127]

Emmanuel Bonsu, settembre 2008, Parma

Al momento della scrittura di questo rapporto, otto agenti della Polizia Municipale di Parma si trovano sotto processo per gli abusi commessi nel settembre 2008 nei confronti di un uomo di 22 anni, il ghanese Emmanuel Bonsu. Altri due ufficiali sono stati processati separatamente: uno è stato condannato nel maggio 2010 con l'accusa aggravata dalla motivazione razziale e condannato a tre anni e quattro mesi di carcere, mentre l'altro è stato condannato nel gennaio 2011 a due anni e dieci mesi di carcere per l'assalto, senza la circostanza aggravante della motivazione razziale.[128] Secondo l'accusa, Bonsu era stato erroneamente arrestato dalla Polizia Municipale di Parma con l'accusa di traffico di droga il 29 settembre 2008. Successivamente era stato picchiato durante l'arresto, con una pioggia di insulti razzisti (venendo anche chiamato “scimmia” mentre veniva esortato a confessare), e costretto a sedersi sulle ginocchia di un ufficiale di Polizia Municipale per una fotografia.[129] Ore dopo, fu rilasciato dalla stazione di Polizia Municipale con una lesione all'occhio che richiese un intervento di chirurgia, e con i suoi documenti contenuti in una busta con la scritta “Emanuel negro.”[130] La Polizia Municipale ha sostenuto che Bonsu aveva violentemente opposto resistenza al momento dell'arresto, e aveva poi scritto egli stesso la scritta offensiva sulla busta. Il pubblico ministero ha chiesto la circostanza aggravante di discriminazione razziale nei confronti di due degli otto ufficiali attualmente sotto processo.[131]

Ibrahima Mboup, febbraio 2009, Roma

Mboup è un senegalese di 40 anni che vive in Italia dal 2003. Prima di lasciare il Senegal, per sei anni era stato percussionista della Compagnia nazionale senegalese di danza. È sposato con una donna italiana e ha chiesto la cittadinanza italiana. La mattina del 27 febbraio 2009, Mboup era andato a un mercato di strada a Roma per comprare un paio di jeans.

Sono arrivato al banco, prima di comprare devi guardare, no? Uno di loro mi chiede, cosa vuoi, e io ho detto jeans. E lui ha detto, ‘lascia i jeans senegalese di merda.’ Dopo mi dice, ‘sei agitato.’ Ho detto no, che non ero agitato, ma ho capito che non si poteva parlare con lui, mi sono girato per andare via. Poi ho sentito il colpo al fronte destro e poi in bocca.  Mi hanno spaccato il dente fronte destro. Sono caduto ... I venditori sono rimasti lì fino a sentire l’ambulanza. Il venditore del banco di fronte a detto a quelli dell’ambulanza che era il suo banco per coprire quelli lì... Al mercato, solo una signore mi dato un fazzoletto.  La cosa che mi ha fatto più male è quello, che nessuno mi ha aiutato.  Era pieno di gente.[132]
Io sono laureato, sono musicista, ma non è scritto sulla mio fronte... Ho fatto la domanda per la cittadinanza italiana. Sono sposato con una italiana. Ma per loro sono un animale... Ma cosa gli ho fatto io? Che, era un banco dove gli africano non possono andare? Solo italiani, solo americani? Perché? Perché siamo neri. Ma loro si sbagliano.  Io non sono un Senegalese di merda.  Quanto valgo io, lo so.  Se non li fermano, questi domani fanno il passo più lungo.[133]

Mboup ha denunciato il reato due giorni dopo alla stazione dei Carabinieri vicino a casa sua. Secondo il suo avvocato, Mauro Notargiovanni, affiliato all’ARCI, i Carabinieri hanno rapidamente individuato i due venditori; poi, nel settembre 2010, 19 mesi dopo l'attacco, un pubblico ministero ha messo sotto accusa un uomo per lesioni e ingiurie, con riferimento alla frase “senegalese di merda,” e contro un secondo uomo per ingiurie. Il pubblico ministero non ha richiesto la circostanza aggravante della motivazione razziale.[134] Nonostante ripetute richieste d’incontro, Human Rights Watch non è riuscito a parlare con il pubblico ministero.[135]

Mohamed Ali, marzo 2009, a Tor Bella Monaca, Roma

Mohamed Ali, un 36-year-old del Kashmir, è stato attaccato da un gruppo di italiani a Tor Bella Monaca mentre aspettava nella sua auto a un semaforo. Egli lo ha raccontato così a Human Rights Watch:

Era il 23 marzo del 2009, verso le 16:30, ero andato a fare la spesa.  Mi ero fermato al semaforo, e cinque ragazzi italiani a piedi mi hanno detto qualcosa. La seconda volta che han parlato, ho abbassato il finestrino come farebbe qualsiasi, pensavo che volevano chiedermi qualcosa, non immaginavo questo... Sono venuti per aprire la porta.  “Hai soldi?” hanno chiesto, ho detto di no e mi hanno detto di scendere. Loro hanno aperto la porta e mi hanno tirato fuori. Non ricordo più come hanno picchiato... Avevo sangue sulla faccia, tutta tumefatta... Qualcuno ha chiamato l’ambulanza, non mi sentivo tanto male in quel momento. Degli amici mi hanno portato a casa, e mi moglie ha preso un choc ed è caduta. Era incinta di quasi tre mesi, e ha perso il bimbo.[136]

Ali è poi andato in ospedale, quella sera, dopo avere cominciato a sentirsi peggio. Due giorni dopo è stato sottoposto a un intervento chirurgico al cervello a causa di un'emorragia interna, e i medici lo hanno tenuto in coma farmacologico per quasi due settimane. Ha avuto bisogno di cure ospedaliere per due mesi e mezzo, ed è tornato a casa solo alla metà di giugno. Dice che soffre ancora oggi di vertigini, perdita di memoria, difficoltà a camminare per lunghi periodi di tempo, e non può portare pesi con la mano destra.[137] Ha detto a Human Rights Watch che è stato costretto a chiudere il negozio che aveva aperto nell'agosto del 2008 perché non lo poteva mandare avanti mentre era in ospedale.[138] Ali non aveva detto alla polizia intervenuta sulla scena del delitto che era stato attaccato, dichiarando invece di essersi sentito male, di avere fermato la macchina, e di essersi ferito cadendo da solo sulla strada. Ha ammesso l'attacco solo al momento di recarsi in ospedale. Secondo Ali, c’erano almeno due testimoni al momento dell'attacco. Un suo amico era sul sedile del passeggero della vettura di Ali e ha assistito per intero all’attacco. Ali ha raccontato a Human Rights Watch che un passante si era fatto avanti e aveva dato alla polizia una descrizione sommaria del gruppo di giovani che lo avevano attaccato, ma sostiene che la polizia non abbia preso il nome o il contatto del passante. Non è chiaro se la polizia abbia parlato con l'amico di Ali al momento dell'attacco, e Ali ha detto che non era più in contatto con lui. [139] Dal suo letto d'ospedale, Ali ha individuato come suoi aggressori 10 giovani fra le fotografie della polizia, tra cui tre di età compresa tra 16 e 17 che erano al tempo sotto inchiesta per un brutale attacco contro un commerciante cinese avvenuto a Tor Bella Monaca nel mese di ottobre 2008. A quel punto gli investigatori avevano stabilito che Ali era stato vittima di estorsione, costretto a pagare denaro da una banda di giovani uomini. L’ultima volta prima dell'attacco, si era rifiutato di farlo. Egli ha individuato uno dei suoi aggressori e altri due uomini responsabili dell'estorsione. Uno degli uomini identificati da Ali, di 22 anni, è stato anche identificato attraverso le fotografie da una donna moldava che nel maggio 2009 era stata testimone dell'attacco al suo fidanzato, di uguale nazionalità, da parte di un folto gruppo di giovani armati di pietre, bottiglie e tubi di ferro a Tor Bella Monaca.[140] Partendo dall’ipotesi che un gruppo di estorsori era responsabile degli assalti, il procuratore di Roma incaricato del caso ha ottenuto diversi ordini di perquisizione di case e ha ordinato l'arresto dell’uomo di 22 anni, che era stato nel frattempo identificato. Tuttavia, in un confronto dietro uno specchio unidirezionale in una stazione di polizia, né Ali, né il cittadino moldavo, né la sua ragazza sono stati in grado di identificare con certezza il sospettato.[141] Il procuratore ha spiegato a Human Rights Watch che a quel punto ha archiviato il caso senza ordinare ulteriori indagini.[142] Il procuratore, che è specializzato in crimini finanziari ed è stato assegnato a questo caso perché era di guardia in quel giorno, ha ritenuto che non vi erano motivi per ritenere che l'attacco fosse a sfondo razziale. Ha spiegato,

In questo caso non emergeva l’elemento razzismo. Abbiamo fatto una intervenzione pesante, con le perquisizioni in casa, anche per dare un segnale. E ha avuto un effetto deterrente, non si sono visti altri episodi.[143]

Il procuratore non ha potuto dire se gli immigrati fossero stati particolarmente presi di mira dalla banda di estorsori a causa della loro origine etnica, o soggetti a conseguenze particolarmente violente per non avervi soggiaciuto.[144] Ali e sua moglie si sono trasferiti in un’'altra parte di Roma, dopo l'attacco. “Mai vivrei di nuovo a Tor Bella Monaca” ha spiegato. “La gente se la prende con gli stranieri, ogni settimana succede qualcosa, picchiano la gente. Sono ragazzi in bande che fanno queste cose, non so perché i genitori non li fermano. Non capisco perché c’è questa violenza, noi siamo venuti qui per lavorare, vivere tranquilli e poi tornare a casa nostra.”[145]

Samba Sow, aprile 2009, Roma

Samba Sow, un senegalese di 31 anni, è stato aggredito la notte del 12 aprile 2009, dopo avere comprato una scheda telefonica in un bar vicino a dove viveva. Quando cercava di tornare a casa, la sua macchina non partiva e un gruppo di cinque o sei uomini cominciarono a insultarlo e prendere in giro la sua auto, dicendo cose come, “negro di merda, guarda che macchina di merda che hai...”[146] Sow è sceso dall’auto quando ha visto una persona che conosceva, e uno degli uomini lo ha colpito in faccia con una bottiglia di birra. Sow ha perso definitivamente l'uso del suo occhio sinistro a causa dell'attacco. Il pubblico ministero ha sostenuto con successo che l'attacco era a sfondo razziale ai sensi della Legge Mancino, e l'autore ne è stato giudicato colpevole e condannato a quattro anni di carcere.[147]

Sow ha espresso così la sua preoccupazione per il razzismo in Italia: “Tutti i miei amici sono italiani.  Se tu ti sei perso, chiami un italiano e ti viene a prendere ovunque tu sei e ti porta a casa tua. Ma qui in Italia, ci sono politici che usano gli stranieri e motivano la gente a fare male agli altri. Tu lo sai bene vedi sempre i giornali, sempre stranieri stranieri. Ma quanti italiani sono fuori dal Italia? Tanti. Sono i politici che danno delle idee a questa gente ignorante.”[148]

Willy Lulua, luglio 2009, Roma

Un pubblico ministero di Roma ha messo sotto accusa un uomo per aggressione aggravata dalla motivazione razziale per il feroce attacco, il 2 luglio 2009, contro Willy Lulua, un rifugiato proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo, che stava distribuendo volantini in un quartiere centrale di Roma.[149] Tre uomini armati con una mazza, un sacco pieno di bottiglie vuote, e un coltello, avevano messo Lulua spalle al muro in un edificio e lo avevano picchiato. Secondo Lulua, lo hanno chiamato più volte “sporco negro,” minacciato di ucciderlo, dicendo: “Noi facciamo la volontà del governo, noi aiutiamo a cacciare gli africani.”[150] Il processo è in programma per la metà di marzo del 2011. L'udienza preliminare era in programma per la metà di marzo del 2011.

