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Franco Frattini
Ministro degli Affari Esteri
Repubblica italiana

16 giugno 2011

Sua Eccellenza Ministro Frattini,

Vi scriviamo a riguardo della elezione dell'Italia al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, per esprimere l'auspicio di Human Rights Watch di lavorare proficuamente insieme all'Italia nel Consiglio con l'obiettivo dell'avanzamento in tutto il mondo del rispetto dei diritti umani.

In linea con la risoluzione 60/251 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha istituito il Consiglio dei diritti umani, dai membri del Consiglio ci si aspetta che essi mantengano "i più alti standard nella promozione e nella tutela dei diritti umani", e che "cooperino appieno con il Consiglio."

Le scriviamo per sollecitare il suo governo a fare alcuni passi importanti per compiere fino in fondo con questi standard e con gli impegni presi dall'Italia nel febbraio 2010 nel corso della sua revisione periodica universale e prima della sua elezione al Consiglio dei diritti umani.

Razzismo, xenofobia e violenza contro gli immigrati, i Rom e i Sinti
Accogliamo con favore l'attenzione che l'Italia ha dedicato ai problemi del razzismo, della discriminazione razziale, della xenofobia e delle forme di intolleranza a esse connesse fra gli impegni volontariamente assunti di fronte al Consiglio dei diritti umani. Nel febbraio del 2011, il Vostro governo ha ribadito la promessa di aggiornare il suo piano d'azione nazionale contro il razzismo, fatta lo scorso anno nel corso della revisione periodica universale della situazione in Italia. Vi invitiamo ad assicurare rapidi progressi nel soddisfacimento di tale importante impegno.

I fenomeni del razzismo e della xenofobia nei confronti dei migranti, dei Rom e dei Sinti (molti dei quali sono cittadini italiani), caratterizzati tanto da violenza quanto da un retorica politica intolerante, rappresentano un problema serio per l'Italia.

Fra i gravi accadimenti recenti ci sono state la violenza di massa a danno dei lavoratori stagionali migranti africani in Calabria nel mese di gennaio 2010,  quella contro i Rom a Napoli nel maggio 2008, e gli attacchi di squadracce contro rumeni a Roma avvenuti nel novembre 2007 e nel febbraio 2009.

Migranti e italiani di origine straniera sono anche oggetto di attacchi individuali ispirati in tutto o in parte da intenti razzisti. Un italiano di famiglia originaria del Burkina Faso è stato ucciso a sprangate dopo un piccolo furto a Milano nel settembre 2008; a Napoli nel marzo 2009 un italiano di discendenza eritreo è stato aggredito e insultato con epiteti razzisti; un senegalese residente da lungo tempo in Italia è stato insultato e picchiato in un mercato a Roma nel febbraio 2009; e a Torino una giovane Rom incinta è stata aggredita a calci in un mercato nel giugno 2010.

In un paese che ha visto un evidente aumento dell'immigrazione, in particolare nel corso degli ultimi dieci anni, la propaganda politica e le politiche messe in atto che collegano gli immigrati e i Rom e Sinti al mondo del crimine, hanno contribuito a creare e perpetuare un clima di intolleranza. Dal 2008, l'Italia ha adottato "decreti  di emergenza" per agevolare l'introduzione di misure forti contro i migranti privi di documenti e i Rom e Sinti; ha approvato una legislazione volta a rendere crimini il soggiorno e l'ingresso in Italia in clandestinità; e ha inoltre tentato di introdurre l'imposizione di sanzioni più severe qualora responsabili di crimini fossero immigrati irregolari.

L'Italia non si sta muovendo all'altezza dei suoi obblighi internazionali per ciò che riguarda la prevenzione e la repressione della violenza razzista e xenofoba. In parte questo riflette una mancata identificazione della violenza razzista e xenofoba come un serio problema. Le autorità pubbliche tendono a minimizzare la portata della violenza razzista in Italia, ed è spesso ridotta al minimo o esclusa del tutto la dimensione razzista o xenofoba di alcuni casi di violenza.

