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Ue: non si mettano vite in pericolo né si neghi protezione

L’operazione contro gli scafisti sia nei limiti della legge dei diritti dell’uomo

(Bruxelles) – L’azione militare dell’Unione europea contro le reti di trafficanti di migranti, o scafisti, non metta a repentaglio la vita e i diritti di migranti e richiedenti asilo, ha detto oggi Human Rights Watch. Il Consiglio dell’Unione europea ha concordato il 18 maggio 2015 di dar vita a un’operazione navale, EUNAVFOR Med, per identificare, catturare, e distruggere barche usate da trafficanti di migranti nel Mediterraneo.

“Gli scafisti e i responsabili di tratta degli esseri umani spesso dimostrano un totale disprezzo per la vita e la dignità, e andrebbero perseguiti, ma l’azione militare potrebbe esporre migranti e richiedenti asilo a gravi rischi” ha detto Judith Sunderland, vice direttrice provvisoria per l’Europa e l’Asia centrale a Human Rights Watch. “La massima priorità dovrebbe essere prestare soccorso  a persone a rischio nel Mediterraneo e portarle al sicuro sulle coste dell’Ue”. 



L’Ue dovrebbe valutare accuratamente le implicazioni sui diritti umani, a breve e medio termine, di qualsiasi operazione, compreso il rischio di aumentare i pericoli della migrazione su barconi nel Mediterraneo, ha dichiarato Human Rights Watch. L’Ue dovrebbe anche valutare il rischio di intrappolare migranti e richiedenti asilo in Libia, dove sono spesso soggetti a violenza e abusi e non hanno possibilità di presentare domanda d’asilo. 

I migranti intercettati da imbarcazioni nel Mediterraneo, comprese quelle che partecipano a EUNAVFOR Med, dovrebbero essere portati in porti sicuri dell’Ue, dove coloro che domandano protezione o temono un rinvio possano essere sottoposti a un esame d’asilo. L’Ue non dovrebbe, in alcuna circostanza, consegnare migranti alla guardia costiera libica o farli sbarcare in Libia, ha dichiarato Human Rights Watch.



La decisione del Consiglio prevede l’inizio dell’operazione con sorveglianza e pattugliamenti. Se gli Stati membri dell’Ue decideranno poi di procedere, la seconda fase prevede abbordaggi, perquisizioni, sequestri, e il dirottamento di sospette imbarcazioni di trafficanti di migranti con “messa in stato di inoperabilità”, a seguire, delle sospette imbarcazioni di trafficanti.


Il governo della Libia che gode del riconoscimento internazionale ha detto di opporsi all’azione dell’Ue nel suo territorio o nelle sue acque territoriali. Due governi sono in lotta per il riconoscimento in Libia, uno riconosciuto a livello internazionale con sede a Tobruk e Al-Badya nell’est, e un’altra autorità autodichiarata con base a Tripoli nell’ovest, da dove parte la maggioranza dei barconi. 

A prescindere dall’area di intervento, le imbarcazioni dell’Ue coinvolte nel piano di operazione navale sono soggetti alla giurisdizione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che richiede la progettazione, pianificazione e attuazione di qualsiasi operazione nel pieno rispetto dei diritti, compresi i diritti alla vita, libertà, sicurezza, diritto a un ricorso effettivo e proibizione di tortura. Tali requisiti proibiscono di inviare qualunque persona verso un Paese dove rischia tortura o trattamento crudele, disumano o degradante, o minacce alla vita o alla libertà, vale a dire il principio di nonrefoulment.

La missione è parte della risposta dell’Ue alla crisi nel Mediterraneo. Sin dall’inizio del 2015 almeno 1780 migranti e richiedenti asilo sono morti tentando la traversata in mare. L’Ue ha intensificato le sue operazioni di ricerca e soccorso, e oltre 62mila persone hanno raggiunto l’Ue via mare finora nel 2015, attraversando il Mediterraneo centrale principalmente dalla Libia verso Italia e Malta, e il mar Egeo da Turchia e Grecia. Le statistiche dell’agenzia Onu per i rifugiati,
UNHCR, dimostrano che il 60 per cento di quanti sono arrivati via mare quest’anno provengono da Siria, Eritrea, Afganistan e Somalia – tutti Paesi che vivono una diffusa violenza politica o repressione. 



La Commissione europea, il corpo esecutivo dell’Ue, ha lanciato il 13 maggio delle proposte orientate a un’ “Agenda europea sulla migrazione”. Tra le proposte vi sono dei passi positivi, come la creazione di un piano di risistemazione a livello unitario e un meccanismo di ricollocamento per distribuire con equità la responsabilità  dei richiedenti asilo tra gli Stati membri dell’Ue, ha detto Human Rights Watch. Diversi Stati membri dell’Ue, compresi il Regno Unito, la Francia, l’Ungheria e la Polonia, hanno già espresso la loro contrarietà a partecipare a tali proposte di condivisione di responsabilità.