Lulua ha raccontato a Human Rights Watch di sperare di vedere fatta giustizia. “Non farei volantinaggio di nuovo, avrei paura, di chi mi posso fidare? La giustizia deve fare il suo lavoro. Non solo a me è successo, sono tanti.  Ma non parlano perché hanno paura, non hanno documenti. Se c’è giustizia, quelli che fanno del male devono pagare.”[151]

Abdul Latif, agosto 2009, Tor Bella Monaca

Abdul Latif fu aggredito a Tor Bella Monaca nel mese di agosto 2009. Il trentaquattrenne Latif vive in Italia dal 2003. Nei giorni precedenti l'assalto, una donna era entrata due volte nel negozio di alimentari a Tor Bella Monaca dove Latif lavorava, aveva tentato di rubare merce, chiedendogli ingenti somme di denaro, minacciandolo se non glieli avesse dati. Latif aveva rifiutato di darle i soldi, e la aveva fermata in una prima occasione mentre cercava di prendere dal negozio 11 bottiglie di olio di oliva senza pagare. Secondo Latif, la volta seguente era venuta accompagnata da una donna più giovane e aveva rubato un sacco di patate e due meloni. Secondo il racconto di Latif, due giorni dopo il furto, il 5 agosto, quattro o cinque persone, tra cui la donna più giovane, gli si avvicinarono mentre fumava una sigaretta fuori dal negozio.

Non hanno detto niente, mi hanno solo dato una mazzata in testa. Sono scappato, sono caduto in strada e non ho capito più niente…. Quando mi sono alzato, ho camminato un po’ ma poi sono caduto di nuovo, e un ragazzo è venuto in motorino e ha fatto come per investirmi. Poi è scappato e sono arrivato al bar e hanno chiamato i Carabinieri... Non so perché mi hanno fatto questo, ma Tor Bella Monaca è pericoloso per me e gente come me.[152]

Latif fu accoltellato tre volte al fianco. I Carabinieri iniziarono l’indagine immediatamente, e arrestarono tre uomini il giorno successivo. Uno degli uomini sostiene che l'attacco ad Abdul era per rappresaglia perché aveva offeso sua figlia, la più giovane delle due donne che avevano visitato il negozio. Il rapporto dei Carabinieri su quella giornata, visionato da Human Rights Watch, dice esplicitamente che il motivo “potrebbe essere collegato … con angherie mosse ai danni dello straniero per finalità estorsive o per motive razziali.” Nonostante ciò, il comandante della stazione dei Carabinieri, maggiore Giorgio Palazzotto, ha escluso la motivazione razziale in una dichiarazione alla stampa “decisamente.”[153]

La più vecchia delle due donne è stata arrestata più tardi. Due dei tre uomini sono stati condannati nel giugno 2010 per tentato omicidio, tra gli altri capi d’imputazione, e condannati a 14 anni di prigione, mentre la più vecchia delle due donne è stata condannata a sei anni per estorsione e minacce. Il terzo uomo è ancora in giudizio, separatamente.[154] Il pubblico ministero non ha chiesto l'aggravante della motivazione razziale.

Attacco a un bar di proprietà di bengalesi, marzo 2010, Roma

Il 14 marzo 2010, un gruppo di 15-20 persone ha attaccato un bar di proprietà di due fratelli bengalesi nel quartiere Magliana di Roma. Quattro persone sono rimaste ferite durante l'attacco, tra cui Mahbub Miah, uno dei proprietari, che è stato picchiato con mazze di legno in testa e in faccia e ed è stato accoltellato al braccio.[155] In ospedale gli sono stati messi punti di sutura in bocca, in testa e su un braccio. A uno dei clienti è stato rotto il naso e un altro ha subito una ferita alla testa. Dopo pochi giorni, i Carabinieri avevano arrestato almeno sei persone in connessione con l'attacco, molti dei quali di età inferiore ai 18 anni. Il Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha detto il 16 marzo seguente che “è accertato che [l’episodio] non è stato a sfondo razziale ma un fenomeno di bullismo.”[156] Il procuratore del Tribunale per i Minorenni di Roma ha accusato tre degli adolescenti di crimini, tra cui aggressione, con l’aggravante dell’odio razziale.[157] Al momento della stesura di questo rapporto, la Procura di Roma non ha risposto alle nostre ripetute richieste di informazioni sulle indagini sui presunti partecipanti adulti all'attacco.[158]I fratelli Miah non erano estranei a subire episodi di razzismo. Nel 2004, Mahbub Miah era stato attaccato a tarda notte mentre rientrava a casa dal lavoro. Tre uomini lo avevano chiamato, “Ehi brutto negro, aspetta,” e poi lo avevano picchiato e calpestato sulla schiena mentre giaceva a terra. Gli avevano poi rubato portafoglio e orologio. “Ho urlato per aiuto e loro sono scappati. Qualcuno ha chiamato l’ambulanza. Sono rimasta 26 giorni a casa. Tuttora sento dolore se dormo su quella spalle. Il mattino dopo ho fatto la denuncia dai Carabinieri ma poi non so nulla, non ho più sentito niente.”[159]

Nell'estate del 2009, qualcuno ha tagliato le gomme e rotto le finestre della macchina di Mohamed Massoum Miah (fratello di Mahbub e comproprietario del bar). Secondo Mohamed Miah, l'autore del reato ha anche inciso la portiera della macchina con le parole italiane “Negri merda infame.”[160]  Le parole erano ancora visibili al momento dell’intervista di Human Rights Watch nel marzo del 2010. Mohamed Massoum Miah crede che l’attacco del marzo 2010 sia stato un atto di razzismo. “C’è chi dice che non era razzista. Ma questo bar tutto spaccato cos’è? Mio fratello e i clienti sanguinanti, cos’è? Lo scritto sulla mia macchina, cos’è?”[161]

Marco Beyene, marzo 2009, Napoli

Marco Beyene, un italiano di origini etiopi di 23 anni, è stato aggredito da due uomini nelle prime ore del mattino del 6 marzo 2009, a Napoli. Ha spiegato così l’accaduto a Human Rights Watch:

Con un amico siamo usciti da un locale, eravamo in giro parlando e ridendo, quando sono arrivati due ragazzi. Prima hanno provato a provocarmi, poi mi hanno spintonato. Uno dei due si è tolto la cintura e mi dato delle cinghiate in faccia, dicendomi ‘negro di merda.’ Il mio amico ha provato a intervenire ma l’hanno preso a spinte pure lui. Siamo entrati in una rosticceria, e quando siamo usciti erano andati via. È una zona abbastanza frequentata, ma nessuno è intervenuto. Al momento mi ha sorpreso, ma oggettivamente tutto è successo abbastanza velocemente.[162]

Beyene ha raccontato a Human Rights Watch che poi è andato alla stazione di polizia vicino a casa sua per sporgere denuncia, ma ha trovato chiuso. Secondo Beyene, è dovuto andare da solo in ospedale per le cure (aveva tagli sotto l'occhio e sul labbro, e il suo viso era gonfio) ed è tornato alla stazione di polizia il giorno seguente.[163] Beyene dice che la polizia gli ha mostrato immagini di potenziali sospetti il giorno stesso, ma che non riconosceva nessuno. Il caso è stato successivamente trasferito alla Digos, e qualche giorno dopo un agente ha chiamato Beyene di nuovo per guardare le immagini, e poi ancora un paio di settimane dopo per partecipare a una identificazione nella stazione di polizia. Ma né lui né il suo amico hanno potuto identificare con certezza l'aggressore. Beyene non sa se da allora vi siano stati eventuali sviluppi del caso. Egli ha sottolineato che a suo parere, “Alla polizia erano preoccupati perché era la prima volta a Napoli, e li ho visti solleciti nel voler trovare il colpevole. Li ho visti impegnati.”[164] Un’assistente del procuratore capo di Napoli ha informato Human Rights Watch che i pubblici ministeri non erano in grado di fornirci informazioni sullo stato del caso perché “le indagini sono in corso.”[165] Beyene si è espresso sui suoi timori per la crescente razzismo in Italia così:

Sono nero e sono italiano, ma c’è razzismo in Italia, anche per le politiche del governo: il reato di clandestinità, i respingimenti, le dichiarazioni che l’Italia non è un paese multiculturale, tutto questo può indurre a legittimare certi atti.  Il governo fa molta leva sulla paura della gente in un momento di crisi economico. Il clima sta cambiando in Italia, e penso che sia molto preoccupante.[166]

 

Violenze contro i Rom e i Sinti

Si stima che circa 150.000 fra Rom e Sinti vivano in Italia, circa la metà dei quali sono cittadini italiani, e un quarto dei quali proviene da paesi UE, in particolare dalla Romania. Anche se molti rumeni che vivono in Italia non sono Rom, le due categorie sono spesso confuse dai mezzi di comunicazione e nella percezione pubblica. Molti Rom in Italia sono immigrati dalla ex Jugoslavia, con un afflusso significativo nel corso degli anni Novanta. Il termine Sinti si riferisce a un particolare gruppo etnico considerato come facendo parte della popolazione Rom europea. In tutta questa sezione quando si fa riferimento alla categoria generale di Rom, si deve intendere come comprendente i Sinti. I Rom sono senza dubbio la minoranza più emarginata e vilipesa in Italia. La maggioranza di essi vive in estrema povertà, molti abitano in condizioni deplorevoli in “campi nomadi” autorizzati e non autorizzati.[167] Un estremo pregiudizio contro i Rom è diffuso tra il resto della popolazione, e sentimenti anti-Rom e anti-Sinti sono moneta comune nei discorsi politici, nei media, nelle conversazioni di tutti i giorni, e perfino nelle sentenze (vedi qui di seguito il caso di Angelica V., a Ponticelli, Napoli). L’uso disinvolto del termine “zingaro” in modo peggiorativo è comune, e non di rado accompagnato da insulti.[168] La discriminazione contro i Rom non è un fenomeno nuovo. Tuttavia, le politiche pubbliche e le piattaforme politiche hanno negli ultimi anni sempre più nel mirino i Rom, dipinti come una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza. Molti osservatori fanno notare che la discriminazione dei Rom è notevolmente peggiorata dopo l'uccisione di ottobre 2007 della signora Giovanna Reggiani da parte di un rumeno a Roma, e il presunto tentativo di rapimento di un bambino da una adolescente Rom proveniente dalla Romania nel maggio 2008 a Ponticelli, quartiere di Napoli (in dettaglio di seguito). Secondo Graziano Halilovic, il fondatore dell’associazione Roma Onlus,