Lo strumento più importante nella legislazione penale italiana per combattere i crimini motivati da odio discriminatorio, uno schema introdotto nel 1993 di inasprimento delle pene della pena per i colpevoli di reati aggravati dal movente razzista, non si è dimostrato all'altezza delle sue ambizioni. La formulazione restrittiva dello statuto contenuto nella Legge Mancino, che parla di "finalità" razzista o discriminatorio di un delitto piuttosto che di sua "motivazione" razzista o discriminatoria, e la sua mancanza di riconoscimento esplicito della possibilità di moventi di natura mista, hanno dato vita a interpretazioni restrittive da parte dei tribunali e nella pratica ne ha limitato la sua applicabilità. Sicché crimini che potrebbero avere avuto fra le motivazioni quello della discriminazione, spesso non sono registrati, indagati o perseguiti in quanto tali.

La sistematicità nella raccolta di dati circa la violenza razzista e xenofoba, e sui "crimini di odio" in generale, è fondamentale per analizzarne le tendenze e garantirvi una risposta adeguata. Eppure la raccolti di dati in questo settore è parziale e manca di trasparenza. Le autorità indicano il basso numero delle denunce e delle azioni penali intraprese a causa di violenza aggravata da motivi razziali, per sostenere che tali violenze sono rare, ma non tengono conto né della loro sottostima e sottorappresentazione, né delle mancanze da parte delle forze dell'ordine e della magistratura nell'individuazione corretta di tali violenze. Poiché la violenza razzista e xenofoba non è considerata un problema urgente, non esiste una formazione specializzata e sistematica in materia del personale di polizia e dei pubblici ministeri.

Prendiamo atto con favore della creazione nel settembre 2010 dell'Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), cui è stato dato mandato di registratre e monitorare i progressi sulle denunce di crimini di odio. Ma nella nostra valutazione, ulteriori misure dovrebbero essere adottate per migliorare tanto la base di dati centrale sulle notizie di reato quanto l'unità statistica del Ministero della Giustizia.

Esortiamo il governo italiano a:

  • Contrastare con forza e con coerenza tutte le dichiarazioni razziste e xenofobe, soprattutto quando responsabili ne siano funzionari pubblici e rappresentanti eletti, e mettere in chiaro che il discorso razzista non deve avere posto nella società italiana;
  • Assicurarsi che gli attacchi contro i migranti, i Rom e le altre minoranze etniche siano oggetto di indagini tempestive da parte della polizia e che i loro responsabili siano assicurati alla giustizia;
  • Abrogare l'articolo della Legge 94 del 2009 che ha introdotto il reato di ingresso e soggiorno irregolare in Italia;
  • Riformare il codice penale per permettere l'applicazione della circostanza aggravante dei sentimenti razzisti o xenofobi per motivi misti e nei casi in cui la violenza sia stata commessa "del tutto o in parte" a causa di discriminazione;
  • Assicurarsi che il sistema centrale di raccolta dei dati per le forze dell'ordine sia organizzato idoneamente per la registrazione di tutti i presunti crimini di odio, disaggregandoli per tipo di crimine e di vittime, e che se ne pubblichino periodicamente i dati;
  • Migliorare la raccolta dei dati sulle indagini preliminari, i processi in corso, le sentenze e le condanne per i reati aggravati da pregiudizi, disaggregati per tipo di crimine e di vittime, e periodicamente pubblicare tali dati; e
  • Garantire che per il personale di polizia e i pubblici ministeri vi sia l'obbligo alla formazione specialistica su individuazione, reazione e indagine dei crimini motivati, in tutto o in parte, da pregiudizi razziali, etnici o xenofobi.


La discriminazione basata sull'orientamento sessuale e l'identità di genere
Il non avere preso impegni di fronte al Consiglio dei diritti umani, da parte dell'Italia,  per combattere la discriminazione in Italia delle persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender (LGBT) è deludente. Discriminazioni e violenze motivate dall'orientamento sessuale e dall'identità di genere delle vittime restano problemi gravi in ​​Italia, e ci sono lacune nella legislazione nazionale contro la discriminazione e nel codice penale. L'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali compie un'opera significativa nell'affrontare la discriminazione contro le persone LGBT in Italia, nonostante sia  priva di un mandato specifico per farlo.

