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L’Italia faccia pressioni su Gheddafi per porre fine alla violenza sui manifestanti

Berlusconi dovrebbe usare il suo stretto rapporto per arginare il bagno di sangue

(Bruxelles, 24 febbraio 2011) - Il primo ministro italiano Silvio Berlusconi dovrebbe usare la sua amicizia di vecchia data con il leader libico, Muammar Gheddafi, per contribuire a proteggere i manifestanti da attacchi arbitrari da parte delle forze di sicurezza libiche e dalle milizie, ha dichiarato oggi Human Rights Watch.

"Il governo italiano è stato irragionevolmente lento nel condannare il bagno di sangue in Libia" ha dichiarato Judith Sunderland, ricercatrice esperta sull'Europa Occidentale ad Human Rights Watch. "Qualunque sia la preoccupazione dell'Italia circa un potenziale esodo proveniente dalla Libia, non ci sono scuse tali da giustificare toni sommessi circa la protezione dei manifestanti libici ed impedire ulteriori violenze."

Secondo quanto riportato, Berlusconi ha aspettato fino al 22 febbraio 2011 prima di chiamare Gheddafi, con il quale ha uno stretto rapporto, per sollecitare la fine delle violenze cominciate cinque giorni prima. Il 19 febbraio, Berlusconi aveva dichiarato di non aver parlato a Gheddafi perchè non lo voleva "disturbare". Il 21 febbraio ha rotto il silenzio sulla situazione in Libia, definendo la violenza "inaccettabile".

Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha detto in diverse occasioni che l'Unione europea non dovrebbe "interferire" o tentare di "esportare" la democrazia in Libia. Il tenore delle sue dichiarazioni è migliorato il 23 febbraio, quando ha detto che "nulla può giustificare una strage di massa lungo le strade." Circa mille cittadini libici sono stati uccisi, ha riferito Frattini.

"Speriamo che i commenti più incisivi del ministro degli esteri italiano sulla Libia riflettano l'intenzione dell'Italia di fare passi concreti" ha dichiarato Sunderland. "L'Italia dovrebbe fare pressioni per una forte azione da parte dell'Ue e delle Nazioni Unite."

Human Rigths Watch ha fatto appello all'Italia affinchè sostenga un embargo immediato da parte dell'Ue sull'esportazione di armi e dispositivi di sicurezza verso la Libia. Dovrebbe anche sostenere delle sanzioni mirate, tra cui congelamenti di beni e divieto di viaggio per alti funzionari e comandanti militari libici trovati responsabili per le gravi violazioni dei diritti umani.

L'Italia e l'Ue dovrebbero anche accogliere l'appello dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, Navi Pillay, per un'indagine internazionale su quelli che ha definito degli "attacchi diffusi e sistematici contro la popolazioni civile [che] potrebbero costituire crimini contro l'umanità". La sede per aprire una tale indagine sotto l'egida Onu è la sessione speciale del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra il 25 febbraio, convocata per rispondere alla crisi dei diritti umani in Libia, ha dichiarato Human Rights Watch.

Il governo italiano prevede che oltre 300mila persone, tra cui migranti e richiedenti asilo provenienti da altri Paesi, possano partire presto dalla Libia verso l'Italia ed altre parti d'Europa.

I ministri dell'interno di Francia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro si sono incontrati il 23 febbraio a Roma e hanno richiesto una risposta collettiva da parte dell'Ue nel caso di un esodo di massa proveniente dal Nord Africa. Un incontro tra i ministri dell'interno, previsto il 24 febbraio a Bruxelles, dovrà affrontare lo stesso problema. Oltre 5500 tunisini hanno raggiunto l'isola italiana di Lampedusa nel mese scorso.

L'Italia ha richiesto che l'Ue condivida il peso di eventuali flussi di migranti e richiedenti asilo provenieni dalla Libia ed altri Paesi.

L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) ha lanciato un appello all'Ue, ed in particolare all'Italia, affinchè si astenga dall'intercettare e rinviare sommariamente barconi di migranti che tentano di raggiungere le coste europee dalla Libia - la cosiddetta pratica dei "respingimenti".

Nel 2009 l'Italia ha attuato una politica di "respingimento" con la Libia - quale parte di una più ampia cooperazione sul controllo della migrazione che comprendeva dei pattugliamenti navali congiunti - intercettando e respingendo più di 600 persone in Libia tra il maggio e l'agosto del 2009 senza alcun controllo volto ad identificare chi avesse bisogno di protezione internazionale. Tali "respingimenti" verso la Libia sono illegali e mettono le vite a rischio, ha dichiarato Human Rights Watch.

Ci sono stati resoconti non confermati di linciaggi ai danni di migranti e richiedenti asilo in Libia negli ultimi giorni, aumentando le possibilità che essi possano prendere il mare su dei barconi per cercare riparo in Europa.

L'Acnur ha riconosciuto 8mila rifugiati in Libia, con almeno 3mila richiedenti asilo in attesa di una decisione da parte dell'Agenzia Onu per i rifugiati. La Libia non è uno stato parte della Convenzione del 1951 sui rifugiati e non prevede alcuna procedura sulla richiesta di asilo politico.

"Il governo italiano dovrebbe prepararsi a effettuare controlli di barconi in arrivo dalla Libia, in modo da garantire la protezione di coloro che ne hanno bisogno" ha detto Sunderland. "L'Italia dovrebbe farsi promotrice di una risposta costruttiva dell'Ue a questa situazione, anzichè alimentare le paure."

L'Italia, che come potenza coloniale occupò la Libia dal 1911 al 1943, ha delle estese relazioni di natura economica con il Paese. L'Italia è il più grande partner commerciale dell'Ue con la Libia. Il gigante del petrolio Eni è il più grande produttore di petrolio e gas in Libia. La Libia possiede il 7.6 per cento di UniCredit SpA, la banca più grande d'Italia.

Nel 2008, l'Italia si è impegnata a investire oltre 5 miliardi di dollari nel corso di 20 anni in cambio di accordi vantaggiosi per aziende italiane, tra cui l'Eni. La Libia ha anche promesso di bloccare immigranti illegali, impedendo loro di viaggiare dalla Libia all'Italia.

Il 22 febbraio, l'Eni ha annunciato di aver sospeso le forniture attraverso il gasdotto Greenstream, che va dalla Libia alla Sicilia, dopo alcune interruzioni sul lato libico. Il gasdotto soddisfa il 10 per cento del fabbisogno di gas naturale dell'Italia.

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