C’è stata una grande campagna contro i mostri, e in questo caso i mostri siamo noi Rom e Sinti. Provoca che tutti si sentono il dovere di maltrattarci, si sentono giustificati.  Questo crea un grande terrorismo psicologico per i Rom. Al di là di quello che capita davvero, c’è la paura di cosa potrebbe capitare ... Ci sono gli schiaffi, il maltrattamento delle donne che chiedono elemosine.  La gente dice, ‘Mi sveglio, devo per forza andare in giro e mi chiedo, cosa mi succederà oggi?’ E poi magari si rivolgono a qualcuno per aiuto e trovano le porte chiuse. Non c’è l’orgoglio Rom qui. Sporco, cattivo, brutto, incapace – tanti Rom lo pensano di se stessi perché è quello il messaggio che per anni hanno ricevuto.[169]

Tutti i Rom intervistati nel corso della nostra ricerca hanno dichiarato di subire regolarmente abusi verbali, molestie e umiliazioni da parte di privati cittadini, nonché dal personale delle forze dell’ordine, sulla strada, al momento di un arresto, durante sgomberi forzati e incursioni nei campi. Venetù Halilovic, un Rom che vive nel campo di Ciampino appena fuori Roma, ci ha spiegato:

Se un poliziotto ti ferma e vede che sei Rom, ti insulta. Cose pesanti, trattandoti di ladro. La polizia ferma i ragazzi per strada e facilmente volano gli schiaffi. Non tutti i Rom sono santi, ma ci sono Rom molto tranquilli, sai. La polizia dovrebbe essere la prima a difendere i più deboli, invece fanno tutto per umiliarci, e loro hanno tutto il potere. C’è molto maltrattamento quando fanno controlli nei campi. Buttano giù tutto, ma quella è casa per un Rom, anche se è una baracca.[170]

Le nostre interviste, con persone che hanno denunciato anche abusi fisici, hanno confermato il parere delle ONG che rappresentano o che lavorano con i Rom, che essi sono estremamente riluttanti a denunciare le discriminazioni o gli abusi di qualsiasi tipo. Ci sono varie ragioni per tutto ciò, ma la principale è la mancanza di fiducia nelle istituzioni, accentuata nel caso dei Rom privi del diritto legale di rimanere in Italia. “Queste sono persone molto fragile e ricattabili, non denunciano.  Tanti non sono in regola e hanno paura. E nessuno di noi vuole farli denunciare perche non siamo in grado di proteggerli”, ci ha detto Dijana Pavlovic, vice-presidente della Federazione Rom e Sinti insieme, un congiunto di associazioni.[171] “Il senso di terrore è instillato in modo che non si fidano di nessuno” ci ha detto Carlo Berini, direttore di Sucar Drom, un’altra organizzazione per i diritti dei Rom e dei Sinti, aggiungendo che v’è “molta sfiducia nella comunità… e la gente ha paura di soffrire rappresaglie.”[172]

Gran parte della violenza contro i Rom si verifica nei campi in cui vivono o intorno a essi. Nel maggio del 2010, poliziotti e carabinieri in tenuta anti-sommossa hanno impedito ai residenti di un accampamento temporaneo autorizzato in via Triboniano, a Milano, di marciare verso il Municipio per protestare contro la mancanza di progressi nei negoziati per avere assegnato un alloggio alternativo, una volta che il campo venga smontato. I residenti avevano creduto, erroneamente, che la marcia fosse stata autorizzata. Ne sono seguite sommosse, con le forze dell'ordine che sparavano ronde di gas lacrimogeni dentro il campo dopo averne chiuso tutte le uscite per diverse ore.[173] Florea Vataflu, un 58enne Rom rumeno, ha detto a Human Rights Watch che quel giorno è stato circondato e picchiato da agenti dei Carabinieri per nessuna ragione.

Ero rimasto qua, non volevo andare ... I carabinieri sono entrati nel campo e hanno sparato lacrimogeni, hanno sparato giù ... Sono andato alla casa elettrica per sistemare la luce e i carabinieri mi hanno preso, bastonato alla testa, mi hanno circondato, non so quanti, mi hanno alzato le braccia e mi hanno picchiato sulle braccia, la schiena. Mi hanno spacato la mano.[174]

Vataflu è stato trattenuto prima in una stazione dei Carabinieri per sei ore, ha detto, e solo poi portato in ospedale. Lì gli è stato diagnosticato un trauma cranico testa e la rottura della mano destra, guaribile in 35 giorni. I carabinieri hanno poi accusato Vataflu di resistere violentemente il blocco e di avere attaccato un agente con un pezzo di una sedia rotta.[175] Lui nega ognuna di queste affermazioni: “Che forza avevo con la mano rotta per picchiare?”[176]  Il Giudice per le indagini preliminari ha confermato le accuse, respingendo l’ argomento di Vataflu che era troppo vecchio e fragile per attaccare il personale della legge, con la motivazione che Vataflu avesse agito per una “mancanza di consapevolezza dell’arrestato sulla sua non ottimale forza fisica.”[177]

Angela, anche ella una Rom rumena, madre di una bambina di sei anni, è stata ferita leggermente quel giorno. Angela e le altre donne e bambini erano a capo della folla fuori del campo, ha detto,

Io ero davanti con la bambini ma non per usarla come scudo come hanno detto loro. Che, sono pazza che faccio picchiare la mia figlia? ... Avevamo bottiglie d’acqua per bere, non per picchiare i poliziotti. Volevamo rompere [la linea della polizia] e uscire, e hanno cominciato a picchiare con i loro bastoni, non gli importava che eravamo donne e bambini. A mia figlia è arrivata una bastonata sull’ombro sinistro ... Non so chi l’ha picchiata. Che, vado a fare una denuncia contro i Carabinieri? Non mi interessa. Sono tanti che sono stati picchiati e nessuno ha fatto denuncia. Sono straniera qua, e non ho soldi.[178]

Secondo i dati della Prefettura, 25 agenti delle forze dell’ordine sono rimasti feriti. Il vicesindaco di Milano Riccardo De Corato ha affermato che “la sommossa…[è stata] organizzata da un centinaio di Rom... che hanno lanciato pietre contro le forze dell'ordine ... [ciò] dimostra che gli occupanti sono ancora lontani da una reale volontà di integrazione.”[179] Per il campo di via Triboniano, dove abitano circa 600 persone, è prevista la demolizione, entro il marzo 2011, per far posto a una strada che figura nei piani della città in preparazione per l’Esposizione universale del 2015. Nel settembre del 2010, le autorità hanno fatto marcia indietro su un piano già in stato avanzato che prevedeva di assegnare case pubbliche a 25 famiglie particolarmente bisognose, dopo le proteste rumorose dei membri del Consiglio Comunale di Milano di Lega Nord e Popolo della Libertà (partito del Presidente del consiglio dei  ministri Berlusconi).[180] Dieci di queste famiglie hanno vinto una causa civile contro il governo della città nel dicembre 2010 e dovrebbero trasferirsi in alloggi pubblici. Nella sua sentenza, il giudice civile ha indicato che il fallimento del governo della città di rispettare gli impegni che aveva intrapreso era “correlato alla mera constatazione dell'appartenenza all’etnia Rom dei beneficiari.”[181] Al momento di scrivere, non è chiaro che accadrà al resto dei residenti del campo. I Rom sono anche soggetti a violenze per le strade, soprattutto quando chiedono l’elemosina o sono percepiti come mendicanti.[182]

L’11 giugno 2010, un giovane è stato accusato di avere usato una mazza per attaccare Jorgovanka Nobilini, che era incinta di otto mesi, e sua sorella e sua cugina in un mercato di strada a Torino.[183] Le donne erano in giro a chiedere i soldi, anche citofonando ai condomini.[184] La polizia ha subito arrestato un uomo di 22 anni che le era già noto come un hooligan da stadio.[185] Egli ha confermato l'assalto, dicendo che le tre donne stavano cercando di entrare nel suo palazzo per rubare, ma ha negato di avere usato una mazza da baseball, anche se una è stata trovata nel suo appartamento.[186] Egli è stato detenuto per diversi giorni e poi posto agli arresti domiciliari per circa un mese durante l'inchiesta preliminare, prima di essere rilasciato in attesa della conclusione delle indagini della Procura.

Nobilini è andata in ospedale più tardi lo stesso giorno con il mal di stomaco e la preoccupazione che non riusciva a sentire il bambino muoversi.[187] Il feto è stato dichiarato morto e rimosso con taglio cesareo. L'autopsia ha stabilito che il feto era morto qualche tempo prima dell'attacco. Il procuratore incaricato del caso ha riferito a Human Rights Watch che questo fatto non solo ha cambiato la natura delle accuse contro l’aggressore, ma anche che “l’attendibilità della donna è indebolita,” siccome aveva originariamente legato la perdita del suo bambino al suo ferimento nell’attacco.[188] “Esiste molto dubbio che sia stata percossa alla pancia. Lei dice che è stata picchiata lì, ma è stato impossibile stabilirlo dopo il cesareo. È meno drammatico di quanto sembrasse al inizio. Quello che è chiaro è che ci fu un’aggressione a tre Zingare che andavano a bussare, magari anche cercavano di aprire le porte,” ha detto il procuratore.[189] Ciò che non è chiaro è perché la convinzione di Nobilini che l'attacco aveva messo in pericolo il feto, sicuramente ragionevole date le circostanze, minerebbe la sua credibilità.   A metà ottobre, il pubblico ministero non aveva ancora deciso se imputare all'uomo l'aggravante della motivazione razziale. “Se aggredisco qualcuno perché di una diversa etnia, è un conto, diverso è se io picchio uno che cerca di rubare in casa mia,”[190] ha sostenuto. Questo approccio sembra ignorare la possibilità che pregiudizi anti-Rom  potrebbero aver dato luogo all’ipotesi dell’aggressore circa le intenzioni delle donne e alimentato la sua reazione violenta.

Violenza contro gli insediamenti di Rom

Gli sforzi volti a rimuovere, spostare o impedire l'insediamento di campi rom hanno talvolta comportato gravi atti di violenza. Nell’Italia settentrionale la Lega Nord è stata in prima linea di azione politica e civile contro i campi rom, e in certi casi suoi membri sono stati accusati di istigazione al razzismo e alla violenza in relazione a tali campagne. Nel caso più noto in Italia meridionale, i violenti attacchi di bande ai campi rom di Ponticelli, a Napoli, a seguito del presunto tentativo di rapimento di una bambina da parte di una Rom adolescente, è stato ipotizzato che la criminalità organizzata abbia avuto un ruolo a causa di interessi economici sul terreno occupato dal più grande dei campi attaccati. In molti casi, la dimensione razzista degli attacchi è stata trascurata o sottovalutata. Molti gravi accadimenti che si sono verificati prima delle violenze di Ponticelli sono dettagliati qui di seguito.