La legislazione nazionale anti-discriminazione ha stabilito una gerarchia fra i moventi di abusi che fa sì che l'orientamento sessuale e l'identità di genere vengano considerate degne di minore protezione rispetto ad altre categorie protette. Mentre le persone LGB sono protette contro la discriminazione nei luoghi di lavoro, la legislazione nazionale non prevede esplicitamente la loro protezione dalla discriminazione in altre sfere, quali l'accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio.

L'Italia non concede alle coppie dello stesso sesso la possibilità di accedere al matrimonio, né riconosce le unioni civili fra omosessuali. Nell'Unione europea, cinque Stati membri (Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Portogallo e Svezia) riconoscono i matrimoni tra persone dello stesso sesso, e altri undici Stati membri consentono alle coppie dello stesso sesso di registrare civilmente i loro rapporti (Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Slovenia e Regno Unito). Nel novembre 2010 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che il rapporto stabile di convivenza di una coppia dello stesso sesso rientra nella nozione di "vita famigliare", altresì protetta dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

L'incitamento all'odio, alla violenza o alla discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere non sono reati specifici per il diritto italiano. Lo statuto che prevede l'inasprimento delle sanzioni per i crimini d'odio non include l'orientamento sessuale e l'identità di genere fra le caratteristiche meritevoli di protezione. Un disegno di legge per riformare lo statuto è stato respinto nell'ottobre del 2009, e un nuovo disegno di legge presentato nel maggio scorso è stato duramente contestato in Parlamento da esponenti della maggioranza, con un ulteriore rinvio del dibattito in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci circa la sua conformità con la Costituzione italiana. Nel corso degli ultimi anni, intanto, le organizzazioni italiane per i diritti delle persone LGBT  hanno denunciato numerosi episodi di violenza contro le persone LGBT.

Esortiamo il governo italiano a sostenere gli sforzi legislativi per garantirle una protezione esplicita dalle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere. La protezione dovrebbe essere estesa a tutte le sfere, e alle coppie dello stesso sesso dovrebbe essere riconosciuta parità di accesso al matrimonio. Il codice penale, nelle parti dove prevede sanzioni maggiori per i crimini di odio, dovrebbe essere riformato per includervi i reati motivati, in tutto o in parte, da ostilità dovuta all'orientamento sessuale e / o all'identità di genere della vittima.

Ritorno al rischio di tortura e all'uso delle garanzie diplomatiche
Accogliamo con favore l'assunzione volontaria dell'Italia davanti al Consiglio dei diritti umani dell'impegno affinché la lotta contro il terrorismo si fondi sul rispetto dei diritti umani e delle garanzie dello Stato di diritto. Per tenere fede a questo impegno, l'Italia deve porre fine a politiche anti-terrorismo che minano la proibizione internazionale della tortura e del refoulement.

Negli ultimi anni, l'Italia ha perseguito una politica di espulsioni motivate da ragioni di sicurezza nazionale, senza riguardo verso i propri obblighi internazionali in materia di diritti umani. Il governo ha dichiarato che ritiene l'espulsione uno strumento flessibile ed efficace di prevenzione nei casi in cui una persona identificata come un rischio per la sicurezza non possa essere perseguita penalmente.

Una legge del 2005, adottata dopo gli attentati terroristici a Londra del luglio dello stesso anno, nega esplicitamente il diritto a ricorso sospensivo per coloro che siano sottoposti a decreto di espulsione per motivi di sicurezza nazionale. La legge 155 del 31 luglio 2005 (nota come "legge Pisanu" per l'allora ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu) stabilisce che "il Ministro dell'interno o, a sua delega, il prefetto può disporre l'espulsione dello straniero [...] nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali." Il ricorso contro una decisione di espulsione ai sensi della legge Pisanu non ha effetto sospensivo persino qualora vengano sollevati timori che tortura o altri abusi possano venire commessi in seguito al rimpatrio.