La maggioranza delle proposte, ad ogni modo, si concentra su misure per arginare gli arrivi, anche attraverso l’attuazione di controlli sull’immigrazione nei Paesi di partenza e di transito, sviluppo regionale, e la creazione di un “centro pilota polivalente” in Niger per fornire informazioni, protezione locale, e opportunità di risistemazione. Tali misure andrebbero progettate con attenzione per migliorare il rispetto dei diritti umani e alimentare la risoluzione di conflitti nei Paesi di partenza, ha detto Human Rights Watch.

Le proposte, inoltre, dovrebbero migliorare la capacità dei Paesi di transito di proteggere e integrare i rifugiati, anche attraverso la creazione di sistemi di asilo equi ed efficaci che assicurino che le domande di asilo vengano esaminate in modo appropriato e con diritto di appello. Tali misure dovrebbero assicurare scrupolosamente che rifugiati e richiedenti asilo non siano rinviati con la forza verso persecuzioni o altri gravi mali e che a nessuno si impedisca di fuggire da minacce alla propria vita o libertà.


In molti, se non la maggior parte, dei migranti e richiedenti asilo che raggiungono l’Ue clandestinamente pagano di propria volontà trafficanti di migranti per facilitare il viaggio, tuttavia i trafficanti spesso li ingannano circa il contesto o le condizioni di trasporto, tra cui il sovraffollamento su imbarcazioni inadatte alla navigazione. Tra coloro che arrivano via mare e via terra ci sono anche vittime di tratta di esseri umani che vengono ingannate o sono obbligate a viaggiare e sono tenuti in ostaggio a scopo d’estorsione, o subiscono violenze di altra natura o sfruttamento.


Migranti e richiedenti asilo intervistati in Italia a maggio hanno riferito a Human Rights Watch degli abusi patiti lungo le rotte della migrazione dal Corno d’Africa e in Libia. Tra queste vi sono l’essere tenuti ostaggio per mesi nel deserto del Sahara in condizioni ardue e violente fino a che i parenti mandano soldi ai trafficanti di esseri umani; pestaggi con tubi di legno e acciaio, tubi di gomma e fruste; esecuzioni con arma da fuoco per tentate fughe; lavori forzati; ed effettiva detenzione fino alla partenza per l’Europa in “rifugi” in Libia, malsani e sovraffollati, gestiti dai trafficanti. Questi ultimi, periodicamente, sovraccaricano barche inadatte alla navigazione senza fornire abbastanza cibo, acqua e carburante per il viaggio.

La Libia, da ormai molto tempo, è sia un Paese di destinazione che di transito per Africani sub-sahariani, siriani, e altri che tentano di raggiungere l’Ue. Human Rights Watch, tra la metà del 2014 e maggio 2015, ha documentato torture – nelle forme di flagellazioni, pestaggi, e scosse elettriche – così come sovraffollamento e pessime condizioni igieniche, e una mancanza di accesso a cure mediche nei centri di detenzione per migranti in Libia.

Le interviste di maggio in Italia hanno indicato che la crescente anarchia e la violenza generalizzata in Libia dovuta alle protratte ostilità stiano spingendo alcuni migranti ad andarsene. Alcuni hanno detto che sarebbero rimasti in Libia e non avrebbero tentato la pericolosa traversata verso l’Ue se la Libia non fosse così pericolosa. Livinus, un ventenne nigeriano che era andato in Libia in cerca di lavoro nel 2013, ha detto a Human Rights Watch, “Li vedi gonfiare il gommone, metterci dentro cento persone, e sai che è rischioso. Non avrei preso quel rischio se non per i problemi che ci sono in Libia”.



Non ci sono soluzioni facili a breve termine, ma occorre che l’Ue aumenti canali di accesso sicuri e legali verso l’Unione come una misura a lungo termine più efficace che la distruzione dei barconi, ha detto Human Rights Watch.



“Distruggere le barche di presunti scafisti potrebbe impedire temporaneamente a una persona di imbarcarsi su una barca inadatta alla navigazione, ma le conseguenze non finiscono lì” ha detto Sunderland. “L’Ue deve essere onesta nel valutare come il suo intervento spingerà persone disperate a intraprendere viaggi ancora più pericolosi, cosa ne sarà di persone bisognose di protezione che cercano di lasciare una Libia sempre più caotica e violenta, e come questo quadri con i suoi obblighi internazionali”.

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