Ponticelli, Napoli, maggio 2008

Il 10 maggio 2008, una donna italiana di Ponticelli, un quartiere di Napoli, ha accusato una adolescente Rom proveniente dalla Romania di avere tentato di rapire la sua bambina di sei mesi. Dice la donna di avere trovato la ragazza, Angelica V., in piedi sul pianerottolo fuori dal suo appartamento con la sua bambina. Angelica V. è stata trattenuta con la forza dal padre della donna al di fuori del palazzo in cui il presunto tentativo di rapimento ha avuto luogo, e un gruppo minaccioso di vicini gli si è unito prima che arrivasse la polizia.[191] Il fatto è stato seguito da una serie di attacchi violenti contro gli insediamenti di Rom della zona.

Poche ore dopo l'arresto di Angelica V., una folla ha attaccato e pugnalato per la strada un cittadino rumeno mentre ritornava a casa.[192] Nei giorni che sono seguiti, ci sono stati numerosi attacchi contro insediamenti rom nella zona, alcuni dei quali erano già stati abbandonati dalle famiglie di Rom che avevano cominciato a temere per la loro sicurezza dato il clima di tensione. Nell'incidente più grave, un gruppo di 300 a 400 persone ha aggredito con mazze di legno e metallo un insediamento che ospitava circa 50 famiglie di Rom.[193] La folla ha lanciato pietre contro le abitazioni, rovesciato auto e urlato minacce aggressive. In altri incidenti, una banda di ragazzi italiani ha attaccato due ragazzi rom, e una camionetta di proprietà di un Rom è stata data alle fiamme. La polizia ha cominciato a evacuare tutti i Rom della zona, ed entro il 15 maggio nella zona di Ponticelli non vi era più un solo Rom.

Due uomini sono stati arrestati nel dicembre 2008 con l'accusa di saccheggio, incendio doloso e devastazione.[194] È anche stata data notizia dell’arresto a maggio di cinque adolescenti e di un adulto con l'accusa di incendio doloso e furto da un campo.[195] Human Rights Watch non ha potuto verificare lo stato del procedimento contro questi individui, o accertare se vi fossero stati altri arresti o procedimenti penali in relazione ai fatti di Ponticelli del maggio 2008, nonostante le ripetute richieste di informazioni inoltrate alla Procura di Napoli.[196] L'ufficio del procuratore capo Giandomenico Lepore ci ha informato per telefono che nessuna informazione poteva essere fornita perché “le indagini sono in corso.”[197]

Nel gennaio 2009, il Tribunale per i Minorenni di Napoli ha condannato a tre anni e otto mesi di reclusione Angelica V., che aveva 16 anni al momento, per tentato rapimento, sulla base delle dichiarazioni della madre del bambino, senza alcuna prova corroborante.[198] Angelica V., che nega ogni intenzione di rapire il bambino, è in carcere dal maggio 2008. Le sue petizioni per la libertà condizionale in attesa del processo, così come per le misure alternative al carcere, le sono state negate, nonostante la sua età e la mancanza di condanne precedenti. Nel settembre del 2009, il Tribunale per i Minorenni ha esteso la detenzione in carcere di Angelica V. in attesa dell'esito del ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, giustificandola con la motivazione che ella è “pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom ... che rende, in uno alla mancanza di concreto processi di analisi dei propri vissuti, concreto il pericolo di recidiva.” Il tribunale ha concluso che non adeguate misure alternative al carcere esistito, data la “citata adesione agli schemi di vita rom che per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole.”[199]

In una decisione del febbraio 2010, che è stata comunicata alle parti solo nel giugno seguente, la Corte di Cassazione ha rilevato che il Tribunale per i Minorenni aveva discriminato Angelica V. su base etnica, e ha annullato la sua decisione. Al momento della scrittura di questo rapporto, Angelica è in prigione per scontare la sua pena.[200]

Ponte Mammolo, Settembre 2007

Per due notti di fila, il 19 e 20 settembre 2007, una folla di circa 40 uomini che indossavano passamontagna ha attaccato un insediamento improvvisato di Rom nella zona di Ponte Mammolo alla Tiburtina, un quartiere di Roma. Secondo i media, gli uomini erano armati di bottiglie molotov, spranghe di ferro, mazze e catene.[201] La seconda notte, una unità dell’Arma dei Carabinieri è riuscita ad arrestare uno degli assalitori, Fabrizio L., mentre il resto è fuggito alla cattura. L’uomo è stato processato e condannato con un procedimento per direttissima il 21 settembre 2007, per possesso illegale di un coltello, resistenza all'arresto, e violenza contro un agente di polizia, e condannato agli arresti domiciliari per otto mesi.[202] Egli non è stato accusato di avere istigato o commesso violenza aggravata dalla motivazione razziale, e il procuratore non ha richiesto l’aumento della sanzione previsto dalla legislazione italiana per i crimini a sfondo razziale.[203]

Il presidente del Municipio a cui appartiene il quartiere di Ponte Mammolo ha imputato gli attacchi alla “perdita di sicurezze della gente,” e un rappresentante dei Carabinieri ha detto a un giornalista che il razzismo non ha niente a che fare con questo caso: “Avrebbero fatto lo stesso anche con un insediamento di svedesi.”[204]

A tutt’oggi, solo Fabrizio L. è stato arrestato e condannato per gli attacchi.[205] L’Ufficio della procura di Roma non ha risposto alle nostre ripetute richieste di informazioni su questo caso.[206]

Opera, Dicembre 2006

La sera del 21 dicembre 2006, un gruppo di residenti in Opera, cittadina alla periferia di Milano, ha scatenato una violenta protesta contro un campo rom. L'attacco è avvenuto dopo settimane di proteste contro il campo guidate da un membro dell’allora consigliere comunale della città (e attuale sindaco), Ettore Fusco (della Lega Nord).[207] La folla diede fuoco a numerose tende e distrusse molte altre. Nessuna persona rimase ferita nell'attacco. Nove individui, tra cui Fusco, sono state poi perseguiti per istigazione alla commissione di un reato. Fusco aveva esortato la folla a occupare la tendopoli in una riunione in Municipio poco prima dell'attacco. Solo una persona è stata poi condannata, a luglio 2009, per istigazione alla violenza. Tutte le altre sono state assolte, compreso Fusco. Il pubblico ministero incaricato della fase preliminare non ha sostenuto che l'attacco avesse avuto sfondo razziale. Quando gli è stato domandato da Human Rights Watch se la aveva preso in considerazione, ha detto che il ricorso alla circostanza aggravante non esisteva al momento dei fatti (quando in realtà è stato istituito per legge già nel 1993).[208]

Abusi delle forze dell’ordine

Gli agenti dello Stato frequentemente molestano e commettono abusi contro i Rom, anche fisicamente, durante gli sgomberi di insediamenti non autorizzati o improvvisati, o incursioni contro di essi. In altri casi, gli abusi si verificano quando i Rom si trovano in compagnia o in custodia delle forze dell'ordine per qualunque motivo, anche durante procedure amministrative.

Tor Bella Monaca, Roma, Aprile 2010

Camelia è una donna Rom rumena con cinque figli, il più giovane dei quali ha sei mesi. Camelia ci ha descritto ciò che è accaduto quando la Polizia Municipale è andata a sfrattare la sua famiglia a metà aprile 2010 da un insediamento improvvisato a Tor Bella Monaca, un quartiere di Roma:

Hanno usato delle parole bruttissime, dicendo che veniamo qua a rompere i coglioni, che dobbiamo andare via. Abbiamo chiesto dove, ma hanno detto ‘Non ce ne frega un cazzo, andatevene al vostro paese.’ Sono venuti in mattinata e fino alla sera siamo stati in giro, non ci lasciavano in pace. Quando volevamo dare cibo ai bimbi nel prato … la polizia ha detto, ‘vaffanculo, andatevene.’  Non si può trattare le persone così, non siamo delle bestie. I cani e gatti sono più rispettati di noi. Mia figlia Rebecca aveva 3 mesi, ma non erano preoccupati per lei, non mi hanno chiesto dove andavo con i miei figli. Due dei vigili erano più preoccupati per i gattini neonati che per i miei figli.  Gli facevano le foto.[209] 

La richiesta di Human Rights Watch di un incontro al capo della Polizia Municipale di Roma è stata negata, così come le richieste di incontrarci con il capo della Polizia Municipale nel VIII Municipio di Roma, che comprende Tor Bella Monaca.[210] L’amministrazione cittadina di Roma aveva organizzato il trasferimento in un rifugio temporaneo per Camelia e i membri della sua famiglia (un totale di cinque adulti e nove bambini), per coincidenza, il giorno medesimo in cui Human Rights Watch incontrava per intervistarla la famiglia. Una delegata dell'ufficio del sindaco di Roma era sul posto per supervisionare l'operazione. Poco prima che la ricercatrice di Human Rights Watch fosse arrivata, un pullman della compagnia privata Bronzetti, incaricato dall’amministrazione cittadina, era apparso per prelevare la famiglia. Secondo le testimonianze, l'autista diede uno sguardo all’insediamento, fece una telefonata, eseguì un’inversione, per poi aprire la porta e dire: “Non mi avevano detto chi dovevo trasportare. Me ne vado.”[211]  E se ne era andato.

Un altro pullman da una società diversa arrivò mentre la ricercatrice di Human Rights Watch era presente e i membri della famiglia salirono a bordo con i loro averi. Nel frattempo, un rappresentante del governo municipale di Tor Bella Monaca era arrivato a convincere la delegata dalla autorità centrale della città di Roma di rimuovere anche un altro gruppo di Rom provenienti dalla stessa zona. Sempre più frustrato dal rifiuto del delegato a farlo, il rappresentante di Tor Bella Monaca disse: “Basta con questo buonismo del cazzo. Il piano nomadi va rispettato. Legalità per tutti, se io rubo devo pagare.[212]

Bussolengo, settembre 2008

Il 5 settembre 2008, tre famiglie Rom italiane hanno sostato con le loro roulotte in un parcheggio comunale di Bussolengo, in provincia di Verona. Poco dopo, una pattuglia di Carabinieri è apparsa sulla scena. Proprio in quel momento, un'altra famiglia di Rom è arrivata ed è stata coinvolta nell’alterco che stava montando.