Nel maggio del 2007, il Comitato dell'ONU contro la tortura ha espresso preoccupazione "per l'attuazione immediata di questi ordini di espulsione, senza alcun controllo giurisdizionale, e ... che questa procedura di espulsione sia priva di una protezione efficace contro il refoulement". Anche il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, ha  espresso le sue preoccupazioni per tali espulsioni, nel 2008 e nuovamente nel 2009.

La mancanza nel garantire internamente rimedi efficaci ha portato a numerose denunce contro l'Italia davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Nel periodo tra il 2003 e il 2008 la Corte ha emesso contro l'Italia ordini vincolanti di provvedere con urgenza in almeno ventinove casi di  rimpatri forzati, affinché venissero sospesi. L'Italia ha mostrato assenza di rispetto per il sistema europeo di tutela dei diritti umani, ignorando per ben tre volte delle richieste, vincolanti, da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo di sospendere le espulsioni. I cittadini tunisini Essid Sami Ben Khemais e Mourad Trabelsi sono stati espulsi verso il loro paese di origine nel mese di giugno e dicembre 2008, rispettivamente, e Ali Ben Sassi Toumi è stato espulso nel mese di agosto 2009. La Corte europea ha stabilito in tutti e tre i casi che l'Italia aveva violato la Convenzione sia all'articolo 3 (protezione contro la tortura) che all'articolo 34 (l'esercizio effettivo del diritto al ricorso  individuale).

I ripetuti tentativi dell'Italia di deportare individui verso la Tunisia dimostrano una inquietante disponibilità a minare la messa al bando globale della tortura. In almeno undici casi il governo italiano ha chiesto e ottenuto dalle autorità tunisine garanzie diplomatiche contro la tortura e i maltrattamenti. Nel caso esemplare di Saadi c. Italia presso la Corte europea dei diritti dell'uomo, il governo italiano ha sostenuto che, in casi implicanti la sicurezza nazionale, il rischio che una persona espulsa posa essere soggetta a trattamenti crudeli, inumani o degradanti deve essere bilanciato con il rischio per la sicurezza nazionale che si presume ponga la persona. La Grande Camera della Corte ha respinto questa tesi e ha ribadito nella sua decisione di febbraio 2008 il divieto assoluto di rimpatri a rischio di tortura e maltrattamenti. La Corte ha costantemente respinto le garanzie diplomatiche della Tunisia, in quanto insufficienti per evitare rischi per gli individui rimpatriati.

L'Italia deve anche ancora procedere a ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, nonostante lo abbia promesso ripetutamente. Analogamente, non sono stati fatti passi per  la adozione di misure atte a recepire nel diritto nazionale il reato di tortura, come raccomandato dal Comitato contro la tortura, coerentemente alla definizione di tortura di cui all'articolo 1 della Convenzione contro la tortura.

Esortiamo il governo italiano a:

  • Modificare la legge 155 del 2005 in modo da garantire l'automatismo dell'appello in Italia contro i provvedimenti di espulsione contro individui per i quali si segnalino rischi di tortura o di maltrattamenti;
  • Rispettare tutte le misure urgenti vincolanti emesse dalla Corte europea dei diritti dell'uomo;
  • Ripudiare l'uso delle garanzie diplomatiche contro la tortura e i maltrattamenti strumentali alla deportazione degli stranieri sospettati di terrorismo anche quando a rischio di tortura e maltrattamenti;
  • Ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, e
  • Recepire nel diritto nazionale il reato di tortura in piena conformità con la Convenzione contro la tortura.


La politica di immigrazione e di asilo
Esprimiamo la nostra delusione nel non avere visto l'Italia assumersi volontariamente davanti al Consiglio dei diritti umani specifici impegni in materia di miglioramento del rispetto dei diritti dei migranti e di introduzione di un'equa procedura per le richieste di asilo.

L'Italia negli ultimi mesi ha salvato nel Mediterraneo numerose imbarcazioni di migranti e richiedenti asilo, e nei primi cinque mesi dell'anno oltre 42.000 persone hanno raggiunto via mare le coste italiane dal Nord Africa,.

Ma la politica del 2009 di intercettare in alto mare delle barche con i migranti, e di procedure a una loro sommaria respingimento verso la Libia  era in palese violazione di diritti umani fondamentali e dei diritti dei rifugiati. Per quanto ne sappiamo, l'Italia non ha ripreso la politica di respingimenti in alto mare del 2009, ma deve ancora ripudiare tale approccio.