La violenza dei Carabinieri che vi ha fatto seguito, secondo le vittime, è stata scioccante. Giorgio Campos, Michele Campos, Paolo Campos, Cristian Hudorovich, e Anna Gerogeowistch hanno denunciato gli ufficiali il 6 settembre 2008. Secondo le loro denunce alla Polizia, pubblicate online dalla Sucar Drom, l’organizzazione per la difesa dei diritti di Rom e Sinti che ha seguito il caso da vicino, i Carabinieri erano diventati aggressivi subito dopo che le famiglie avevano chiesto di rimanere nel parcheggio fino a quando avessero finito di mangiare.[213] I familiari affermano di essere stati picchiati a pugni e calci e insultati. Cristian Hudorovich, che ha 37 anni, ha detto che uno degli ufficiali ha afferrato e fracassato a terra il suo telefono mentre stava cercando di chiamare la Polizia per denunciare la violenza, e gli ha sferrato dei pugni in faccia. Il quindicenne Michele Campos ha detto nella sua denuncia alla Polizia che i carabinieri della caserma di Bussolengo lo hanno picchiato con un bastone. Sia lui che suo fratello di 17 anni Giorgio Campos hanno detto nelle loro denunce che sono stati tenuti in una cella sotterranea, e che lì sono stati ripetutamente inzuppati dalla testa in acqua gelida. Il terzo fratello, di 20 anni, Paolo Campos, ha dato una descrizione dettagliata nella sua denuncia di un pestaggio a calci e pugni subito da due militari in caserma. Uno di loro, secondo la denuncia, lo ha minacciato di altro se avesse parlato al suo rilascio di quello che era successo.[214] Il rapporto dei carabinieri presenti, che pure si può trovare pubblicato online e negli archivi della Sucar Drom, sostiene che i Campos li avevano attaccati, che Angelo Campos era da subito stato aggressivo e che aveva rifiutato di mostrare i suoi documenti. Il rapporto dei Carabinieri afferma che gli agenti avevano invitato Angelo Campos a salire in macchina di pattuglia in quanto:

Non potendo più la pattuglia soggiacere alla villania dell’uomo ... L’uomo veniva portato al veicolo e fatto salire a bordo. Mentre avveniva la suddetta operazione, la moglie del Campos Angelo ed i figli minorenni di questi coadiuvati dal Rossetto Denis, approfittando che i due militari erano di spalle ... cominciavano a colpirli con calci, pugni e spintoni. I militari dapprima sopraffatti, essendo stati colti di sorpresa, lasciavano l’uomo e cercavano di fermare i vili aggressori. Mentre la Campos Sonia, il Campos Giorgio (minorenne), il Campos Michele (minorenne) ed il Rossetto Denis colpivano i militari, ai quali verrà strappata la divisa, il Campos Angelo, ne approfittava per lasciare il veicolo ed unirsi agli aggressori.[215]

Il rapporto dei carabinieri accusa anche Sonia Campos di avere cercato di rubare la pistola del maresciallo. Angelo Campos, sua moglie Sonia Campos e Dennis Rossetto, sono stati accusati di “resistenza a pubblico ufficiale.” I due uomini hanno trascorso poco più di un mese in prigione in attesa di processo, sebbene il processo per direttissima avrebbe dovuto permettere normalmente che il caso andasse a giudizio molto più velocemente, mentre Sonia Campos è stata processata e condannata il 23 settembre 2010 a sei mesi di prigione e immediatamente rilasciata in libertà vigilata. Tutti e tre sono stati difesi da avvocati. Secondo Carlo Berini, il direttore di Sucar Drom, i due uomini sono stati trattenuti in detenzione al fine di spingere le famiglie a ritirare le loro denunce contro i carabinieri. Su raccomandazione del pubblico ministero, l'avvocato di famiglia li ha convinti a ritirare le denunce e di accettare un patteggiamento; il 10 ottobre 2008, Angelo Campos e Denis Rossetto sono stati condannati e rilasciati in libertà vigilata.[216] Il Procuratore di Verona ha detto a Human Rights Watch che l'ufficio non ha investigato a fondo l'incidente perché le denunce sono state ritirate.[217]

Nonostante il ritiro delle denunce, la mancanza delle autorità competenti nel valutare appieno le accuse contro i carabinieri è allarmante, vista la loro gravità. Sucar Drom ha emesso un comunicato stampa il giorno in cui Campos e Rossetto sono stati condannati: “Le famiglie Rom hanno la conferma che non serve a niente denunciare i soprusi subiti, perché tanto non potranno mai far valere i loro diritti. Immaginiamo già cosa ci diranno da domani: “avete visto… dove vivete? sulla luna? per rivendicare i “vostri” diritti siamo finiti in carcere…”[218]

Gheorghe, estate 2008, Milano

Gheorghe, un uomo di 26 anni, Rom rumeno, ci ha descritto gli abusi per mano di agenti di polizia nell'estate del 2008, quando lo hanno arrestato insieme a un altro Rom, di 20 anni, Alin, il cui caso è discusso di seguito.[219] Gheorghe ha raccontato ciò che è accaduto dopo che la polizia era arrivato al insediamento Rom di via Rubattino a Milano, dove viveva.

Stavo dormendo, degli amici mi hanno detto che c’era la polizia.  Mi hanno detto di andare con loro, in macchina... Non volevo, non ho mai fatto male a nessuno.  Poi mi hanno dato una botta in testa e mi hanno messo in macchina. Appena siamo entrati in ufficio loro, mi hanno picchiato dietro la testa con la pistola e poi uno mi ha dato un calcio in gamba con lo stivale grande. Mi ha dato calci nel sedere e mi ha preso mio orecchino con quella cosa che si usa per togliere i chiodi, non so come si chiama...Hanno preso anche un altro ragazzo, hanno picchiato pure lui. Piangevamo tutti e due.[220]

Gheorghe è stato accusato di aver rubato il rame e condannato a sei mesi di prigione. Alin, minore di 18 anni di età al momento dei fatti, è stato processato separatamente dal Tribunale per i Minorenni. Gheorghe ha detto che ha raccontato al giudice del suo processo dell'abuso, mentre la polizia ha detto che Gheorge avrebbe opposto resistenza all'arresto e attaccati con un coltello. Secondo Gheorghe, il giudice non approfondì la questione, e Gheorghe non ha presentato una denuncia ufficiale.[221]

Alin, estate 2008, Milano

Alin, cha ha oggi 20 anni, è l'altro ragazzo che era stato arrestato quel giorno.[222] Abbiamo parlato con lui separatamente da Gheorghe, settimane più tardi. Alin ora vive da solo a Torino, dopo un anno di detenzione nel carcere minorile e un periodo di tempo in comunità. Ha un lavoro regolare e frequenta la scuola secondaria superiore. Alin ha raccontato a Human Rights Watch che pensa che la Polizia lo avesse arrestato perché, come altri, aveva cercato di scappare, senza successo. Correva, disse, perché era stato arrestato l'anno prima con l'accusa di furto aggravato (reato che ha ammesso di aver commesso con due suoi amici), e che era fuggito dalla comunità dove era stato sistemato perché era al tempo minorenne.

Ho visto tutti che scappavano, avevo paura allora sono scappato anch’io. Ma mi hanno preso e hanno cominciato con gli schiaffi, uno mi dava in testa con la pistola. Mi hanno messo in una macchina e ho trovato Gheorghe lì. Ci hanno portato nel loro ufficio e ci hanno chiusi in una stanza. Dopo dieci o quindici minuti, sono entrati e hanno cominciato a essere malvagi ... Non facevano domande, solo ci offendevano. Non ricordo bene le parole, ma erano offese ... Io non dicevo niente. Poi uno di loro è andato a tirargli l’orecchino a Gheorghe con uno strumento. Gheorghe ha cominciato a piangere. Era mio amico allora ho detto lo tolgo io. Uno dei poliziotti mi ha spinto sul bancone e mi ha dato dei calci sulle gambe con quegli stivali che usano loro, faceva un male, mamma mia. Non so perché volevano togliere l’orecchino. Gheorghe non riusciva, alla fino l’ho aiutato io.
Dopo più o meno due ore, sono entrati di nuovo e hanno portato via Gheorghe.... Mi hanno detto de firmare. Non sapevo bene l’italiano, ma leggevo più o meno, e non volevo firmare. Allora mi hanno picchiato con quelle chiave grosse da cancello in testa e poi ancora calci con gli stivali sulle caviglie. Finché non ho firmato.[223]

Il 18 dicembre 2008, Alin è stato processato dal Tribunale per i Minorenni di Milano per furto di rame. Non aveva mai incontrato il suo avvocato nominato dal tribunale prima dell'udienza. Egli ha raccontato a Human Rights Watch che non era riuscito durante il processo a far sí che si affrontasse il tema degli abusi che aveva subito per mano degli agenti di polizia al momento dell’arresto. Alin è stato giudicato colpevole e condannato a sei mesi e 14 giorni di prigione.

Alin era impaziente di raccontare Human Rights Watch quanto era successo.

Ero sicuro che un giorno avrei ripreso questa questione perchè non possono fare così, guardare la persona solo per il fisico. Bisogna guardare dentro. Quello che sbaglia bisogna pagare ma poi impara.... Quando penso a loro [i poliziotti] non voglio che viva nessun altro quello che ho vissuto io.... Voglio solo andare di nuovo in una stanza davanti agli stessi poliziotti, pubblico ministero, e giudice per fare vedere che bisogna andare fino in fondo per fare uscire la verità delle cose.... Qui c’è una questione di razzismo. I diritti li abbiamo tutti.... I pregiudizi sui Rom, sui rumeni portono a questo. In Italia le cose vanno così.[224]

 

La risposta  dello Stato italiano

Tutti quanti minimizzano la portata di razzismo ... spesso il reo ha attenuanti invece dell’aggravante razzista. Dobbiamo lavorare perche i giudici percepiscano l’aggravante del razzismo come una minaccia alla nostra democrazia e alla nostra società.[225]
— Jean-Léonard Touadi, parlamentare italiano

In seguito alla revisione del dossier italiano presso il Consiglio dei diritti umani dell’ONU, nel maggio 2010 il Governo italiano ha accettato una serie di raccomandazioni per combattere la violenza motivata dall'odio razziale. Tra le altre cose, il Governo si è impegnato a rafforzare il mandato dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, istituire un Istituto nazionale per i diritti umani, e “avviare ulteriori misure concrete per stimolare la tolleranza e prevenire la discriminazione e la xenofobia.”[226]

Eppure, le autorità italiane continuano a minimizzare il problema e ritraggono i migranti e le minoranze come gli autori di reati piuttosto che vittime di essi. Questa situazione risulta ancora più grave dai dettagli dei racconti. Come illustrano i casi di cui, lo Stato ha mancato in molti casi, nell’assicurare alla giustizia i responsabili di attacchi e nel perseguire i crimini contro le minoranze come i crimini motivati dall'odio razziale, e di indagare efficacemente sulle denunce di abusi commessi dalle forze dell’ordine.

Minimizzazione del problema

C'è una dissonanza evidente tra la percezione dei rappresentanti del governo della portata del razzismo e della violenza razzista in Italia, e quella dei membri di gruppi vulnerabili, delle organizzazioni non governative e degli osservatori internazionali. Le autorità pubbliche tendono a minimizzare la portata della violenza razzista, definendolo episodiche e rare. Il Ministro dell’Interno Roberto Maroni ha affermato nel 2008 che “l’Italia non è oggi un paese razzista ... alcuni episodi di violenza che si sono verificati negli ultimi tempi restano del tutto  marginali e sono socialmente rifiutati.”[227] Sulla scia della violenza a Rosarno, Maroni ha ribadito che  “Italia non è un paese razzista ...” spiegando che “ci sono degli episodi ma spesso si usa il concetto di razzismo a fini politici per appiccicare etichette.” [228]

Nel corso della ricerca che ha portato a questo rapporto, diversi nostri interlocutori, tra cui il direttore dell’ Istituto di formazione della Polizia di Stato e il capo di un importante sindacato dei funzionari di polizia, hanno sottolineato che gli italiani non sono “per natura” razzista, e che la violenza razzista e xenofoba non è un problema statisticamente significativo.