L'Italia ha rilasciato visti di protezione temporanea per molti tunisini in fuga dal loro paese che sono arrivati ​​in Italia tra il gennaio e i primi di aprile del 2011. Nell'ambito di un nuovo accordo con la Tunisia, tutti tunisini che arrivano in Italia successivamente al 6 aprile sono però soggetti a detenzione e deportazione. Le organizzazioni della società civile hanno espresso preoccupazioni circa le condizioni di detenzione in alcuni centri di detenzione per migranti in Italia. Non è ancora chiaro se per ciascun cittadino tunisino respinto siano state effettuate le necessarie valutazioni del rischio individuale, requisito del diritto dei diritti umani, che vieta le espulsioni collettive.

Esortiamo il governo italiano a:

  • Assicurare continuità all'accesso alle procedure per la domanda di asilo e protezione sussidiaria in Italia;
  • Intensificare le operazioni di soccorso nel Mediterraneo, prevedendo presuntivamente che tutte le barche che contengono i migranti siano bisognose di assistenza;
  • Pubblicamente impegnarsi, e onorare questo impegno, ad astenersi da qualsiasi ripresa dei respingimenti in mare; e
  • Garantire che le condizioni di detenzione dei migranti siano conformi agli standard dei diritti umani, e che a quelli deportati verso i loro paesi d'origine o in paesi terzi siano state effettuate valutazioni individuali dei rischi connessi e che gli sia stato riconosciuto il diritto di appellare l'espulsione per motivi di diritti umani prima della sua messa in atto.


Istituzioni nazionali indipendenti per i diritti dell'uomo
Vi esortiamo ad agire rapidamente per creare un organismo nazionale indipendente per i diritti umani in conformità con i Principi di Parigi. L'Italia ha più volte promesso di farlo, l'ultima volta come parte degli impegni assunti volontariamente davanti al Consiglio dei diritti umani. Sappiamo che il governo ha presentato in materia un disegno di legge al Senato nel maggio 2011, e che questa proposta è attualmente all'esame della commissione Affari costituzionali.

Esortiamo il governo italiano a garantire che il testo definitivo della legge che istituisce un  organismo nazionale indipendente per i diritti umani sia conforme ai Principi di Parigi e tenga conto dei pareri espressi dalle organizzazioni della società civile.

Cooperazione con le procedure speciali del Consiglio dei Diritti Umani
Sebbene l'Italia abbia esteso un invito permanente a tutte le procedure speciali delle Nazioni Unite, il Relatore speciale sulla libertà di espressione sta ancora attendendo una risposta alla sua richiesta di visitare il paese (presentata quasi due anni fa, nel settembre 2009), e l'Italia non ha ancora concordato alcuna data per permettere le visite di esperti internazionali sui diritti umani e la povertà estrema, e del Relatore speciale sulle forme contemporanee di schiavitù. La risoluzione dell'Assemblea generale 60/251, stabilisce che i membri del Consiglio dei diritti umani "debbano cooperare pienamente con il Consiglio."

Su tale base, chiediamo al governo italiano di rispondere immediatamente alla richiesta di una visita al paese da parte del Relatore speciale sulla libertà di espressione, e di organizzare al più presto le altre visite in sospeso.

Auspichiamo un tempestivo adempimento dell'Italia agli impegni presi volontariamente dal governo  in vista delle elezioni del Consiglio. E accogliamo con favore la possibilità di proseguire il dialogo costruttivo con il Vostro governo volto a garantire il rispetto dei diritti umani in Italia.

Cordiali saluti,

Hugh Williamson
Direttore della Divisione sull'Europa e l'Asia centrale di Human Rights Watch

Juliette de Rivero
Direttrice dell'ufficio di Ginevra

CC:
S.E. Cesare Maria Ragaglini, Rappresentante permanente dell'Italia presso le Nazioni Unite
S.E. Laura Mirachian, Rappresentante permanente presso le organizzazioni internazionali di Ginevra

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