 

La motivazione dell'odio razziale di eventi quali gli attacchi contro gli immigrati stagionali giunti dall'Africa sub-sahariana a Rosarno, la presa di mira degli immigrati per estorsioni e percosse, e gli attacchi contro gli insediamenti dei Rom, è spesso ridotta al minimo o esclusa. Un rappresentante dell’amministrazione locale del quartiere romano di Tor Bella Monaca, teatro di numerosi attacchi contro i migranti nel corso degli ultimi anni, ha raccontato a Human Rights Watch che questi fatti “non riguardono il razzismo, se non la convivenza, una questione di numeri.”[229] E ha sostenuto che la radice del problema è la densità di popolazione del quartiere e la sua alta percentuale di stranieri, dicendo che un terzo di tutti gli stranieri nel comune di Roma vive a Tor Bella Monaca. “Oggi come oggi, non c’è un discorso di razzismo, se mai di paura. È logico. I rumeni che bevono una quantità dalla mattina alla sera o si ritrovano in tanti – fa paura alla vecchietta che si trova di fronte,” ha detto.[230]

La retorica anti-immigrati e anti-Rom

Funzionari di governo e politici di partiti della coalizione di governo si sono impegnati in discorsi xenofobi e anti-Rom che disumanizzano i membri di questi gruppi o suggeriscono che essere un migrante o un Rom è sinonimo di essere un criminale.

Vantando gli sforzi del suo governo nel contrasto all'immigrazione irregolare, il Presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi ha dichiarato nel gennaio 2010 che “una riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali.”[231]

In una conferenza sull'integrazione nel maggio 2010, il sindaco di Milano Letizia Moratti, del Popolo delle Libertà, ha dichiarato: “I clandestini che non hanno un lavoro regolare, normalmente delinquono.”[232]

In una risposta ufficiale in lingua inglese al Consiglio d'Europa Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI) nel 2006, il governo Berlusconi ha sostenuto che la “condizione di illegalità” degli immigrati irregolari in Italia “è spesso accompagnata da una situazione economica precaria, carenza affettiva, esclusione sociale che, insieme a una condizione diffusa di scarsa o inesistente scolarizzazione, porta a comportamenti devianti;. l'immigrato illegale è quindi facilmente coinvolto in attività della criminalità organizzata in qualità di manodopera criminale non qualificata di basso costo.”[233]

I funzionari eletti dal partito della Lega Nord nella coalizione di governo possono vantare alcuni dei commenti più eclatanti. Il fondatore e leader del partito Umberto Bossi (che è anche ministro per le riforme nel governo Berlusconi) sembrava tollerare la violenza contro i campi rom di Ponticelli nel maggio 2008, quando dice: “Se lo Stato non fa il suo dovere lo fa la gente, la gente dopo un po’ si rompe le scatole.”[234] Il senatore della Lega Nord Roberto Calderoli ha detto in un'intervista televisiva nel 2008, che “è evidente che ci sono delle etnie che hanno più propensione a lavorare ed altre a delinquere. Non dipende dal Dna ma è una predisposizione.”[235] Nel corso di un'audizione al Senato italiano nel settembre 2008, meno di una settimana dopo che sei cittadini africani erano stati freddati in una sparatoria della malavita di Castelvolturno, una città vicino a Napoli, il Ministro dell’Interno Roberto Maroni ha caratterizzato le uccisioni come la riaffermazione del controllo territoriale da parte italiana della criminalità organizzata locale contro i criminali stranieri.[236] Allo stesso tempo, Maroni ha descritto la forte presenza di immigrati africani in città, attribuendole “una situazione di sensibile degrado ambientale, con la diffusione di fenomeni quali lo spaccio di stupefacenti, la prostituzione e l’occupazione di interi fabbricati da parte di clandestini.”[237]L'inchiesta penale sulla episodio ha poi dimostrato che i sei cittadini africani uccisi quel giorno non erano coinvolti in alcuna attività criminale (vedi sotto per maggiori dettagli sul caso).

Inadeguatezza della raccolta dei dati e dell’analisi

Come osservato nel capitolo II, il Governo italiano non raccoglie dati comprensivi a livello nazionale sulla violenza di matrice razzista e xenofoba. La raccolta sistematica di dati sulla violenza razzista e xenofoba, e sui crimini motivati dall’odio in generale, è fondamentale per analizzare le tendenze e garantire una risposta adeguata.

Il sistema di classificazione dei crimini motivati dall’odio razziale a fini statistici del Ministero dell’Interno, utilizza tre grandi categorie—razzismo, xenofobia e antisemitismo—che non consentono di analizzare le tendenze né l'analisi riguardo categorie particolari come i Rom, gli africani, i musulmani, gli immigrati, o i richiedenti asilo.[238]

I crimini motivate dall'odio contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) o quelle con disabilità non vengono registrati in quanto la Legge Mancino non comprende queste categorie. Le statistiche della Direzione Centrale della Polizia Criminale per il periodo 2004-2009 mostrano che ci sono state 27 segnalazioni di reati in violazione della legge 205 del 1993, nel 2007 e 2008, e 37 notizie di reato nel 2009.[239] Questi dati non sono disaggregati per tipologia di reato, e potrebbero comprendere i reati aggravati da motivazioni razziali e istigazione alla violenza razzista come pure la propaganda di idee fondate sulla superiorità razziale, e la leadership o l'adesione ad associazioni i cui obiettivi includono l’istigazione al razzismo o alla discriminazione.[240]

I dati forniti dal Governo italiano all’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'OSCE (ODHIR), indicano che 142 crimini di odio (tra cui “l'istigazione a crimini e agli insulti razziali”) sono stati segnalati alla polizia nei primi nove mesi del 2009, di questi, 64 sono stati classificati come crimini razzisti, 31 come i crimini xenofobi, e 47 come crimini antisemiti.[241] Al momento della redazione di questo rapporto, Human Rights Watch era in attesa di risposta alla richiesta alla Direzione centrale di polizia criminale di ricevere i dati disaggregati.

Tutti i rapporti della Polizia e dei Carabinieri sulle denunce sono immessi in una banca dati centralizzata. Il modulo standard non include un campo specifico per classificare le denunce in base alle eventuali motivazioni odio razziale o simili, che altresì è a discrezione del responsabile della registrazione, che deve classificare la denuncia a seconda del tipo di reato, e decidere se inserire il reato come possibilmente aggravato della motivazione razziale.[242]

I dati forniti dal Ministero della Giustizia sui casi aperti e su quelli conclusi nel 2008 di “discriminazione razziale,” non consentono un’analisi dettagliata. Non sono disaggregati per reato specifico. Poiché non è chiaro dai dati se il numero di cause pendenti comprende i casi che erano in corso da prima dell’inizio del 2008, è impossibile trarre conclusioni circa la “proporzione di attrito,” cioè il numero di casi che sono respinti. Le statistiche, inoltre, non comprendono i casi in cui un pubblico ministero non ha chiesto l'applicazione della circostanza aggravante della motivazione razziale. Il documento non chiarisce se informazioni sono state ottenute da tutte le procure e tribunali di tutto il paese. Un rappresentante del Ministero della Giustizia ha riconosciuto che la raccolta e la sistematizzazione dei dati sono parziali e problematiche.[243]

Dati degli uffici dei Procuratori generali della Repubblica, 2008[244]

Casi

Autore Noto

Autore ignoto

Soppravenuti

111

43

Esauriti

84

38

Invio al GIP

1

---

Richiesta di riti alternativi

4

---

Invio al tribuanle

9

---

Pendenti

109

46

Dati dei Tribunali, 2008[245]

-

Assoluzioni

Condanne

Altre sentenze[246]

Primo grado

1

3

---

Appello

---

2

1

Tribunale dei minori

---

2

---

Nel luglio del 2010 Antonio Manganelli, capo della Polizia e direttore generale della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, ha ordinato la creazione di un Osservatorio per la protezione delle vittime di discriminazione delle minoranze (OSCAD). L'ufficio, ubicato presso la Direzione centrale della Polizia Criminale, è diventato operativo nel settembre 2010 con il mandato di ricevere direttamente e compilare e controllare i progressi sui rapporti di crimini motivati dall’odio discriminatorio.[247] La creazione dell'osservatorio è venuto dopo la pressione esercitata dale organizzazioni LGBT a seguito di un aumento di attacchi segnalati aventi alla base l'orientamento sessuale della vittima. Secondo un funzionario della Direzione centrale della Polizia Criminale, l’OSCAD affronterà tutti i casi di crimini aggravati dall’odio discriminatorio, con un focus particolare e un’”analisi approfondita” per quelle basate sull'orientamento sessuale.[248]

La mancata assicurazione alla giustizia dei responsabili degli attacchi

Diversi casi documentati in questo rapporto non hanno portato ad arresti o ad azioni penali. In alcuni casi, come nel caso di Marco Beyene, aggredito a Napoli nel marzo 2009, le autorità sembrano avere indagato diligentemente. In altri, tuttavia, non sembra che i funzionari delle forze dell’ordine e della giustizia abbiano perseguito i casi con la necessaria forza. Le accuse contro carabinieri per abusi commessi a danno di vari membri di una famiglia Rom a Bussolengo nel settembre 2008 non sono mai state indagate. A nostra conoscenza, nessun progresso significativo è stato fatto per individuare i responsabili degli attacchi contro rumeni delle bande di italiani di Tor Bella Monaca e di Porta Furba, a Roma nel novembre 2007 e nel febbraio 2009, rispettivamente, o gli attacchi al campo Rom di Ponte Mammolo a Roma nel settembre 2007. Il fatto che la violenza estrema dispiegatasi a Rosarno, nel gennaio 2010, e a Ponticelli nel maggio 2008, non sia stata seguita da indagini capaci di portare ad azioni penali a carico dei responsabili dà motivo di forte preoccupazione che crimini gravi resteranno impuniti.

Il diritto internazionale dei diritti umani stabilisce un preciso dovere di fornire un rimedio efficace alle vittime di violenza, sia che sia avvenuta per mano di funzionari pubblici che per quella di individui privati. Questo dovere comprende l'obbligo di “esercitare la dovuta diligenza per prevenire, punire, controllare, o riparare i danni causati da tali atti.”[249] La Corte europea dei diritti dell'uomo ha in più occasioni ribadito ai governi che i loro obblighi in materia di protezione delle persone dagli abusi non si limita all’astenersi da violazioni dei diritti in questione da parte dei rappresentanti dello Stato, ma si estende anche all’obbligo di adottare misure appropriate per fornire protezione contro interferenze all’esercizio di tali diritti commesse sia da parte di agenti statali che di privati. Alla luce della gravità degli incidenti citati in questo rapporto, Human Rights Watch esprime la sua preoccupazione che le autorità italiane non abbiano dimostrato sufficiente diligenza nell’indagare i crimini e garantire una riparazione adeguata.

Mancanze nella repressione e nella indagine degli attacchi aggravati dall’odio razziale

La Legge Mancino ha rappresentato una significativa innovazione nel diritto penale italiano quando è stata adottata nel 1993, con la promessa di un’azione concertata da parte del sistema di giustizia penale per reprimere la violenza dell'odio razzista e altri. L'inadeguata attuazione della legge nella giurisprudenza nazionale ha rivelato importanti limitazioni della disposizione che ha introdotto la circostanza aggravante della motivazione dell’odio razziale. Non essendo mai stata aggiunta all’articolo 61 del Codice penale, che dettaglia tutte le circostanze aggravanti, la disposizione non è necessariamente ben nota a magistrati e avvocati o da loro considerata.

Avvocati e pubblici ministeri intervistati nel corso di questa ricerca hanno confermato che la circostanza aggravante della motivazione dell’odio razziale non è particolarmente nota al pubblico o ampiamente usata dalla polizia e pubblici ministeri.[250] Ci sono state espresso opinioni contrastanti sulla questione se il fatto che è prevista da una legge speciale ma non inclusa nella lista generale delle circostanze aggravanti nel codice penale italiano abbia giocato un ruolo in questa inadeguatezza. Tutti si sono dimostrati d'accordo, tuttavia, sull’idea che una riforma volta a modificare l'articolo 61 del codice penale, al fine di importare la circostanza aggravante della motivazione dell’odio, sarebbe un passo positivo.[251]

Oltre a non essere ampiamente nota, la Legge Mancino è anche congegnata in modo restrittivo. Come accennato in precedenza, l'articolo 3 della legge rende circostanza aggravante nella commissione di un crimine “la finalità di discriminazione o di odio fondato su appartenenza etnica, nazionalità, razza, o religione” [corsivo aggiunto].  Questo sembra escluderla i reati in cui l’autore abbia agito in base a delle motivazioni miste.

Opinione diffusa tra molti giuristi in Italia intervistati da Human Rights Watch, è che la violenza è aggravata ai sensi della Legge Mancino quando l’odio razziale è l'unico fattore determinante nella commissione della violenza, in una situazione in cui di solito l'autore del reato e la vittima non si conoscono e non hanno alcuna interazione previa che potrebbe dare luogo ad altre motivazioni per la violenza.[252]

A rendere le cose ancora più confuse, la Corte di Cassazione ha una giurisprudenza contraddittoria per quanto riguarda l'interpretazione della circostanza aggravante.

In giugno 2008, una sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto che la circostanza aggravante è applicabile nel caso in esame “perché l'azione era motivata esclusivamente dal fatto che si trattava di persona appartenente ad una razza diversa.”[253] Nel caso in questione un uomo aveva voluto colpire deliberatamente con la sua auto una persona di colore al lato della strada, urlando ai suoi amici in macchina, “schiaccio il negro!”[254]

Tale giurisprudenza è stata citata nella condanna di due uomini per l'omicidio di Abdoul Guiebre a Milano nel settembre 2008 a sostegno la decisione del pubblico ministero di non chiedere alla circostanza aggravante. Il pubblico ministero in quel caso ha spiegato a Human Rights Watch che non ha deciso di chiedere la circostanza aggravante in quanto,

La reazione, sicuramente spropositata, degli imputati non è stata determinata dall’odio razziale, ma dal furto, avvenuto dopo che gli stessi avevano lavorato tutta la notte in strada ... Per la norma l’aggravante è applicabile per reati ... [commessi] “per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso ….” Nel caso specifico, per quanto emerso dalle indagini le finalità dell’aggressione erano di altra natura.[255]

Il giudice del processo ha approvato questa decisione, sostenendo che l'uso di epiteti razziali durante l'attacco “deve essere letto in quelle circostanze non diversamente da qualsiasi altro insulto.”[256] (Il giudice ha rilevato la xenofobia manifesto degli autori ', chiamando questa avversione “certamente motivo ispiratore della vendetta non secondario” al furto che avevano subito.)[257]

Nel luglio del 2010, tuttavia, una diversa sezione della Corte di Cassazione ha confermato l'applicazione della circostanza aggravante nel caso di una rapina violenta accompagnata da epiteti razziali. Un uomo italiano è stato condannato a quattro anni di carcere per una rapina di un immigrato, durante la quale aveva urlato: “Dammi i soldi, sporco negro.” In quel caso, la Corte ha ritenuto che la circostanza aggravante sia applicabile “quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, al pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza.”[258]

I casi esaminati da Human Rights Watch suggeriscono che l’approccio ristretto della Corte di Cassazione nel 2008, è l'approccio comunemente adottato dai tribunali in Italia.

I casi di Willy Lulua e Samba Sow dimostrano l'effettiva applicazione della disposizione penale quando l’odio razzista sembra essere l'unica motivazione di un delitto. Ma dove il presunto colpevole (o colpevoli) sembrano avere anche altre motivazioni, come nel caso di Abba, di Abdul Latif, e dei fatti di Rosarno, l’aspetto razzista di un attacco fisico può essere minimizzato o addirittura ignorato da parte di pubblici ministeri e giudici.

Il processo in corso a carico di quattro presunti membri della camorra per l'uccisione con arma da fuoco automatica di sei immigrati africani a Castelvolturno nel settembre 2008, è una eccezione positiva. L'ufficio del procuratore di Napoli ha incaricato quattro sospettati di omicidio aggravato dalla motivazione razziale per la strage del 18 settembre 2008, in cui furono uccisi sei uomini. Un quinto uomo ha collaborato con la giustizia ed è stato processato separatamente e condannato a 12 anni di carcere.

I procuratori sostengono che un presunto boss del clan, uno degli imputati del caso, ha ordinato gli omicidi per inviare un messaggio ai concorrenti africani nel mercato della droga illegale. Cesare Sirignano, uno dei procuratori nel caso, ha spiegato la logica: “andiamo a uccidere quei neri, anche se incolpevoli, perché così gli altri neri, i cattivi, capiranno. I neri, per loro, erano tutti uguali ... si doveva uccidere alla cieca se in quella sartoria non c'era il bersaglio che cercavano. Cosa che avvenne.”[259]

Nella valutazione di Human Rights Watch, la più ampia interpretazione della legge adottata dalla Corte di Cassazione nel 2010 è quella corretta. Come criminologo Tore Bjørgo ha sostenuto, i trasgressori di solito hanno motivi misti:

Anche se gli atti di violenza possono avere elementi di xenofobia o di considerazioni politiche, come l'opposizione alla politica di immigrazione, vi sono in genere anche distinti motivi non politici coinvolti. Spesso, i trasgressori spiegano che hanno effettuato l'atto di violenza al fine di mostrare ai loro amici, per dimostrare il loro coraggio, la durezza o la fedeltà al gruppo, per vendicare precedenti atti provocatori commessi dalle loro vittime, o solo per il brivido di esso.[260]

Il Belgio[261], il Regno Unito[262], e lo stato americano della California[263] prevedono l’uso di aggravanti per motivi misti ai reati nelle loro legislazioni penali, e costituiscono esempi positivi di tale approccio.

Mancanze nell’indagare adeguatamente le accuse di maltrattamento a carico delle forze dell’ordine

Quattro casi discussi in questo rapporto riguardano le accuse di maltrattamenti a poliziotti o carabinieri contro Rom. In due di questi casi, le vittime hanno presentato una denuncia ufficiale o detto a rappresentanti della giustizia degli abusi. Per quanto di nostra conoscenza, nessuna di queste accuse è stata indagata adeguatamente dalle autorità competenti. Nel caso che riguarda le accuse ai carabinieri di Bussolengo di avere commesso maltrattamenti, la procura competente ha detto a Human Rights Watch semplicemente che non aveva condotto alcuna indagine in quanto la denuncia era stata ritirata, nonostante la gravità del presunto abuso. Nel caso che riguarda i presunti maltrattamenti della polizia a danni di un adulto e di un minorenne arrestati in un campo rom, Human Rights Watch non è stata in grado di identificare il pubblico ministero e giudice che hanno partecipato alla udienza in cui il minore raccontò quello che gli era successo.

Human Rights Watch ha anche parlato con tre persone che hanno raccontato di avere subito maltrattamenti per mano della polizia o dei carabinieri, e uno ha testimoniato della violenza di alcuni agenti della Guardia di Finanza. Le vittime non hanno depositato denunce ufficiali, e non hanno voluto che Human Rights Watch si muovesse per approfondire la questione con le autorità competenti. In tutti questi casi, la situazione precaria delle vittime – migranti irregolari o Rom che vivono in campi di fortuna – ha frenato la denuncia dei presunti abusi. Un uomo del Sud dell'Asia che sostiene che un carabiniere lo ha afferrato per la gola e schiacciato per la testa contro un cesso in una stazione dei Carabinieri in una città del sud ha spiegato che: “Noi siamo stranieri qui, è troppo pericoloso denunciare.”[264]

Ancora, Human Rights Watch ha parlato con due persone che hanno denunciato di avere subito gravi lesioni durante le operazioni della Polizia Municipale contro lo spaccio di merce illegale. In entrambi i casi, i pubblici ministeri incaricati delle indagini hanno chiesto l’archiviazione del caso; in uno dei due casi la richiesta è in corso, mentre nell’altro il giudice per le indagini preliminari ha respinto la mozione e ha ordinato ulteriori indagini.[265] Questi due casi, così come il caso suddetto riguardante la Guardia di Finanza, hanno visto le forze dell'ordine prendere a calci o fare inciampare violentemente dei venditori ambulanti – evidentemente stranieri – mentre tentavano di fuggire da controlli.

Il non svolgimento delle indagini con diligenza, e, in altri casi, il mancato perseguimento dei maltrattamenti commessi da agenti delle forze dell'ordine, non solo nega alle vittime di abusi il diritto a un rimedio effettivo, ma conduce anche a una mancanza di responsabilità da parte delle forze dell'ordine e mina la fiducia nelle forze dell’ordine come anche nel sistema giudiziario. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito i seguenti principi guida per le indagini su presunti abusi da parte delle forze dell’ordine: indipendenza, adeguatezza, tempestività, trasparenza e coinvolgimento della vittima (o delle vittime).[266] Il dovere di indagare sulle accuse di maltrattamenti è  ancora più cogente quando la vittima si trovi in stato di detenzione. La Corte ha ripetutamente affermato che “le persone in detenzione sono in una posizione vulnerabile e ... le autorità hanno il dovere di proteggerli. Ricade sullo Stato la responsabilità di eventuali lesioni subite in carcere. ...”[267]

L'assenza di un organismo indipendente che possa ricevere ed esaminare le denunce contro il personale delle forze dell'ordine per cattiva condotta e abusi, è di ostacolo alla loro assunzione di responsabilità e al risarcimento delle vittime. L'ECRI, così come il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, hanno sottolineato l'importanza dei meccanismi indipendenti di esame delle denunce contro il personale delle forze dell'ordine per la discriminazione razziale o di comportamento a sfondo razziale. L'ECRI ha rilevato che tali meccanismi dovrebbero essere indipendenti sia dalle forze dell'ordine che dalle Procure, perché l’esperienza ha dimostrato che “le vittime di abusi della polizia in genere non hanno fiducia nei meccanismi di ricorso interni alla polizia ... [e] sono spesso ... riluttanti ad adire le istituzioni che collaborano strettamente, e su una base quotidiana con la polizia, come autorità di perseguimento penale.”[268]

Raccomandazioni dettagliate

Al Governo italiano

  • Affermare con forza il ripudio di razzismo e xenofobia.
  • Condannare pubblicamente e inequivocabilmente gli episodi di violenza razzista e xenofaba.
  • Svillupare e finanziare una strategia nazionale per combattere il razzismo e la xenofobia, che contengo misure concrete e un calendario di attuazione, e designare e incaricare un ente pubblico che ne sorvegli l’attuazione.

Al Parlamento

  •   Riformare il Codice penale, con l’integrazione della circostanza aggravante della motivazione dell'odio razziale nell’articolo 61, e assicurare che tale riforma riformuli il campo di applicazione della circostanza aggravante per:
    • Riconoscere la possibilità di motivazioni miste, e permettere l'applicazione della circostanza aggravante nei casi in cui la violenza è stata commessa “in tutto o in parte” a causa di odio razziale o altri pregiudizi; ed * Espandere l'elenco delle caratteristiche protette nella misura includendovi, come minimo, l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
    • Garantire l'attuazione, con un’adeguata dotazione finanziaria, di una strategia nazionale di lotta al razzismo, alla xenofobia e ai crimini motivati dall'odio discriminatorio.
  • Creare un organismo indipendente che indaghi tutte le denunce di abusi dei diritti umani commessi dal personale delle forze dell'ordine, comprese quelle motivate dal razzismo e la discriminazione.

Al Ministero della Giustizia

  • Promuovere la riforma della legislazione in vigore sui crimini motivati dall'odio discriminatorio:
      • Incorporare la circostanza aggravante della motivazione dell'odio razziale nel Codice penale;
      • riformare la formulazione della disposizione volta a garantire l'applicazione della circostanza aggravante nei casi in cui la violenza sia stata commessa “in tutto o in parte” a causa di odio razziale o altri pregiudizi, ed;
      • espandere l'elenco delle fattispecie protette per includervi, come minimo, l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
    • Raccogliere e pubblicare regolarmente le statistiche su indagini preliminari, giudizi pendenti, sentenze e condanne per i reati aggravati da pregiudizi razziali. Tali statistiche dovrebbero essere disaggregate per il tipo di reato, la regione, e il tipo di vittima.
    • Avviare una campagna di sensibilizzazione per incoraggiare la segnalazione dei reati con aggravante razziale e simili, inclusa una maggiore sensibilizzazione verso la possibilità di accedere a un permesso speciale per gli immigrati irregolari che sono vittime di tali reati.
    • Promuovere la riforma, per garantire che le persone che hanno beneficiato di permessi speciali di residenza non trovino ostacoli nel chiedere il permesso di soggiorno di più lungo termine.

    Al Ministero dell’Interno

    • Istituire la obbligatorietà di corsi nelle accademie di polizia per i nuovi assunti, corsi di specializzazione e formazione in servizio sulla individuazione, risposta, e indagine dei crimini d'odio discriminatorio, tra i quali quelli motivati da violenza razzista e xenofoba.
    • Sviluppare, in collaborazione con il Ministero della Difesa, specifiche linee guida per il personale delle forze dell'ordine per l'accertamento dei crimini motivati dall'odio razzista e xenofobo.
    • Assicurarsi che ogni stazione di polizia abbia almeno un ufficiale, o un gruppo di ufficiali, (commisurato alle esigenze della popolazione) con avanzate formazione specializzata in crimini motivati dall'odio razzista e xenofobo.
    • Lanciare una campagna pubblica, in collaborazione con il Ministero della Giustizia, per incoraggiare la fiducia nelle forze dell'ordine tra le minoranze, e la segnalazione dei crimini motivati dall'odio razzista e xenofobo.
    • Assicurarsi che le campagne per incoraggiare la segnalazione dei crimini razzisti includano informazioni circa il permesso speciale per i migranti privi di documenti vittime di un tale crimine.
    • Garantire, in collaborazione con i Ministeri della Giustizia e della Difesa, l’organizzazione di un sistema di raccolta dati per registrare tutti i crimini d'odio sospettati, tra quelli motivati da razzismo e xenofobia, disaggregati per tipo di reato e tipologia delle vittime.
    • Pubblicare con cadenza regolare le statistiche su violenza razzista e xenofoba, come pure su altri reati motivati dall’odio discriminatorio.
    • Richiedere assistenza tecnica all'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell'uomo (ODIHR) dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per la formazione dei funzionari delle forze dell'ordine per individuare e indagare sui crimini motivati dall'odio razzista e xenofobo.
    • Svolgere ogni anno indagini campionarie sui reati, o fornire un sostegno finanziario ad enti esterni per condurle, per individuarne meglio le tendenze.

    Al Ministero della Difesa

    • Assicurarsi che tutti i carabinieri ricevano una formazione obbligatoria sulla individuazione, risposta, e indagine dei crimini d'odio discriminatorio, tra i quali quelli motivati da violenza razzista e xenofoba.
    • Sviluppare, in collaborazione con il Ministero dell’Interno, specifiche linee guida per il personale delle forze dell'ordine per l'accertamento dei crimini motivati dall'odio razzista e xenofobo.
    • Assicurarsi che ogni stazione dei Carabinieri disponga di almeno un ufficiale, o un gruppo di ufficiali, commisurati alle esigenze della popolazione, con avanzate formazione specializzata in crimini motivati dall'odio razzista e xenofobo.
    • Assicurarsi che il sistema di raccolta dati sia organizzato in modo tale da registrare tutti i reati che si sospettano dovuti a pregiudizi, tra cui la violenza razzista e xenofoba, disaggregati per tipologia di crimine e di vittime.

    All’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR)

    • Assicurarsi che la propria campagna d’informazione del 2011 preveda un focus specifico sulla violenza razzista e xenofoba.
    • Assicurarsi che il nuovo sistema di registrazione per le denunce di violenza razzista e xenofoba sia pienamente attuato, anche attraverso la formazione adeguata per tutti coloro con il compito di ricevere e gestire le denunce.
    • Promuovere e partecipare agli sforzi del Ministero dell’Interno, del Ministero della Giustizia e del Ministero della Difesa di avviare e/o migliorare la formazione specializzata per individuare, indagare e perseguire i crimini derivanti da pregiudizi, compresi quelli razzisti e xenofobi, e per migliorare e rendere più trasparente la raccolta di dati su tali crimini.

    Al Consiglio Superiore della Magistratura

    • Assicurarsi che il ciclo annuale di corsi di formazione permanente comprenda sessioni di approfondimento dedicati alla legislazione e alla giurisprudenza in materia di violenza a sfondo razziale.
    • Favorire la creazione e designazione di un gruppo di pubblici ministeri specializzati in crimini razzisti negli uffici delle procure più grandi, e la specializzazione di almeno un magistrato in quelli più piccoli.

    All'Unione europea

    • La Direzione generale per i diritti fondamentali della Commissione europea dovrebbe valutare la conformità dell'Italia ai suoi obblighi ai sensi del diritto dell'Unione europea sui diritti umani, compresa la Carta UE dei diritti fondamentali, e per il rispetto dell’obbligo alla prevenzione e repressione della violenza dell'odio razzista e simili, e riferirne i risultati nella sua relazione annuale sui diritti umani nell'Unione europea.
    • La Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo (LIBE) dovrebbe interessarsi della situazione in Italia ed esaminare provvedimenti appropriati, fra i quali una relazione volta a valutare la conformità dell’Italia al diritto comunitario e ai principi in materia di anti-razzismo e anti-discriminazione.
    • L'Agenzia dei diritti fondamentali dell'UE dovrebbe condurre un'indagine approfondita sulla violenza razzista e xenofoba in Italia, come seguito al rapporto sulla violenza del maggio 2008 contro i Rom a Ponticelli, al fine di dare alle istituzioni decisionali quali la Commissione Europea informazioni e analisi pertinenti per valutare il rispetto dell’Italia verso gli obblighi di contrastare la violenza razzista.

    Al Consiglio d'Europa

    • La Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza dovrebbe cogliere l'opportunità della sua attenzione attuale sull'Italia per evidenziare i risultati di questo rapporto, e per ribadire le raccomandazioni fatte in passato dalla Commissione al Governo italiano sulle misure per contrastare discorsi razzisti e xenofobi dei politici, garantire l'adeguata attuazione delle disposizioni di legge contro il razzismo e la discriminazione, e la formazione adeguata per tutti coloro che lavorononel sistema di giustizia penale.
    • Il Commissario per i diritti umani dovrebbe continuare a monitorare attentamente la situazione in Italia e prendere in considerazione l’opportunità di fare una successiva comunicazione alle autorità italiane sulle misure adottate per attuare le raccomandazioni contenute nella sua relazione sull’Italia dell’aprile 2009.

    All’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)

    • L'Alto Commissario per i diritti umani dovrebbe dare continuità alla sua visita in Italia del marzo 2010, e informarsi presso le autorità italiane circa le misure adottate per affrontare le sue preoccupazioni e le sue raccomandazioni relative al trattamento dei Rom e dei migranti nonché quelle relative alla retorica razzista e agli stereotipi propagati dai media.
    • Il Relatore speciale sulle forme contemporanee di razzismo dovrebbe continuare a seguire da vicino e a richiamare l'attenzione sulla situazione in Italia, anche attraverso azioni urgenti e comunicazioni al Governo sui singoli casi e sulle iniziative che hanno preso le autorità per attuare le raccomandazioni da egli espresse a seguito della sua visita nel 2006. Egli deve anche prendere in considerazione di effettuare una nuova visita al Paese.

    Ringraziamenti

    Questo rapporto è stato documentato e scritto da Judith Sunderland, ricercatrice senior della Divisione di Europa e Asia centrale di Human Rights Watch. Il rapporto è stato curato da Benjamin Ward, vice direttore della Divisione di Europa e Asia centrale. Aisling Reidy, assessore legale senior, ha effettuato la revisione legale, e Robin Shulman, consulente, ha effettuato la revisione per l’Ufficio Programmi di Human Rights Watch. Veronika Szente-Goldston, direttrice dell’advocacy della Divisione di Europa e Asia centrale, ha esaminato il rapporto e ha contribuito alle raccomandazioni ivi contenute. Ulteriore assistenza è stata fornita da Marina Pravdic, assistente alla Divisione; da Grace Choi, responsabile pubblicazioni editoriali di Human Rights Watch; e da Fitzroy Hepkins. Human Rights Watch è grato a tutti coloro che hanno fornito informazioni per questo rapporto. Un particolare ringraziamento va ad Andrea Anzaldi, Giuseppe Pugliese, Sergio Briguglio, e Sara Cerretelli per il loro intuito e la loro assistenza, al personale e ai volontari della Comunità di Sant'Egidio, e alle vittime di violenze e abusi che hanno accettato di raccontarci la loro esperienza. Siamo profondamente grati alla Open Society Institute per il generoso sostegno finanziario.

    Traduzione di Guido Tassinari.